Inesistenza e invalidità dei matrimoni stranieri: effetti sulle successioni
Inesistenza e invalidità dei matrimoni stranieri: effetti sulle successioni
di Marco Rizzuti
Assegnista di ricerca in Diritto civile, Università di Firenze

Com’è noto, il fenomeno della successione mortis causa è da sempre intimamente connesso alla realtà del diritto familiare(1), per cui anche in questa sede diviene di particolare importanza porsi il problema della rilevanza che possano assumere ai fini successori certi rapporti coniugali stranieri, caratterizzati da elementi di contrasto con principi o regole dell’ordinamento italiano. L’alternativa di fondo è tra ritenere che tale contrasto sia così forte da impedire di considerare quello straniero come un matrimonio, in ragione della sua radicale diversità da ciò che noi chiamiamo così, oppure equiparare l’ipotesi a quelli che all’interno del nostro sistema sono i matrimoni comunque definibili come tali, pur essendo affetti da più o meno gravi patologie, che ne limitano ma non sempre ne annientano l’efficacia. Insomma: inesistenza o invalidità, dicotomia che oggi ritroviamo con riguardo ai più vari ambiti del diritto, ma che parrebbe essere nata proprio in materia matrimoniale, forse, anche se queste attribuzioni di primogenitura scientifica sono sempre incerte, in alcune trattazioni di ius commune dedicate al reato di bigamia(2).
Proprio la questione della poligamia(3) ci consentirà di mettere in luce come nei diversi momenti storici si sia fatto ricorso ora all’inesistenza ed ora all’invalidità per tentare un inquadramento di un tipo di matrimonio palesemente segnato dal contrasto con una delle regole di fondo della tradizione giuridica occidentale. Le conseguenze della scelta fra le due impostazioni erano già emerse nella giurisprudenza d’epoca coloniale: da una parte, i giudici britannici, di fronte al matrimonio fra un inglese ed un’indigena africana celebrato secondo il diritto di lei che ammetteva la poligamia, ritennero l’ipotesi così diversa da un matrimonio occidentale da non poter avere alcun rilievo giuridico, e negarono quindi ogni diritto ereditario alla donna ed alla figlia dei due, ritenuta illegittima(4). Quelli francesi, invece, ritennero che il contrasto della poligamia con l’ordine pubblico non impedisse alla seconda moglie dello straniero, ed ai loro figli, di far valere i propri diritti successori anche in sede giudiziaria(5). Dunque nel primo caso il matrimonio “alieno” è stato considerato inesistente per il diritto, insuscettibile di essere preso in considerazione dai giudici; nel secondo è stato considerato invalido per contrasto con una regola di ordre public, ma suscettibile di produrre qualche effetto. La problematica si è, quindi, ripresentata quando le ex potenze coloniali sono divenute meta dell’immigrazione dei loro ex sudditi, e può essere interessante vedere come le due differenti impostazioni si siano evolute.
Da una parte, l’idea dell’irrilevanza dei matrimoni contratti secondo diritti che ammettono la poligamia si è rivelata sempre più impraticabile con l’aumento delle occasioni di contatto e gli stessi inglesi l’hanno dovuta progressivamente abbandonare. Le autorità coloniali avevano già ritenuto di poter tenere conto di tali unioni quando si trattava di risolvere questioni ereditarie tra indigeni(6), ed in tal senso si sono quindi orientati anche i giudici metropolitani, ai fini della successione nel patrimonio relitto in Inghilterra da uno straniero domiciliato all’estero(7). Successivamente la Camera dei Lords ha accettato fra i suoi membri, riconoscendolo come figlio legittimo e quindi capace di ereditare la qualità di Pari, il nato da un matrimonio indù, celebrato secondo un diritto che potenzialmente ammetteva la poligamia ma che in concreto era sempre stato monogamico(8). In seguito, questi che potevano apparire come problemi connessi a casi del tutto eccezionali sono divenuti oggetto di un contenzioso di massa, correlato agli imponenti flussi migratori dalle ex-colonie, per cui è dovuto intervenire il legislatore, che prima ha ritenuto validi ai fini del nuovo Welfare State, e perciò anche delle pensioni di reversibilità, i matrimoni in concreto monogamici, benché celebrati all’estero secondo diritti che ammettano la poligamia(9), ed infine ha riconosciuto in termini generali la possibilità di far valere in sede giudiziale i matrimoni contratti all’estero, anche se concretamente poligamici, purché al tempo delle nozze nessuno degli sposi fosse stato domiciliato in Gran Bretagna(10).
Dall’altra parte, la soluzione francese del cosiddetto ordine pubblico attenuato, che si oppone alla costituzione di un rapporto poligamico nel territorio nazionale, ma non all’esercizio dei diritti derivanti dalla legittima costituzione dello stesso all’estero, è stata ripresa in una serie di casi con riguardo ai diritti successori delle mogli di poligami immigrati sul suolo dell’Esagono(11) ed al riparto delle loro pensioni di reversibilità(12). Da tale costruzione hanno, poi, tratto ispirazione anche altri ordinamenti: si pensi alla distinzione fra «efectos jurídicos nucleares y efectos jurídicos periféricos» del matrimonio, in forza della quale la giurisprudenza spagnola ammette il riparto della reversibilità fra le mogli del poligamo(13), soluzione che del resto è stata accolta anche dal legislatore tedesco(14) e dagli stessi giudici comunitari(15), mentre i loro colleghi belgi hanno avuto occasione di decidere in senso analogo per quanto attiene al danno da morte(16). Un’autorevole adesione a tale impostazione è venuta, inoltre, dall’Institut de droit international, secondo il quale «Les Etats ne devraient pas opposer l’ordre public à la reconnaissance de la validité de principe d’unions polygamiques célébrées dans un Etat admettant la polygamie»(17), mentre, a livello Onu, il Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne, pur auspicando che i matrimoni poligamici vengano «discouraged or prohibited», precisa però che «with regard to women in existing polygamous marriages, States parties should take the necessary measures to ensure the protection of their economic rights»(18). Anche questa soluzione ha però presentato i suoi profili problematici, che sono emersi, ad esempio, nell’ipotesi in cui alla successione del poligamo aspirassero non solo una o più mogli straniere sposate all’estero secondo un diritto che ammetta la poligamia, ma anche la moglie europea sposata con rito civile: un primo orientamento francese aveva applicato pure in questo caso il consueto criterio del riparto della quota coniugale fra tutte le interessate(19), ma, in seguito alle critiche della dottrina e dell’opinione pubblica, la successiva giurisprudenza ha sancito la prevalenza della consorte francese, escludendo l’altra, o le altre, sia dall’eredità(20) sia dalla pensione di reversibilità(21).
Quid iuris per quanto attiene all’Italia? La nostra tradizione giuridica conosce, invero, una tralatizia definizione dei requisiti di esistenza del matrimonio, identificati nei tre elementi del consenso, della celebrazione e della diversità di sesso(22), oggi messa a dura prova da epocali trasformazioni. Esulano dall’oggetto di questa relazione sia il tema della progressiva affermazione della rilevanza giuridica di un rapporto coniugale inteso in senso fattuale(23), un po’ come nel modello romanistico(24), sia quello del dibattito in ordine al matrimonio omosessuale(25): entrambi gli sviluppi comunque implicano probabilmente la necessità di ridefinire l’essenza del coniugio avendo riguardo al solo consenso, riconfigurando quindi il difetto dei requisiti di forma, o di quelli attinenti al genere, in termini di invalidità. Possiamo, però, ricordare alcune ricadute di tali sviluppi sul nostro tema, in quanto anche l’immigrazione solleva questioni che attengono al rapporto tra forma e consenso. Si può pensare a come i giudici europei abbiano condannato la Spagna per aver negato la pensione di reversibilità alla vedova di un gitano sposato solo col rito Rom, senza formalità di celebrazione(26). Frattanto, la nostra giurisprudenza ha valorizzato la rilevanza giuridica di un consenso, ricavabile dalla richiesta di entrambi gli interessati di avvalersi del matrimonio, anche laddove la forma dell’atto straniero non lo conteneva, in quanto recava non le dichiarazioni di volontà degli sposi ma solo quelle di scienza rese da testimoni terzi(27), oppure era addirittura formalizzato come compravendita della donna fra il padre ed il marito(28). A sua volta, il legislatore ha autorizzato le autorità amministrative ad opporre la mancanza di effettività di un consenso fittizio ai fini dell’ingresso e del soggiorno in Italia(29), così introducendo un meccanismo che sembra avvicinare la simulazione matrimoniale più a quella disciplinata in via generale dell’art. 1414 c.c., imprescrittibile e azionabile da tutti gli interessati, che non a quella sorta di annullabilità configurata dall’art. 123 c.c.: potrebbe quindi sorgere il dubbio se di tale azione abbiano la facoltà di avvalersi anche gli interessati privati, magari in sede ereditaria.
Ad ogni modo, che si voglia seguire la definizione tradizionale o concentrarsi sul solo consenso, la questione della bigamia parrebbe comunque da collocare nel campo dell’invalidità e non in quello dell’inesistenza, come confermano i primi interventi della prassi e della giurisprudenza. Infatti, ad un primo orientamento che riteneva non trascrivibile il matrimonio islamico, perché la poligamia lo renderebbe estraneo al nostro concetto di matrimonio(30), ne sono seguiti altri che lo ritengono per se trascrivibile, ferma restando l’intrascrivibilità del secondo matrimonio di chi sia concretamente bigamo(31). Del pari, i giudici di legittimità, di fronte al ricorso proposto dagli eredi legittimi di un de cuius italiano, secondo i quali la di lui moglie africana non avrebbe potuto considerarsi tale a fini ereditari, perché sposata secondo un diritto che ammette la poligamia(32), lo hanno rigettato richiamando tre fondamentali profili argomentativi che potranno tornare utili in ulteriori casistiche. In primo luogo, la Suprema Corte ha aderito alla già ricordata teoria di origine francese dell’ordine pubblico attenuato, per cui, a prescindere dalla valutazione negativa in astratto del matrimonio poligamico, si possono ammettere in concreto gli effetti riflessi sul piano successorio di quelli legittimamente contratti all’estero. È stato, inoltre, dato rilievo alla significativa circostanza che il matrimonio del caso di specie era stato di fatto monogamico. Si è precisato, infine, che la trascrizione non rileva, essendo quella dei matrimoni stranieri, a differenza di quella dei matrimoni religiosi, solo certificativa di effetti che comunque si producono in forza dell’ordinamento straniero, salvo il limite dell’ordine pubblico, per cui, se del caso, un matrimonio non trascritto né trascrivibile potrà avere effetti successori(33).
Sul piano tecnico, l’eventualità di un riparto della pensione di reversibilità, che del resto è già regolato in materia divorzile, non dovrebbe porre particolari difficoltà(34), né le creerebbe di per sé la suddivisione della quota uxoria in più parti. Non è escluso però che si ponga, come già in Francia, il problema del concorso fra gli effetti di un matrimonio islamico straniero e quelli di un matrimonio civile italiano, ed una soluzione potrebbe essere rinvenuta richiamando in via analogica l’art. 584 c.c., che ammette in termini generali la successione del coniuge putativo, escludendolo però in presenza di un coniuge vero, in contrasto con l’orientamento dominante sotto il Codice del 1865(35), e non regola espressamente l’ipotesi di un concorso fra più coniugi tutti putativi, il che consente alla dottrina di concludere in favore dell’ammissibilità di un riparto dell’eredità fra gli stessi, in mancanza di altri criteri di esclusione(36). Ebbene, se il matrimonio poligamico straniero va assimilato al matrimonio nullo ma esistente, eventualmente suscettibile di produrre gli effetti di quello putativo, ne potremmo dedurre l’ammissibilità di un concorso fra le mogli del poligamo, in analogia con l’ipotesi del concorso di coniugi tutti putativi, ma anche la loro esclusione in caso di concorso con un coniuge vero. Andrebbe però precisato che la moglie italiana potrà essere considerata coniuge vero non in quanto cittadina, per una sorta di insostenibile privilegio nazionale, ma solo se il suo matrimonio abbia preceduto quello/i straniero/i, poiché altrimenti lo stesso sarebbe nullo per bigamia in forza del vincolo estero, per cui in tal caso un eventuale concorso con le altre mogli in base al diritto nazionale del marito, operante grazie all’ordine pubblico attenuato, sarebbe per la donna un vantaggio, mentre non avrebbe alcun senso dover escludere le parti straniere in quanto tali(37).
Vi è poi un’ultima questione che possiamo per ora porre in termini solo interrogativi: sinora abbiamo considerato il problema della rilevanza del rapporto poligamico come matrimonio, ma ormai dovremmo porci anche quello del suo rilievo come convivenza di fatto, istituto cui la nuova normativa ha riconosciuto qualche rilievo pure in materia successoria(38). Pensiamo, ad esempio, al caso di quanti siano vincolati da un matrimonio poligamico celebrato in Italia secondo il rito islamico(39) e quindi per lo Stato, allo stesso modo di coloro che abbiano contratto un matrimonio non concordatario ma puramente canonico, risulteranno solo come parti di un rapporto fattuale(40). Sinora la giurisprudenza, specie ai fini del riparto del danno da morte, aveva fatto rientrare nella famiglia di fatto anche la convivenza tra una persona già sposata ed un terzo(41), mentre la nuova normativa esclude tali ipotesi dalla sua definizione di convivenza(42), ma non per questo elimina il rilievo degli istituti generali, dalle obbligazioni naturali alla responsabilità aquiliana, cui si erano nel recente passato richiamati i giudici, per cui adesso si renderà necessario ricostruire in sede interpretativa il diverso regime di queste ipotesi, in cui il rapporto familiare fattuale esiste, ma non è riconducibile al nuovo schema legale.


(1) E. GANS, Das Erbrecht in weltgeschichtlicher Entwickelung, Berlin, 1824, I, p. 33, avvertiva che il diritto ereditario di un popolo non si può comprendere al di fuori del contesto rappresentato dal diritto di famiglia.

(2) Nel Trecento vi era ancora chi dubitava della configurabilità di un reato di bigamia, in quanto il secondo matrimonio giuridicamente irrilevante non avrebbe potuto essere preso in considerazione neanche dal diritto penale, ma Baldo degli Ubaldi rispondeva escogitando la formula per cui certi atti «prohibita pro infectis quo ad sui firmitatem …, sed non habentur pro infectis quo ad facientis poenalitatem». Nel Seicento, invece, i dubbi si erano ormai dissipati e Prospero Farinacci poteva chiudere la sua trattazione penalistica della bigamia riprendendo tale impostazione ed accennando alla legittimità dei figli nati dal matrimonio nullo per tale causa, ma suscettibile di produrre gli effetti di quello che i canonisti già chiamavano matrimonio putativo. Si possono vedere in proposito: R. LANZILLO, Il matrimonio putativo, Milano, 1978, p. 49-52; G. MARCHETTO, “Primus fuit Lamech”. La bigamia tra irregolarità e delitto nella dottrina di diritto comune, in Trasgressioni. Seduzione, concubinato, adulterio, bigamia (XIV-XVIII secolo), a cura di S. Seidel Menchi, D. Quaglioni, Bologna, 2004, p. 43-105; M. GIROLAMI, Le nullità di protezione nel sistema delle invalidità negoziali. Per una teoria della moderna nullità relativa, Padova, 2008, p. 83-84, testo e nt. 91.

(3) Vengono in rilievo essenzialmente i numerosi Paesi afro-asiatici, da cui originano la gran parte delle correnti migratorie che stanno interessando oggi la nostra società, e nei quali il diritto islamico, che sul punto si rifà anche alla tradizione veterotestamentaria, consente la poliginia, purché il marito abbia i mezzi per mantenere adeguatamente tutte le mogli e non si superi il limite massimo tendenziale di quattro spose (cfr. Corano,4,3). Dobbiamo, però, accennare anche a società che conoscono modelli familiari ulteriori, come la poliandria, che era la norma a Ceylon e nel Tibet, prima di esservi proibita rispettivamente dagli inglesi nel 1860 e dai cinesi nel 1950, e lo è tuttora in Amazzonia, oppure la poliginandria, o matrimonio di gruppo, attestata presso vari popoli del Nepal, della Siberia e dell’Oceania (cfr. K.E. STARKWEATHER, R. HAMES, A Survey of Non- Classical Polyandry, in Human Nature, 2012, p. 149-172).

(4) CHANCERY DIVISION, In re Bethell, 38 Ch.D. 220 [1885 B. 2119.], 15 febbraio 1888, risolse in tal senso la questione, rifacendosi al precedente rappresentato da Courts of probate and divorce, Hyde vs. Hyde, [L.R.] 1 P. & D. l30, 20 marzo 1866, in cui, con riguardo ad una causa divorzile fra un uomo ed una donna entrambi inglesi ma unitisi in matrimonio mormone nello Utah, si era sancito che «a marriage contracted in a country where polygamy is lawful, between a man and a woman who profess a faith which allows polygamy, is not a marriage as understood in Christendom», e quindi «this Court cannot properly exercise any jurisdiction over such unions», senza che abbia alcuna rilevanza il fatto che all’estero si utilizzi per esse la parola matrimonio, in quanto «there is no magic in a name».

(5) Il riferimento è ad App Alger, 9 febbraio 1910, in Rev. crit. droit int. privé, 1913, p. 103. Si tenga presente che, nel contesto dell’Algeria francese, lo “straniero” poteva anche essere lo stesso algerino reso tale in casa propria, o a fortiori il suddito dei confinanti protettorati marocchino e tunisino, ma che a giudicare la causa non era un’autorità coloniale, né tantomeno indigena, bensì un vero tribunale europeo, in quanto i dipartimenti algerini della costa erano considerati territorio metropolitano. In proposito si possono vedere: A. DE TOCQUEVILLE, Travail sur l’Algérie, Paris, 1841; P. WEIL, Le statut des musulmans en Algérie coloniale. Une nationalité française dénaturée, in Acte du Colloque “La justice en Algérie: 1830-1962”, in Histoire de la justice, 2005, 1, p. 93-109; O. LE COUR GRANDMAISON, De l’indigénat - Anatomie d’un monstre juridique: le droit colonial en Algérie et dans l’Empire français, Paris, 2010.

(6) Come ebbe modo di notare il vicegovernatore del Punjab, l’estensione dell’impero britannico era così vasta, che i suoi magistrati non potevano più permettersi di «absolutely ignore all family relations among the great majority of the human race, treating all wives among them as mere concubines, all children as bastards» (D. FITZPATRICK, «Non- Christian Marriage», in Journal of the Society of Comparative Legislation, 1900, p. 359-387). Così, ad esempio, i giudici britannici attribuivano piena rilevanza ai matrimoni poligamici contratti a Singapore secondo l’ordinamento cinese, che all’epoca li ammetteva, laddove si trattasse di decidere le cause successorie tra cinesi relative a beni ereditari relitti in territorio coloniale, nelle quali si controverteva sulla portata della posizione di vantaggio riconosciuta da tale diritto alla moglie principale (t’sai) a scapito di quelle secondarie (t’sips): cfr. Supreme Court of straits settlement, In the matter of the Estate of Choo Eng Choon (1908) 12 S.S.L.R. 120, più noto come il Six Widows’ Case.

(7) Nella decisione del caso In Estate of Abdul Majid Belshah, 48 L.Q.R. 348 [1926], si accettò di applicare il diritto successorio islamico ai beni relitti da un iracheno che insegnava lingue orientali a Cambridge, ma aveva conservato il domicile nel Paese d’origine, riconoscendo così diritti ereditari anche alle due donne inglesi che aveva convertito e sposato, ancorché per il diritto britannico le stesse non fossero sue mogli.

(8) Il riferimento è a Committee for privileges, 25 luglio 1939, Sinha Peerage Claim, in Lord’s Journal, 1939, p. 350, che consentì ad Arun Sinha di ereditare il titolo di Barone conferito al padre, il primo membro indiano della Camera dei Lords, pur precisando, in maniera piuttosto curiosa per un sistema di common law, che tale decisione non avrebbe dovuto essere invocata come precedente nell’ipotesi di un matrimonio concretamente poligamico.

(9) Per poter riconoscere le pensioni di guerra alle vedove dei caduti arabi o indiani che si erano sacrificati per l’Impero durante la Seconda Guerra Mondiale, il Ministero competente aveva elaborato una complessa formula, in base alla quale «we would pay half the widow’s allowance of gratuity to the first widow and if the second widow was considered worthy, we would treat her as an innocent party to a bigamous marriage and as an unmarried dependent and go to Treasury to pay her something» (F.H. Johnstone a J.P. Carswell, PIN 15/4092, TNA, 5 marzo 1952). Nel frattempo avevano suscitato scalpore i dinieghi opposti dal National Insurance Tribunal alle richieste di prestazioni di reversibilità o maternità avanzate da immigrate africane o asiatiche, rigettate, nonostante la regolare posizione contributiva del marito a carico del quale vivevano, in quanto esse venivano considerate non sposate, in ragione della celebrazione delle nozze nel Paese d’origine secondo un diritto che ammetteva la poligamia, benché la loro vita familiare fosse sempre stata monogamica (cfr. J. BAILKIN, The Afterlife of Empire, Berkeley, 2012, p. 146-148). Infine il problema è stato risolto dalla sect. 3 del Family Allowances and National Insurance Act, 1956. Beninteso, non è certo un fenomeno inconsueto, né limitato al mondo di lingua inglese, quello per cui gli istituti della legislazione sociale tendono ad anticipare sviluppi che il diritto civile, di solito più conservatore e legato alle categorie della tradizione, segue solo successivamente.

(10) La svolta è stata preparata dall’elaborazione della Law Commission, il cui working paper n. 42 del 1972 si è poi tradotto nel Matrimonial Proceedings (Polygamous Marriages) Act 1972, e nella sect. 47 del Matrimonial Causes Act 1973, che hanno del tutto abrogato la regola di Hyde vs. Hyde, cit. Peraltro, anche se uno dei nubendi aveva il domicile in Inghilterra al tempo delle nozze, l’ipotesi non viene più inquadrata come non-matrimonio ma come matrimonio void, cioè nullo, il che consente di applicare la disciplina del matrimonio putativo a tutela dei figli (Legitimacy Act 1976, sect. 1). Infine la sect. 5 del Private International Law, Miscellaneous Provisions, Act, 1995 ha ulteriormente ridotto le ipotesi di nullità, sancendo la piena validità dei matrimoni potenzialmente poligamici, ma in concreto monogamici, anche se contratti da soggetti domiciliati in Gran Bretagna al tempo delle nozze.

(11) Si possono menzionare: App. Paris, 22 febbraio 1978, in Rev. crit. droit int. privè, 1978, p. 507; Cour de Cassation, 3 gennaio 1980, in Rev. crit. droit int. privè, 1980, p. 549, Cour de Cassation, 18 dicembre 1979, caso Bendeddouche, in Dalloz, 1980, p. 549, e Cour de Cassation, 8 novembre 1983, in Rev. crit. droit int. privè, 1984, p. 479. Per ulteriori riferimenti circa l’esperienza giuridica francese si rinvia al contributo di N. Thevenet Grospiron, in questo stesso volume.

(12) Gli esiti attinti in materia successoria sono stati, infatti, estesi pure alla materia delle pensioni di reversibilità, spesso in forza di convenzioni appositamente stipulate tra la Francia ed i Paesi di provenienza (cfr. Cour de Cassation, 22 aprile 1986, in Rev. crit. droit int. privè, 1987, p. 974; Cour de Cassation, 14 febbraio 2007, in Dr. fam., 2007, c. 99), ma non alle coperture in ambito sanitario, e ciò non tanto per un diverso modo di operare dell’ordine pubblico, bensì per ragioni contabili, giacché la reversibilità si può ripartire senza problemi, mentre estendere la copertura del marito assicurato implicherebbe un gravoso aumento dei costi per il sistema (cfr. Cour de Cassation, 1 marzo 1973, caso Sefouni, in Rev. crit. droit int. privè, 1975, p. 57; Cour de Cassation, 8 marzo 1990, caso Meguellati, in Rev. crit. droit int. privè, 1991, p. 694). Si può vedere in proposito A. TOULLIER, «Les tergiversations du droit de la protection sociale face à la polygamie», in Dr. social, 2007, p. 324-331.

(13) In tal senso è schierata ormai la maggioranza dei giudici iberici: cfr. Trib. Sup. Galicia, 22 aprile 2002, AS 2002/899; Trib. Sup. Madrid, 29 luglio 2002, AS 2002/3324; Trib. Sup. Canarias, 30 ottobre 2013, rec. n. 1701/11; Trib. Sup. Andalucìa, 18 giugno 2015, rec. n. 591/2015. Un orientamento minoritario invece si oppone, in nome di un’interpretazione più rigida dell’orden público: cfr. Trib. Sup. Cataluña, 30 luglio 2003, AS 2003/3049; Trib. Sup. Valencia, 6 giugno 2005, AS 2005/2454.

(14) Il riferimento è al Sozialgesetzbuch, 11 dicembre 1975, § 34.2.

(15) Trib. Funzione Pubblica Ue, 1 luglio 2010, F-45/07, caso Mandt c. Parlamento europeo, ha ammesso il riparto della pensione di reversibilità tra le due mogli di un funzionario europeo poligamo.

(16) Cfr. App. Liège, 23 aprile 1970, in Rev. crit. jur. b., 1971, p. 5.

(17) Il riferimento è alla Risoluzione approvata dalla IX Commissione dell’Institut de droit international, nella sessione tenutasi a Cracovia il 25 agosto 2005 (rapporteur P. Lagarde).

(18) Il riferimento è alla Raccomandazione, n. 29, del 30 ottobre 2013, in cui si richiama anche la precedente Raccomandazione, n. 21, approvata in esito alla 13° sessione del 17 gennaio - 4 febbraio 1994.

(19) Cour de Cassation, 17 febbraio 1982, caso Baaziz, in Rev. crit. droit int. privè, 1983, p. 275, con nota critica di Y. Lequette, aveva ritenuto la posizione della seconda moglie straniera sposata in Algeria con rito islamico opponibile in sede successoria anche a quella della prima moglie francese sposata in Francia con rito civile del medesimo immigrato, con l’effetto di dimezzare la porzione ereditaria spettante a quest’ultima, e nello stesso senso si era quindi espressa App. Paris, 8 novembre 1983, in Rev. crit. droit int. privè, 1984, p. 476.

(20) Le aspre critiche, che le decisioni citate nella nota che precede avevano suscitato in dottrina e nell’opinione pubblica, sono state infatti recepite da Cour de Cassation, 6 luglio 1988, in Rev. crit. droit int. privè, 1989, p. 71, con nota di Y. Lequette, secondo la quale in casi del genere l’ordre public impone comunque la piena tutela della cittadina francese e quindi l’esclusione dell’altra moglie dalla successione.

(21) Cour de Cassation, 1 dicembre 2011, in Rev. crit. droit int. privè, 2012, p. 339, con nota di P. Lagarde, ha rigettato la domanda di riparto della pensione di reversibilità, avanzata dalla seconda sposa nei confronti della moglie francese di un immigrato algerino.

(22) Il riferimento è a K.S. ZACHARIAE VON LINGENTHAL, Manuale del diritto civile francese, rimaneggiato da C. Crome e tradotto in italiano da L. Barassi, Milano, 1907-1909, I, § 126, e III, §§ 419, 421.

(23) Senza pretese di completezza, si possono ricordare: E. FINZI, Il possesso dei diritti, Roma, 1915, rist. Milano, 1968, con prefazione di Salv. Romano, p. 258 e ss.; A.C. JEMOLO, «La famiglia di fatto», in Riv. dir. civ., 1965, II, p. 398 e ss.; V. FRANCESCHELLI, «Il matrimonio di fatto: nozione, effetti e problemi nel diritto italiano e straniero», in Atti del convegno nazionale “La famiglia di fatto”: Pontremoli 27-30 maggio 1976, Montereggio 1977, p. 345 e ss.; G. STELLA RICHTER, «Appunti sulla nozione di matrimonio di fatto», ibidem, p. 159 e ss.; G. FURGIUELE, Libertà e famiglia, Milano, 1979, p. 285 e ss.; F. PROSPERI, La famiglia non fondata sul matrimonio, Napoli, 1980; F. GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983; M. DOGLIOTTI, Famiglia di fatto, in Dig., disc. priv., sez. civ., Torino, 2003, p. 705 e ss.; L. BALESTRA, «La famiglia di fatto tra autonomia ed eteroregolamentazione», in Nuova giur. civ. comm., 2007, 5, p. 194-206; F. ROMEO, Le unioni affettive non matrimoniali, Torino, 2014; A. PALAZZO, Eros e Jus, Milano, 2015; S. RODOTÀ, Diritto d’amore, Roma-Bari, 2015.

(24) Sulla concezione romana del matrimonium come res facti analoga al possesso si vedano: E. ALBERTARIO, Honor matrimonii e affectio maritalis, in Studi di diritto romano, I, Milano, 1933, p. 195 e ss.; ID., L’autonomia dell’elemento spirituale nel matrimonio e nel possesso romano-giustinianeo, ibidem, p. 211 e ss.; ID., Di alcuni riferimenti al matrimonio e al possesso in Sant’Agostino, ibidem, p. 229 e ss.; E. VOLTERRA, La conception du mariage d’après les juristes Romains, Padova, 1940; ID., Matrimonio (diritto romano), in Enc. dir., Milano, 1975, p. 726 e ss.; ID., «Precisazioni in tema di matrimonio classico», in Bull. ist. dir. rom., 1975, p. 245 e ss.; P. GIUNTI, Il matrimonio romano tra res facti e regolamentazione legislativa, in Civitas e Civilitas. Scritti in onore di F. Guizzi, II, Torino, 2013, p. 879 e ss.

(25) L’impostazione secondo la quale il matrimonio omosessuale straniero non andrebbe considerato come inesistente, ma semmai invalido o inefficace, già anticipata da A.C. JEMOLO, Il matrimonio, Torino, 1961, p. 48-57, ha trovato piena affermazione nell’ampia motivazione di Cass., 15 marzo 2012, n. 4184, in Dir. fam. pers., 2012, 2, p. 696. Si possono vedere al riguardo, anche per ulteriori riferimenti, A. GENTILI, Un ossimoro giudiziario: l’efficace inefficacia del matrimonio omosessuale, in Le coppie dello stesso sesso: la prima volta in Cassazione, a cura di R. Torino, Roma, 2013, p. 57-72, e M. RIZZUTI, «Inesistenza e invalidità del matrimonio nella più recente giurisprudenza italiana», in Actualidad Jurìdica Iberoamericana, 2015, 3-ter, p. 20-31.

(26) Cedu, 8 dicembre 2009, caso Munoz Diaz vs. Spain, ha statuito in tal senso con riguardo ad una fattispecie in cui l’immigrazione non assumeva specifico rilievo, trattandosi di persone appartenenti ad una comunità radicata da secoli sul territorio iberico. Il matrimonio di rito tradizionale Rom consiste in un contratto stipulato tra le famiglie in forma orale e pubblicizzato da una serie di festeggiamenti, ma privo di connotazioni religiose e di meccanismi di registrazione: si possono vedere in proposito, anche per ulteriori riferimenti: A. SIMONI, «I matrimoni degli “zingari”. Considerazioni a partire dal recente dibattito sulla gypsy law», in Daimon, 2002, p. 124- 156; E. MARCHI, «La famiglia Rom e problemi connessi all’incontro tra due ordinamenti», 2008, nonché EAD., «Pluralismo giuridico e Rom», 2011, entrambi in www.altrodiritto.unifi.it

(27) Prassi e giurisprudenza italiane, dovendosi confrontare con il problema della trascrivibilità degli atti di matrimonio, che in molti Paesi islamici vengono redatti in tal modo, ragionevolmente non li hanno configurati come giuridicamente inesistenti, ma ne hanno ammesso la trascrizione (Trib. Treviso, 9 maggio 2011, in Dir. fam., 2011, p. 1787), purché questa venga espressamente richiesta da entrambi i coniugi, così da far comunque salvo il principio della necessità del consenso dell’una e dell’altra parte (Min. Interni, circolare 13 ottobre 2011, n. 25).

(28) Di una vicenda in tema di ricongiungimento familiare decisa in tal senso dal Tribunale di Napoli, con pronunzia a quanto consta inedita, ha dato notizia il Corriere del Mezzogiorno, 18 marzo 2016.

(29) L’art. 29, comma 9, del Testo Unico sull’Immigrazione, di cui al D.lgs. 27 luglio 1998, n. 286, prevede che la richiesta di ricongiungimento familiare deve essere respinta, se si accerta che il matrimonio fatto valere a tal fine è stato celebrato al solo scopo di consentire alla persona interessata di entrare o soggiornare nel territorio dello Stato. Inoltre la L. 30 luglio 2002, n. 189, ha introdotto un comma 1-bis nell’art. 30 di tale Testo Unico, prevedendo che il permesso di soggiorno concesso allo straniero per motivi familiari venga revocato, se emerge che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza. Per alcuni casi applicativi si possono vedere: Cass., 20 aprile 2004, n. 7473, in Riv. dir. int. priv. proc., 2006, p. 494; nonché Cass., 7 luglio 2016, n. 13831, in www.cortedicassazione. it, che riconduce l’ipotesi in esame al concetto di abuso del diritto.

(30) In un primo tempo Min. Giustizia, circolare n. 1/54/ FG/3(86)1395, 4 febbraio 1987, riportata in R. CAFARI PANICO, Lo stato civile ed il diritto internazionale privato, Padova, 1992, p. 169, aveva dato indicazioni circa l’intrascrivibilità di ogni matrimonio che, essendo stato contratto secondo il diritto islamico che ammette poligamia e ripudio, andava considerato di per sé contrario all’ordine pubblico.

(31) Su richiesta dello stesso Ministero della Giustizia e di quello degli Esteri, Cons. Stato, parere 7 giugno 1988, in Servizi demografici, 1989, p. 74, ha confutato la correttezza della circolare di cui alla nota che precede, fornendo la base per l’intervento correttivo di Min. Giustizia, circolare n. 1/54/FG/3(86)1395, 3 ottobre 1988, in R. CAFARI PANICO, op. cit., p. 172, poi confermato anche da Min. Interni, circolare 26 marzo 2001, n. 2.

(32) Cass., 2 marzo 1999, n. 1739, in Giust. civ., 1999, 10, p. 2695, con nota di L. DI GAETANO, «I diritti successori del coniuge superstite di un matrimonio poligamico. Questione preliminare e validità nel nostro ordinamento dell’unione poligamica», ha riconosciuto la rilevanza a fini successori del matrimonio contratto da un italiano in Somalia secondo il diritto locale, rigettando le argomentazioni in senso contrario proposte dai parenti del de cuius, secondo i quali sarebbe stato inaccettabile riconoscere valore a tale coniugio, retto da un ordinamento che ammette la poligamia ed il ripudio. Parrebbe che la vicenda sia stata una sorta di tardiva derivazione di quella pratica del madamato, assai diffusa in epoca coloniale (ed immortalata da G. PUCCINI, Madama Butterfly, Milano, 17 dicembre 1904), che vedeva l’europeo stipulare con l’indigena quello che costei considerava un matrimonio secondo le sue tradizioni, salvo poi abbandonare senza problemi la donna ed i figli meticci, una volta terminato il servizio in colonia, giacché per l’ordinamento superiore tale unione non aveva mai avuto alcun valore (cfr. G. BARRERA, Patrilinearità, razza e identità: l’educazione degli italo-eritrei durante il colonialismo italiano (1885-1934), in Quaderni storici, 2002, p. 21-54; S. PONZANESI, The Color of Love: Madamismo and Interracial Relationships in the Italian Colonies, in Research in African Literatures, 2012, p. 155-172).

(33) Sin dalla relazione del ministro A. Rocco al D.d.l. divenuto la L. 27 maggio 1929, n. 847, si ripete che la trascrizione dei matrimoni stranieri, celebrati in forma laica o religiosa a seconda dei diversi ordinamenti dei Paesi di provenienza, avrebbe una funzione certificativa di effetti che si producono in forza delle leggi straniere, mentre quella dei matrimoni concordatari, o comunque confessionali, celebrati in territorio italiano sarebbe davvero costitutiva di effetti giuridici (cfr. Cass., 28 aprile 1990, n. 3599, in Giur. it., 1991, p. 1072; Cass., 17 settembre 1993, n. 9578, in Giust. civ., 1994, p. 7; Cass., 19 ottobre 1998, n. 10351, in Fam. e dir., 1999, p. 79; Cass., 18 luglio 2013, n. 17620, in www.cortedicassazione.it; Trib. Milano, 22 febbraio 2016, in www.ilcaso.it). Peraltro, sulla base di tali premesse, la prassi notarile si è già espressa a favore dell’efficacia successoria in Italia del matrimonio contratto fra stranieri all’estero anche se non trascritto né trascrivibile, con riguardo alla diversa tematica dei same- sex marriages (cfr. C. FERRETTO, «La rilevanza notarile dei matrimoni omosessuali contratti all’estero», studio n. 1-2015/E2020, del Consiglio Nazionale del Notariato). Le medesime conclusioni valgono anche per i matrimoni tra stranieri celebrati da autorità consolari estere in Italia, mentre il cittadino non può comunque sposarsi in Italia dinanzi ad un console straniero, per cui tale atto risulterebbe sempre inefficace ed intrascrivibile (cfr. art. 63, comma 2, lett. d, Ordinamento dello Stato Civile).

(34) Com’è noto, l’art. 9, comma 3, della L. 1 dicembre 1970, n. 898, regola la peculiare ipotesi del riparto della pensione di reversibilità fra il coniuge divorziato, o i coniugi divorziati, ed il coniuge superstite del de cuius, indicando come criterio cui attenersi in via principale quello della durata dei rispettivi matrimoni, benché la giurisprudenza abbia precisato che occorrerà prendere in considerazione anche la situazione economica delle parti (Corte Cost., 4 novembre 1999, n. 419, in www.cortecostituzionale.it) e la durata della loro convivenza prematrimoniale (Cass., 15 ottobre 2012, n. 17636, in Giur. it., 2012, p. 2525).

(35) Per la dottrina elaborata sotto il vigore del Codice Pisanelli, si possono ricordare la posizione di A. TODARO DELLA GALIA, I diritti del coniuge superstite, Torino, 1886, II, p. 281 e ss., secondo il quale al coniuge putativo si sarebbe dovuta attribuire una quota uguale a quella del coniuge vero, a scapito però degli altri chiamati e con esiti impraticabili quando la quota in questione fosse di più della metà, e quella più raffinata di V. POLACCO, Di un caso singolare di successione fra coniugi, in Atti della R. Accademia di Padova, 1896, p. 273-308, che proponeva invece di formare la quota del coniuge putativo per detrazione proporzionale da tutte le altre, compresa quella del coniuge vero astrattamente considerata, mentre la dottrina maggioritaria (cfr. F. RICCI, Diritto civile, Torino, 1886, III, p. 132; F. FILOMUSI GUELFI, Diritto ereditario, I, Parte generale, Successioni legittime, Roma, 1909, p. 280 e ss.; P. MELUCCI, Il diritto di successione, Napoli, 1910, p. 333 e ss.; M. CRISAFULLI, Il matrimonio putativo in diritto civile, Torino, 1915, p. 130; M.T. ZANZUCCHI, Le successioni legittime, Milano, 1927, p. 166 e ss.; F. SANTORO PASSARELLI, Appunti sulle successioni legittime, Roma, 1930, p. 106 e ss.; L. COVIELLO, Successione legittima e necessaria, Milano, 1938, p. 228 e ss.), semplicemente riteneva che si dovesse dividere in parti uguali la quota del coniuge tra quello vero e quello putativo.

(36) La successione legittima del coniuge putativo in assenza di un coniuge vero, e sempre che l’annullamento del matrimonio sia intervenuto solo dopo l’apertura della successione, è prevista senza ulteriori limitazioni dall’art. 584, comma 1, c.c. Pertanto, R. LANZILLO, op. cit., p. 222, ne deduce ragionevolmente che, qualora tale vicenda riguardi più matrimoni dello stesso de cuius, la quota in discorso andrebbe divisa in parti eguali fra i diversi coniugi putativi.

(37) Insomma, se il primo matrimonio straniero è stato contratto secondo un diritto improntato al principio monogamico, il secondo matrimonio italiano non produrrà effetti successori, come non li produrrebbe in presenza di un primo matrimonio italiano in forza dell’art. 584 c.c. Se, invece, il primo matrimonio straniero era astrattamente o concretamente poligamico, può darsi che per il diritto in questione sia valido pure il successivo matrimonio italiano e che quindi, in nome dell’ordine pubblico attenuato, anche il nostro ordinamento possa riconoscere effetti successori a tutti i rapporti coniugali in discorso. Non si vede, però, perché mai in siffatta ipotesi il secondo matrimonio italiano dovrebbe implicare l’esclusione dalla successione delle parti straniere del preesistente coniugio poligamico. Alla luce della giurisprudenza che nega valore di ordine pubblico alla tutela dei legittimari (Cass., 30 giugno 2014, n. 14811, in Dir. succ. fam., 2015, p. 563, con nota critica di E. CALÒ, «La vedova non è più allegra: la mancanza di reciprocità con Cuba preclude lo status di legittimario»), si può anche convenire con la precisazione che in tal caso la moglie italiana concorrerà nella quota che le attribuisca la legge straniera, non avendo un diritto a conseguire comunque la quota riservatale dal diritto italiano (così E. CALÒ, «I riflessi dell’immigrazione islamica sul diritto di famiglia», in Fam. dir., 2009, p. 85-92, in polemica con G. CONETTI, «La successione del musulmano poligamo», in Studium iuris, 1997, p. 247-250).

(38) Si allude naturalmente alla L. 20 maggio 2016, n. 76, nota come “legge Cirinnà” dal cognome della relatrice parlamentare. In questa sede non è possibile dilungarsi sulle numerose problematiche che ad essa si connettono, ma possiamo ricordare che un vero e proprio diritto successorio del convivente superstite vi è stato introdotto con l’art. 1, comma 42. Tra i primi commenti alla nuova normativa, senza pretese di completezza, si possono menzionare: L. BALESTRA, «Unioni civili e convivenze di fatto: brevi osservazioni in ordine sparso», in giustiziacivile.com, 20 aprile 2016; S. LANDINI, «D.d.l. su unioni civili e convivenze di fatto. Gli intenti del legislatore tra diritto vigente e diritto vivente», in www. osservatoriosullefonti.it; L. LENTI, «La nuova disciplina della convivenza di fatto: osservazioni a prima lettura», in www.juscivile.it, n. 4; M. RIZZUTI, «Prospettive di una disciplina delle convivenze: tra fatto e diritto», in giustiziacivile.com, 12 maggio 2016; F. GAZZONI, «La famiglia di fatto e le unioni civili. Appunti sulla recente legge», in www.personaedanno.it; R. PACIA DEPINGUENTE, «Unioni civili e convivenze», in www. juscivile.it, 2016, n. 6; E. QUADRI, «“Unioni civili tra persone dello stesso sesso” e “convivenze”: il non facile ruolo che la nuova legge affida all’interprete», in Corr. giur., 2016, p. 893-903.

(39) Beninteso, un ministro del culto islamico può celebrare un matrimonio pienamente efficace per l’ordinamento italiano assumendo la qualità di delegato dell’ufficiale di stato civile ai sensi della legge sui culti ammessi (L. 24 giugno 1929, n. 1159), ancora applicabile in assenza di un’Intesa ex art. 8 Cost. con la comunità musulmana. Però, l’autorizzazione a tal fine necessaria verrebbe di certo negata, qualora si trattasse di un coniugio concretamente poligamico, ed in tal caso potrà quindi essere celebrato solo un matrimonio meramente religioso, insuscettibile di essere preso in considerazione dallo Stato italiano. Infatti, come abbiamo già ricordato, mentre il matrimonio straniero può assumere rilevanza anche se non trascritto né trascrivibile, per quello religioso invece la trascrizione, impossibile nel caso che ci occupa, risulta pregiudiziale a qualunque efficacia.

(40) Molto prima che si aprisse il moderno dibattito sulle convivenze, la giurisprudenza aveva già riconosciuto la risarcibilità del danno cagionato dalla morte della persona sposata con matrimonio solo religioso e qualificava come adempimento di un’obbligazione naturale le prestazioni effettuate in tale contesto (cfr. Cass. Roma, 19 maggio 1911, in Foro it., 1911, I, c. 798). Si trattava, in effetti, di una vicenda non infrequente quando non era ancora intervenuta la Conciliazione, per cui il matrimonio civile era sentito da molti come il portato della “nefanda legge”, istitutiva di un “contratto di accoppiamento” (cfr. P. UNGARI, Storia del diritto di famiglia in Italia (1796-1942), Bologna, 1974, p. 155-162), ma che risulta ampiamente attestata anche in seguito, poiché consentiva alle vedove di guerra di rendere più rispettabile la loro posizione, conservando però la pensione.

(41) Cass., 7 giugno 2011, n. 12278, in Giust. civ. Mass., 2011, 6, n. 852, ha equamente suddiviso il risarcimento del danno da morte tra la moglie e l’altra convivente dello stesso uomo, mentre Cass., 16 giugno 2014, n. 13654, in Foro it., 2014, 7-8, I, p. 2055, il celebre caso Gucci, ha condannato la moglie, mandante dell’omicidio del marito, a risarcire anche il danno da morte arrecato alla convivente.

(42) Infatti, l’art. 1, comma 36, della predetta L. 76 del 2016 definisce i conviventi come «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile». Anche la nuova convivenza legalmente qualificata risulta dunque retta del principio monogamico.

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