Rent to buy di azienda: specificità dell’oggetto e funzioni (possibili) del contratto
Rent to buy di azienda: specificità dell’oggetto e funzioni (possibili) del contratto
di Anna Carla Nazzaro
Ordinario di Diritto privato, Università di Firenze

Definizione legale della fattispecie

La definizione della fattispecie legale è a tutti nota: l’art. 23 del D.l. 12 settembre 2014, n. 133 (c.d. decreto “Sblocca Italia”), convertito con la legge 11 novembre 2014, n. 164 statuisce che «i contratti, diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l’immediata concessione del godimento di un’immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto, sono trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis c.c. La trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all’art. 2643, comma 1, n. 8, del codice civile».
Volendo ricavare da questa disciplina una definizione di fattispecie è possibile affermare che il rent to buy è quel contratto (rectius operazione economica(1)) che permette di ottenere l’immediato godimento di un bene a fronte di un differimento del passaggio di titolarità. L’operazione è più frequentemente utilizzata per l’acquisto della prima casa, ma nulla vieta che lo schema possa essere impiegato anche in contratti che abbiano ad oggetto beni differenti(2). Tuttavia, poiché la convenienza dell’operazione deriva soprattutto dal trattamento fiscale riservatole(3), il mutamento dell’oggetto non sempre è indifferente ai fini della sua costruzione giuridica.
Trattandosi di un accordo sviluppatosi innanzitutto nella prassi dei traffici commerciali(4) e forse non ancora disciplinato (di certo non compiutamente) dal legislatore, è opportuno muoversi lungo due direttrici parallele che soltanto alla fine potranno, anche se a fatica, essere ricondotte ad unità. Innanzitutto, è necessario muovere dall’esistente e cioè dalle poche norme che disciplinano la figura, dalla scarsa ma variegata prassi contrattuale e dalle possibili costruzioni giuridiche e, in primis, è d’obbligo il richiamo all’art. 23 riportato in apertura: che si tratti di una regolamentazione specifica per il contratto di rent to buy, come da molti commentatori, anche se non da tutti, affermato(5), è quantomeno dubbio, se non altro per la delimitazione dell’oggetto e del mercato di riferimento (quello immobiliare appunto) che testimonia la volontà (per vero esplicitamente indicata anche nella denominazione del decreto) di trovare soluzioni che rispondano alla attuale situazione di crisi economica della quale quel mercato prevalentemente risente(6).
La stessa disciplina poi conferma l’impressione da ultimo riportata, con il riferimento espresso agli immobili e la previsione di regole specifiche per l’«abitazione», con il richiamo alla trascrizione(7) e con qualche ammiccamento alla disciplina della locazione ad uso abitativo(8); non sembra invece idonea a regolamentare, neanche analogicamente, fattispecie economicamente più complesse e più bisognose di flessibilità come quelle aventi ad oggetto aziende o comunque attività economiche.
Quanto poi alla prassi, è necessario nuovamente muovere dal mercato immobiliare perché è da quello che la figura contrattuale (come anche la crisi economica attuale) è nata(9). E, muovendo da quel mercato, è opportuno specificare più nel dettaglio lo schema economico dell’operazione: un soggetto che ha interesse ad acquistare un immobile, ma nel contempo non ha la liquidità da impegnare nell’operazione, conclude un accordo che gli garantisce il godimento immediato del bene a fronte del pagamento di un corrispettivo con l’impegno, o la facoltà, di acquistare il bene ad una data prestabilita e ad un prezzo prefissato. Il corrispettivo pagato per il godimento (che mediamente è più alto rispetto a quello del mercato delle locazioni immobiliari) in parte è destinato a remunerare la concessione in godimento, in parte rappresenta una anticipazione del prezzo futuro di acquisto (che corrispondentemente risulta più basso dei prezzi mediamente presenti sul mercato delle compravendite). Del resto, anche il legislatore ha adottato questa soluzione quando nel primo comma dell’articolo su menzionato fa riferimento all’imputazione a corrispettivo di una parte di canone.
Per intendersi, la scelta legislativa è tra le più opportune soprattutto in considerazione del fatto che il problema più complicato, individuato dagli studiosi prima dell’entrata in vigore della disciplina, era proprio la definizione dello schema giuridico che permettesse di imputare a corrispettivo della vendita una somma pagata per il godimento e cioè a titolo di locazione(10), essa tuttavia tradisce l’idea di fondo che è quella di considerare il contratto come composto da un contratto che trasferisca il potere di utilizzazione del bene e da una compravendita, dando prevalenza alle esigenze di godimento, siano esse abitative o produttive(11).
Non sembra invece che questo schema esaurisca tutti gli interessi potenzialmente sottesi alla vicenda(12). Per anticipare conclusioni che spero risulteranno adeguatamente supportate al termine del discorso, sembra proponibile che l’operazione in parola possa ben prestarsi a reggere operazioni con funzioni differenti ed ulteriori anche di natura organizzativa e finanziaria(13).
Del resto, ove lo scopo fosse semplicemente quello di permettere il godimento immediato a fronte di un pagamento e di un trasferimento di titolarità futuri, non sarebbe stato necessario proporre un nuovo schema contrattuale potendosi utilizzare altre formule che spesso sono anche state richiamate per qualificare il contratto in oggetto. Così la locazione con patto di futura vendita, o la concessione in usufrutto seguita da una vendita, o, ancora, il preliminare ad effetti anticipati o, la vendita a rate con riserva di proprietà, o infine, in uno schema più complesso, locazione e vendita entrambe gravate da una condizione in un caso risolutiva e nell’altro sospensiva(14).

Segue: Il rent to buy di azienda

Ancora più scarni se non del tutto assenti sono poi i riferimenti legislativi che è possibile utilizzare per le operazioni di rent to buy di azienda.
Nell’esiguità anche del dibattito dottrinale, i caratteri dell’operazione possono essere desunti dagli schemi di contratto offerti, soprattutto a scopo pubblicitario, dai diversi imprenditori che si propongono in questo nuovo mercato.
Il contratto ha normalmente una fase triennale di affitto (in tema di azienda, trattandosi di bene produttivo, non si può parlare di locazione)(15) e una successiva cessione. In particolare lo schema più comunemente utilizzato è quello che sfrutta il collegamento negoziale tra un contratto d’affitto d’azienda e un preliminare di compravendita o, in alternativa, un’opzione di acquisto.
Lo schema ricalca comunque quello del rent to buy immobiliare e cioè la fase dell’affitto funge anche da accantonamento del prezzo di cessione: in genere i contratti prevedono il versamento di una caparra pari al 25/30% del valore totale dell’operazione; l’accantonamento ai fini della cessione del 70% del canone mensile pagato, e l’operazione viene costruita in modo che il cessionario dovrà versare all’atto della cessione il rimanente 50%.
La specificità rispetto alla cessione immobiliare è che in questi casi il versamento iniziale e l’accantonamento operato nella fase di affitto, entrambi cospicui, potrebbero portare a ridurre o addirittura ad azzerare il finanziamento degli istituti creditizi. Inoltre, l’acquisto del possesso del bene equivale alla possibilità di iniziare, o continuare, un’attività produttiva, che nell’ipotesi fisiologica dovrebbe creare i profitti necessari ad assicurare il buon esito dell’operazione(16).
E, in questa prospettiva, allora, la maggiore differenziazione del rent to buy rispetto alle ipotesi di collegamento negoziale che consentono di anticipare il godimento rispetto al trasferimento della proprietà, è proprio nella centralità del godimento che assume un contenuto ed un carattere differente rispetto alla locazione o, per quel che qui maggiormente interessa, all’affitto. Si tratta infatti di un godimento funzionale all’acquisto della proprietà(17).
Proprio quest’ultima considerazione, inquadrata nella specificità della gestione dell’impresa, rende palese che l’utilizzazione dello strumento del rent to buy, ove declinato alla soddisfazione di uno scopo imprenditoriale, evidenzia il sorgere di nuovi e diversi interessi e, specificamente: per il conduttore la possibilità di valutare la capacità reddituale dell’azienda, la reale competitività del settore, tutto agevolato da una maggiore flessibilità in uscita dal mercato; per il concedente la rivitalizzazione dei valori dell’azienda dovuta ad una nuova e diversa gestione imprenditoriale che verosimilmente coniugherà diversamente rischio e rendimento.
In questa prospettiva poi, dal collegamento negoziale tra i due contratti derivano rigidità che non permettono di valutare isolatamente le due parti di cui è composta l’operazione, ma chiedono necessariamente una considerazione unitaria. Così, ad esempio, se l’art. 2565, comma 2, c.c. disciplina il trasferimento della ditta tra cedente e cessionario come facoltà e l’art. 2561 c.c. vieta all’affittuario di mutare la ditta, è ovvio che nell’intera operazione quest’ultima sarà necessariamente oggetto di cessione. Del resto, ove guardata nella sua funzione di conservazione dell’avviamento e simbolo di continuità aziendale, la ditta rappresenta una prerogativa dell’azienda alla quale non si può facilmente rinunciare.
Tra l’altro l’operazione di rent to buy aziendale impone anche di rivedere le teorie comunemente accettate in tema di trasferimento di crediti e debiti. Infatti, se è vero che in tema di cessione d’azienda gli artt. 2559 e 2560 c.c., a differenza dell’art. 2558 c.c., non ampliano il proprio ambito applicativo all’affitto, per cui si afferma che per il trasferimento dei crediti resterebbe applicabile l’art. 1265 che lega l’opponibilità del trasferimento alla notifica al debitore e per i debiti si reputa applicabile l’art. 1273 in tema di accollo, è pur vero che il collegamento negoziale tra affitto e cessione e la finalizzazione complessiva dell’operazione al trasferimento potrebbero far propendere per una soluzione di trasferimento automatico(18).

La specificità del bene azienda e i suoi riflessi sulla disciplina

Tentare una definizione del concetto di godimento di azienda sconta la soluzione del preliminare problema dell’inquadramento giuridico di quest’ultima e della composizione, per quel che qui più interessa, dell’eventuale conflitto tra gestore e proprietario.
In altri termini, se godimento di azienda equivale a gestione del complesso di beni organizzato per l’esercizio dell’impresa(19), allora il concetto di godimento non potrà mai essere inquadrato nella statica soddisfazione degli interessi del proprietario, ma si deve necessariamente riempire di contenuto in funzione delle necessità dell’attività cui i beni sono destinati(20).
Nella scelta tra interesse alla produttività del complesso di beni e interesse alla percezione delle utilità ricavabili dal singolo bene dal proprietario, parametro di valutazione è l’art. 41 Cost. che, nel consacrare la rilevanza dell’iniziativa economica privata(21), permette di individuare chiaramente il rapporto tra la situazione proprietaria e quella relativa all’iniziativa economica privata. Così, la regolamentazione degli atti di iniziativa economica privata definibili in chiave dinamica incide anche sul diritto di proprietà. Se ciò è vero in linea generale con riferimento ad una qualunque situazione di gestione dell’impresa che non è inficiata dal titolo di proprietà dei beni appartenenti al complesso aziendale, allora anche la proprietà dell’azienda nel suo complesso non può influire sui poteri e sui doveri dell’imprenditore la cui attività deve essere invece comunque orientata al soddisfacimento dello scopo(22). Lo scopo è tuttavia quello preesistente al contratto di cessione (o, al limite, in esso definito)(23) e l’affittante dovrà comunque operare una gestione che preservi la produttività del complesso aziendale in vista del raggiungimento di esso. Calare queste considerazioni, comunemente accettate in dottrina, nello schema del rent to buy di azienda, induce a riflessioni di non poco conto. Infatti, nel contratto del quale qui si discute, di là dalle singole pattuizioni specifiche e dalle distorsioni dello schema sempre possibili nella prassi, lo scopo è quello di funzionalizzare il periodo dell’affitto alla successiva alienazione. E in quest’ottica la centralità del godimento assume un ruolo ancora più pregnante e necessita di una ancora maggiore definizione dei limiti di operatività della libertà del gestore. Nel rent to buy di azienda gestione per il godimento e gestione funzionalizzata all’acquisto si fondono nel concetto univoco di gestione in vista dell’aumento di produttività del complesso aziendale. Del resto, la cristallizzazione preventiva dei trasferimenti di denaro dovuti, che rende il risvolto economico dell’operazione indipendente dalla effettiva consistenza economica del bene al termine dell’operazione, aiuta in questa direzione. E allora la gestione del concessionario diviene un elemento di convenienza economica dell’affare laddove una gestione che aumenti in misura esponenziale la produttività del complesso aziendale non potrà che rivelarsi proficua per il gestore medesimo che si ritroverà al termine dell’intera operazione ad acquistare, al medesimo prezzo pattuito, un bene che risulti di valore sicuramente superiore. La unitarietà del bene azienda e la sua funzionalizzazione all’attività d’impresa, nel giustificare la prevalenza delle ragioni dell’impresa rispetto a quelle della proprietà dei singoli beni(24), può rendere ancora più conveniente l’operazione sganciando la possibilità di utilizzazione dei singoli beni dalla loro titolarità. In altri termini, nel rent to buy di azienda, l’esistenza delle specificità dell’azienda, permette di concludere operazioni che superano le problematiche relative al mutamento di titolarità e, per tale ragione, nel rappresentare uno strumento completamente differente rispetto al rent to buy immobiliare, si possono rinvenire interessi ulteriori rispetto al semplice acquisto finale, assumendo invece un ruolo centrale la gestione produttiva del bene. Infatti, l’affittuario di azienda gode di ampi poteri (anche di disposizione) dei beni che non sembra possano essere delimitati sulla base di una distinzione operata avendo riguardo alla qualità dei differenti beni aziendali, ma necessita, per il fine della definizione del suo contenuto, di una valutazione della funzione dell’atto dispositivo: l’alienazione di materie prime, ma anche di cespiti, può essere valutata soltanto con riferimento alla attività che tramite quell’azienda deve essere svolta.
Una riprova di tale conclusione si può rinvenire anche nella disciplina dell’affitto di azienda che, con il suo richiamo quasi integrale all’usufrutto di azienda, fa perdere centralità ai dubbi relativi alla opportunità della scelta legislativa, nel rent to buy immobiliare, di applicare per il periodo antecedente al riscatto le norme dell’usufrutto e non quelle dell’affitto. Una per tutte, l’obbligo di gestione che l’art. 2561 c.c. impone all’usufruttuario di azienda; esso può spiegarsi proprio in ragione della produttività del bene che sarebbe deteriorato da una mancata gestione. In altri termini: quando oggetto del godimento sia un’azienda, l’utilizzazione diventa un obbligo(25), ma ciò deriva non dalla necessità di tutelare un interesse del proprietario alla gestione, bensì dalle caratteristiche del bene dato in godimento: la mancata gestione dell’azienda comprometterebbe l’esistenza di alcune sue qualità, tra le quali l’avviamento.

Funzioni del contratto: due esempi

L’oggetto dell’operazione di godimento/trasferimento condiziona, dunque, i doveri delle parti del contratto; non è possibile cioè che venga trasferito, neanche nella prima fase del contratto, un mero godimento, ma è necessario che il cessionario assuma su di sé anche un obbligo attivo di gestione. Del resto, anche rimanendo ancorati alle operazioni immobiliari, oltre all’interesse al godimento immediato a fronte di una carenza di liquidità, i commentatori, soprattutto quelli interessati a definire le differenze con il contratto di leasing, rimarcano che l’operazione economica è diretta a creare una base di fiducia creditizia tale da consentire all’utilizzatore conduttore di provare quella solvibilità che serve alle banche per erogare un finanziamento(26). Si parla al riguardo di costruzione di uno storico creditizio. Così si afferma che mentre nel contratto di leasing la società concedente si sostituisce al sistema creditizio assumendo la posizione di finanziatore, nell’operazione di rent to buy l’intero schema negoziale sarebbe finalizzato proprio all’ottenimento del finanziamento dal sistema bancario.
Quanto questa affermazione sia da verificare alla luce della oramai consolidata distinzione giurisprudenziale tra leasing operativo e di finanziamento(27) non è materia di questo studio, ma pure superando il problema della distinzione con il leasing è proprio un anche superficiale sguardo al funzionamento dei meccanismi di concessione dei mutui bancari che smentisce l’assunto.
È oramai tristemente noto infatti che non è sufficiente l’esistenza di uno storico creditizio a condizionare le scelte (se tali possono ancora essere chiamate) dell’Istituto bancario nella concessione del mutuo(28). Parametri imposti anche da normative europee fissano oramai rigidi paletti legati al valore dell’immobile sul quale iscrivere ipoteca, alla capacità reddituale del cliente alla sua esposizione debitoria complessiva oltre che ovviamente alla sua solvibilità(29).
Ancora una volta, differente deve essere la valutazione del rent to buy di azienda:
in questo caso è ipotizzabile una funzione di consolidamento patrimoniale idonea a creare le basi per ottenere, con maggiore facilità, un finanziamento bancario.
Come si è detto, infatti, l’affitto di azienda, a differenza della locazione di immobile, non rappresenta un semplice contratto di godimento di un bene, ma definisce una situazione di uso produttivo di un complesso aziendale, di là dalla titolarità dei singoli beni. E se nell’ipotesi di operazione immobiliare l’aver pagato qualche anno di canone di locazione non sembra possa essere risolutivo per la banca legata invece a parametri ipotecari e reddituali, nel caso invece di rent to buy aziendale l’attività produttiva svolta con l’azienda affittata può essere la base per la predisposizione di un progetto imprenditoriale da sottoporre alla valutazione dell’istituto di credito ai fini del finanziamento. La differenza rispetto ad un’operazione immobiliare è palese: l’azienda ha un proprio valore perché utilizzata in una attività d’impresa ed è il risultato complessivo di quell’attività che contribuisce a conferirle valore. La valutazione dell’istituto di credito potrà essere dunque molto simile a quella operata al termine di una operazione di affitto come differenza di valore (finale e iniziale) desumibile dal bilancio di cessione.
La soluzione da ultimo indicata ci offre anche un ulteriore spunto per valutare la funzione dell’intera operazione che, di là dalle analisi di convenienza di una parte o dell’altra, tende a sfruttare la produttività di un’azienda indipendentemente dal proprietario. In quest’ottica se parte rilevante dell’eventuale concessione di un finanziamento è proprio la solidità dell’azienda, allora si può con maggior fermezza affermare che tale operazione potrebbe raggiungere lo scopo legato al finanziamento bancario. In altri termini, è di nuovo la specificità dell’oggetto del contratto (cioè dell’azienda) a definire dall’interno la funzione del contratto per cui, se la gestione è centrale e connaturata al godimento dell’azienda, allora la valutazione della fattispecie non potrà prescindere dal comportamento imposto al cessionario il quale trova il suo parametro di valutazione nel valore dell’azienda in tutte le fasi di vita del contratto. E, in aggiunta, se la gestione è centrale allora il contratto, valutato in funzione della valorizzazione di quella gestione, può assolvere anche a funzioni differenti e ulteriori rispetto al mero trasferimento finale della proprietà. Trasferimento che, come si è tentato di dimostrare, può essere non prioritario per l’imprenditore.

L’utilizzabilità del rent to buy di azienda nel passaggio generazionale d’impresa

Una ulteriore possibilità da esplorare è che il contratto di rent to buy di azienda sia utilizzato allo scopo di favorire una corretta successione generazionale dell’impresa familiare(30).
La proposta si inserisce nella scia dei numerosi tentativi che la dottrina porta avanti per favorire la continuità di impresa nelle ipotesi di morte dell’imprenditore(31), continuità che potrebbe essere inficiata dalle rigide norme in materia successoria(32) e la cui convenienza deve essere necessariamente verificata con una attenta analisi delle norme fiscali(33).
Immaginiamo che il concedente sia l’imprenditore e il concessionario uno degli eredi e immaginiamo che il contratto sia stipulato in un periodo nel quale, per età o per malattia dell’imprenditore, egli inizi a sentire la necessità di programmare il passaggio generazionale, immaginiamo infine, che esso sia altresì stipulato per la durata massima consentita dal legislatore per l’operatività delle tutele accordate dalla trascrizione (10 anni).
Al termine del contratto, possono aprirsi diversi scenari.
Il concedente è ancora in vita, il concessionario può decidere se esercitare l’opzione avendo scontato già gran parte del prezzo di cessione dell’azienda concordato e potrebbe, avendo già gestito l’azienda per 10 anni, aver creato i presupposti per ottenere un finanziamento o autofinanziare l’acquisto. Ben sapendo, tra l’altro che quella somma andrà a incrementare il patrimonio del concedente del quale egli presto o tardi sarà erede.
Il concedente muore prima della scadenza del contratto. A questo punto si apre la successione, ma siamo certi che l’azienda, sulla quale pende un diritto di opzione possa essere smembrata e divisa tra i diversi eredi? In tal modo si precluderebbe di fatto l’esercizio dell’opzione, negando quindi un diritto attribuito. Gli eredi, pur essendo titolari del diritto di proprietà dell’azienda e dei loro beni si ritrovano tuttavia nella posizione di titolari di una fattispecie a formazione progressiva nella quale il compimento dell’atto finale dipende dalla volontà di un terzo. Quest’ultimo poi, anch’egli chiamato all’eredità potrà godere, di fatto, di una situazione economica di favore poiché il prezzo da pagare, già fissato in anticipo, sarà ridotto della quota dei canoni già pagati imputata al prezzo finale è della quota a lui spettante del patrimonio del de cuius.
La verifica della compatibilita con il complesso sistema successorio è ovviamente lasciata alla valutazione delle singole ipotesi concrete che si vorranno attuare(34). Dipenderà dal prezzo di acquisto dell’azienda(35), anche se la valutazione dovrà essere fatta al momento della conclusione del contratto e non a quello dell’apertura della successione. Dipenderà dalle scelte contrattuali di obbligatorietà o meno della vendita(36), poiché è ovvio che il meccanismo può avere una concreta utilità soltanto se al futuro acquirente è attribuito un diritto di opzione vincolante per i venditori.
Sarà comunque la prassi commerciale e le decisioni giurisprudenziali a darci una risposta.
Ciò che conta, per quanto in questa sede ci si propone, è la considerazione che lo schema del rent to buy può rappresentare un’utile risposta ai problemi sollevati nel campo del passaggio generazionale d’impresa dall’inadeguatezza del testamento e del meccanismo della successione legittima.

Accantonamento di una quota di canone e assimilabilità agli investimenti operati mediante piani di accumulo

Nella ricerca della funzione economica del contratto, sembra interessante verificare anche se non sia possibile individuare nel rent to buy una struttura che non sia basata su una carenza di liquidità, ma che si sviluppi su una precisa scelta di investimento(37).
Non da ora è in corso una riflessione sulle ragioni che possono orientare nella scelta tra locazione e compravendita anche soltanto della casa di abitazione(38); valutazioni influenzate sì dalla situazione economico finanziaria del soggetto, ma anche da politiche economiche e dalla situazione del mercato immobiliare e mobiliare. Così una preferenza può derivare da un sistema di tassazione che privilegi la proprietà immobiliare rispetto a quella mobiliare e viceversa, o da una maggior capitalizzazione di un mercato rispetto all’altro, e ove la scelta di investimento ricada sul mercato mobiliare, la necessità abitativa condurrebbe inevitabilmente il soggetto verso uno schema locatizio. Il contratto di rent to buy, diversificando in sé, titolarità e godimento ben potrebbe rappresentare un duttile strumento in questo schema. Di là da problemi abitativi o di finanziamento, ai quali come si è detto gli schemi esistenti (e un bravo consulente) già potevano dare una risposta, l’operazione economica della quale si tratta ben può rappresentare un valido strumento di finanziamento/investimento.
Ovviamente tutto dipende dalle reali condizioni di partenza, è necessario allora nuovamente scomporre l’operazione.
Come si diceva il risultato del godimento immediato e del trasferimento di titolarità futuro può essere raggiunto con il collegamento negoziale tra locazione/affitto (o usufrutto) e compravendita a rate(39), ciò significa che il compratore dovrà pagare oltre al canone di locazione anche la rata della compravendita. Normalmente lo stesso risultato è raggiunto con un unico contratto nel quale si prevede un canone di locazione che comprende anche la quota destinata all’acquisto e un’opzione o un obbligo di stipulare ad una data prestabilita la compravendita ad un prezzo inferiore a quello di mercato(40).
In questa prospettiva ciò che risulta maggiormente significativo, tanto nella fattispecie immobiliare disciplinata, quanto nei modelli contrattuali diffusi nella prassi per il rent to buy di azienda, è il riconoscimento di una doppia funzione del canone(41): nel decreto sblocca Italia tale doppia funzione è menzionata sia al comma 1-bis, il quale assegna al contratto la definizione quantitativa della quota di canone imputata a corrispettivo(42), quota per la quale è prevista una restituzione in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare l’immobile, ove tale acquisto sia configurabile come opzione e non come obbligo, sia al comma 5 che nel disciplinare la risoluzione per inadempimento ne ammette la restituzione in caso di inadempimento del concedente e l’acquisizione in capo a quest’ultimo nell’ipotesi di inadempimento del conduttore; nei modelli contrattuali del rent to buy aziendale è precisata la quota di pertinenza dell’affitto e quella rappresentante l’accantonamento per il prezzo (circa il 70% del totale)(43).
Ciò che ora ci interessa è l’accantonamento che l’operazione rende possibile. Infatti, dal punto di vista dell’esborso monetario con il rent to buy si accantona una quota destinata all’acquisto. In altri termini si crea, dal lato del locatario/compratore un risparmio programmato, analogo a quello che si potrebbe ottenere con forme di accumulo prettamente finanziarie come la stipula di una assicurazione sulla vita(44) o l’acquisto di un fondo di investimento tramite un piano di accumulo(45). Ovviamente le differenze tra le diverse opzioni sono significative e non è questa la sede per delinearle compiutamente, basti però rimarcare che se in comune con le forme di investimento richiamate c’è proprio la funzione di accumulo, quest’ultima nel nostro caso è finalizzata all’acquisto, ciò fa sì che l’operazione non abbia una caratterizzazione prettamente finanziaria, ma resti invece saldamente ancorata alla situazione del mercato immobiliare o produttivo di riferimento e, dunque, la sua convenienza, ma anche il confezionamento stesso della regola contrattuale, dipenda in larga parte da fattori esterni(46).

Modelli contrattuali e condizionamenti esterni: il sistema fiscale

Il risvolto positivo dell’operazione, ad esempio, sta anche nel fatto che a differenza di un accumulo autonomo del prezzo, le quote pagate figurano come un costo. Del resto esse rappresentano effettivamente un’uscita monetaria.
E qui interviene il primo fattore esterno di condizionamento, infatti è necessario distinguere i casi di obbligo di acquisto da quelli nei quali sia prevista una semplice opzione: è questa seconda ipotesi a dimostrarsi autonoma, oltre che economicamente più conveniente. La differenza è ovviamente nel trattamento fiscale(47).
Una nota dell’agenzia delle entrate del 13 febbraio 2014, in risposta ad un parere chiesto dall’Ordine dei Dottori commercialisti e degli esperti contabili di Monza, distingue nettamente tra le due ipotesi, precisando che nel caso di obbligo di concludere il contratto di compravendita la fattispecie è disciplinata dall’art. 109, comma 2, lett. a, Tuir, il quale assimila le ipotesi di efficacia rinviata nel tempo ai casi di vendita con effetto immediato(48); nel caso invece in cui sia prevista una semplice opzione di acquisto non si reputa applicabile la norma in parola, per cui gli effetti fiscali dell’operazione risultano posticipati all’atto della vendita.
Anche qui il parere ha ad oggetto un’operazione immobiliare, ma a maggior ragione, quando si tratti di rent to buy di azienda la tassazione è quella legata alla qualità di imprenditore che assume l’affittuario per il quale i canoni pagati, senza differenziazione di quota, saranno considerati costi per godimento di beni di terzi e in quanto tali deducibili dal reddito d’impresa. In aggiunta l’affittuario potrà anche senza aver sostenuto il costo dell’acquisto degli immobili dedurre dal proprio reddito le quote di ammortamento dei beni materiali(49). E poi, nell’ipotesi fisiologica di gestione che abbia fatto aumentare il valore dell’azienda, l’affittuario potrà anche godere di tale maggior valore che invece nelle ipotesi di affitto è oggetto di un conguaglio in danaro al concedente.
Nulla a che vedere con le formule alternative di accumulo di un capitale, per le quali, in caso di liquidazione, l’attuale sistema fiscale prevede addirittura la tassazione del capital gain.
Nelle operazioni di rent to buy, il pagamento del canone e, per quanto qui interessa, della parte destinata all’accumulo è infatti un atto di disposizione che sposta la somma dal patrimonio del conduttore a quello del disponente. La somma muta patrimonio, pur non mutando definitivamente titolarità e se, come precisato dal legislatore per il caso di rent to buy immobiliare, nell’ipotesi di inadempimento del disponente deve essere restituita, ciò testimonia che si tratta di una disposizione non appropriativa.
Che poi la somma, in ipotesi di inadempimento del conduttore, possa essere trattenuta è giustificato da ragioni di tutela del disponente e non influisce sulla qualificazione dell’atto di disposizione.
Del resto che l’accantonamento avvenga con la tecnica del rent to buy porta anche ad un altro risultato pratico che è quello di utilizzare una somma evitando una destinazione preventiva che come tale potrebbe essere sottoposta a vincoli. Così mentre per il futuro acquirente la somma versata/ accantonata è un costo, anche per il venditore la somma monetaria entra nel proprio patrimonio libera da ogni vincolo di destinazione anche se nella pratica concorre a ridurre il prezzo di vendita e la plusvalenza all’atto dell’alienazione. In altri termini la dazione di quella somma di denaro diventa neutrale(50) e come tale difficile da inquadrare nel sistema della tassazione(51).
Se poi l’affittuario è un soggetto che svolge attività d’impresa la funzione di investimento è ancora più accentuata poiché le uscite sostenute per pagare il canone remunerativo del godimento e anticipatorio dell’acquisto è immediatamente deducibile dai redditi d’impresa(52).
Lo spazio di liquidità che si crea, sia pure temporaneo e parziale contribuisce ad alleggerire l’operazione di acquisto che invece nelle classiche operazioni di compravendita è rigidamente delimitata dalla concessione di un mutuo di scopo, da un lato, e dall’imputazione del prezzo di vendita con conseguente realizzazione di una plusvalenza tassabile, dall’altro. E, in questo senso, forse può favorire la ripresa del mercato perché rappresenta una opzione per la circolazione rispetto alla staticità del sistema proprietario.


(1) In questo senso, a maggior ragione per le ipotesi in parola, possono essere richiamate le riflessioni di D. POLETTI, «Quando al “rent” non segue il “buy”: scioglimento del vincolo contrattuale e restituzioni», in Contratti, 2015, 11, p. 1049 e ss., ove si specifica che la «caratteristica più evidente e nuova dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione è dunque quella di presentare un alto tasso di procedimentalizzazione unito per di più ad una particolare flessibilità, che genera la previsione di una sorta di doppio programma contrattuale o, se si vuole, di programma multilivello: quello primo o principale, che mira a consentire l’acquisto agevolato dal progressivo accantonamento del prezzo; quello per così dire secondario, che consegue alla possibilità di ripensamento rimessa al conduttore, in cui la proprietà non si trasferirà nella sua sfera giuridica ma rimarrà in capo al concedente, che dovrà rimetterla sul mercato, con conseguente mutamento postumo della causa alienandi».

(2) Il riferimento è anzitutto alle operazioni di rent to buy aventi ad oggetto complessi aziendali, ma anche ai casi di singoli beni strumentali.

(3) Le problematiche fiscali non sono oggetto specifico di questo scritto, tuttavia poiché non sembra potersi prescindere da esse, l’argomento sarà affrontato, sia pure non approfonditamente infra § “Modelli contrattuali e condizionamenti esterni”.

(4) Cfr., G. D’AMICO, «Il rent to buy: profili tipologici», in Contratti, 2015, 11, p. 1030, che lo annovera nei contratti scaturenti dal diritto civile della crisi economica.

(5) A. BULGARELLI, «Luci ed ombre del “rent to buy” italiano», in www.altalex.com (17/11/2014).

(6) La dottrina e gli operatori giuridici hanno approfondito soprattutto le operazioni aventi ad oggetto immobili. Si consideri, ad esempio, che il Consiglio Nazionale del Notariato, che da subito si è mostrato particolarmente interessato all’argomento, ha di recente proposto uno schema-tipo di contratto, nel quale tuttavia è esplicito ed esclusivo il riferimento agli immobili. Lo schema è consultabile sul sito www.notariato.it. Per una efficace panoramica delle diverse forme contrattuali ideate nella prassi per tentare di superare i problemi economici v. A. FUSARO, «Rent to buy, Help to buy, Buy to rent tra modelli legislativi e rielaborazioni della prassi», in Contr. impr., 2014, p. 1862 e ss.

(7) È infatti previsto che il contratto debba rivestire la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata e debba essere trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis, con la specifica menzione in caso di inadempimento dell’art. 2932.

(8) Il riferimento alla locazione non è, tuttavia, dirimente, da un lato perché la norma richiama specificamente gli articoli da 1002 a 1007 e 1012 e 1013 in tema di usufrutto, dall’altro lato perché l’intenzione sembra proprio quella di escludere l’applicazione della disciplina vincolistica dettata per la locazione. Comunque, la poca giurisprudenza e parte della dottrina escludono che la cessione in godimento possa essere qualificato come locazione, escludendo altresì l’applicazione della relativa disciplina. Cfr., Trib. Verona, Sez. Fallimentare, autorizzazione, 12 dicembre 2014, in www.ilcaso.it, commentata da G. ASCHIERI, G. FIORI, «Rent to buy e fallimento. Note a margine di un provvedimento del tribunale di Verona». In dottrina v., A. BUSANI, E. LUCCHINI GUASTALLA, «Il «rent to buy» non è affitto», in Il Sole 24 Ore, 24 settembre 2014.

(9) Lega specificamente la nascita dell’operazione di rent to buy alla crisi immobiliare causata dal problema dei mutui sub-prime S. MARINO, «Rent to buy: nuovo strumento contrattuale per favorire la ripresa delle transazioni immobiliari», in Vita not., 2014, p. 1143 e ss., spec. 1144.

(10) Per queste considerazioni v., F. TASSINARI, «Dal rent to buy al buy to rent: interessi delle parti, vincoli normativi e cautele negoziali», in Contratti, 2014, 8/9, p. 822 e ss. L’A. per vero analizza le fattispecie alternative come la locazione con patto di opzione o con preliminare di vendita. Tra l’altro la prassi già conosceva, anche se non con la frequenza e il clamore mediatico del rent to buy, operazioni di locazione mista a compravendita, cfr., ad esempio, Cass. 31 marzo 1987, n. 3100.

(11) In questo senso tanto la fase del godimento quanto quella del trasferimento della proprietà sono osservate attraverso la lente della necessità abitativa. Si v., ad esempio, l’interpretazione fornita da A. CIRLA, «Il rent to buy: una grande occasione che però ancora non riesce a decollare», in Imm. propr., 2013, 12, p. 721 e ss., il quale, nel qualificare la fattispecie, afferma che «Non si tratta di una nuova figura di contratto misto tra locazione e compravendita, bensì di un contratto che ricomprende due modelli contrattuali tipici che mantengono le rispettive caratteristiche e che trovano nella causa, appunto il trasferimento della proprietà del bene al conduttore, il loro unico collegamento».

(12) Non sembra cioè accoglibile l’affermazione secondo cui «comunque si congegni la fattispecie e, perciò, qualunque sia l’interesse dell’acquirente apparentemente palesatosi attraverso la specifica strutturazione negoziale utilizzata, di fronte ad un accordo che preveda un’operazione unitaria con la quale un immobile viene concesso in locazione con contestuale previsione di un impegno alla successiva cessione dell’immobile medesimo dal locatore al conduttore, ad un prezzo già fissato, dovendosi scomputare (in tutto o in parte), da tale corrispettivo, quanto già versato a titolo di canone locativo, l’effettiva causa contrattuale (da ben distinguersi dai motivi che possono indurre le parti ad utilizzare un certo schema negoziale piuttosto che un altro) è una ed una sola, trovando essa fondamento nella necessità di rendere possibile al compratore un dilazionamento del corrispettivo dovuto e quindi approntando - di fatto - a favore di questi i medesimi vantaggi economici di cui egli godrebbe in caso di accesso ai normali canali creditizi. Il rent to buy, insomma, si atteggia sempre come una risposta concretamente attualizzabile in presenza dell’insorgenza di una difficoltà economica del compratore a versare interamente il corrispettivo dovuto al momento della vendita, contemperando l’interesse di questi alla conclusione comunque dell’acquisto, con l’interesse del venditore alla conclusione dell’alienazione immobiliare pur in assenza di un pagamento del prezzo dovuto in un’unica soluzione»: A. TESTA, «Il rent to buy: la tipizzazione sociale di un contratto atipico», in Imm. propr., 2014, 6, p. 384 e ss. Sembra invece che le ragioni che giustificano tali operazioni possano essere le più varie; si consideri ad esempio il caso di un acquirente di un immobile sul quale siano necessari lavori di ristrutturazione; oppure si valuti l’ipotesi in cui si renda necessario differire (o anticipare) l’acquisto a fini fiscali. Il rent to buy potrebbe essere la risposta anche a tali esigenze.

(13) Del resto sembra che qui possa essere accolta in toto la riflessione (di D. POLETTI, op. cit., p. 1049.) secondo cui il contratto in parola debba essere inserito in una complessa operazione economica composta «di atti di autonomia definiti “mediante una serie di indici e di elementi di natura oggettiva”, che concorrono “alla individuazione della prestazione che forma oggetto del contratto”. La “sequenza unitaria e composita” che integra l’operazione non si definisce più con la lente unidirezionale capace di convergere in un ben individuato tipo contrattuale ma con il prisma del regolamento e dunque delle determinazioni precettive, delle condotte dei contraenti, delle situazione oggettive nella quale il complesso delle regole e gli altri comportamenti si collocano, capaci di comprendere, all’interno dello stesso assetto di interessi, anche più funzioni».

(14) Questo schema è illustrato da A. FUSARO, op. cit., p. 425 e ss. Interessante è poi il richiamo all’art. 1526, comma 3 c.c. Il quale in tema di risoluzione del contratto con riserva di proprietà attua un’analogia con il contratto di locazione nel quale sia convenuto che, al termine di esso, la proprietà della cosa sia acquisita al conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti. Le diverse ipotesi sono analizzate da S. MARINO, op. cit., p. 1149 e ss. La differenza tra le opzioni sommariamente citate e il rent to buy starebbe secondo alcuni nella causa di finanziamento di quest’ultimo si afferma, ad esempio che, «Non pare significativamente credibile che, sebbene palesata in tali termini, la funzione del negozio possa essere diversa allorché la parte acquirente abbia intenzionalmente inteso procrastinare gli effetti della vendita, intanto assicurandosi l’immediato godimento del bene. In tal caso è evidente come, se la volontà contrattuale fosse davvero questa, sarebbe molto più semplice ricorrere ad un preliminare ad effetti anticipati con una rateizzazione del corrispettivo dovuto, che di fatto avvenga mediante la previsione di una serie di acconti-prezzo aventi scadenza successiva nelle more tra la stipula del preliminare e l’adempimento contrattuale definitivo»: A. TESTA, «Il rent to buy: la tipizzazione sociale …», cit., p. 384 e ss. Diversa invece l’opinione di chi tende a definire la fattispecie utilizzando comunque il collegamento tra contratti nominati. Così F. TASSINARI, op. cit., p. 822 e ss.

(15) Sul punto, sia consentito il richiamo a A.C. NAZZARO, L’affitto, in Tratt. di dir. civile Notariato, diretto da P. Perlingieri, IV, 22, p. 301 e ss.

(16) Peraltro anche alcuni costi accessori dell’operazione di vendita di azienda sarebbero diluiti nel tempo rendendo più elastica l’operazione. Si pensi ai costi relativi all’intestazione delle licenze, all’apertura della partita Iva, al rogito notarile, alle iscrizioni Inps e Camera di commercio. Sono costi che devono essere valutati nell’intera operazione poiché concorrono al suo costo complessivo. Infine, ove la scelta ricada sui contratti più sopra citati l’operazione non avrebbe nessun impatto fiscale prima del rogito e sarebbe cedibile ad un terzo, permettendo all’acquirente in caso di necessità di interrompere il programma di acquisto recuperando quanto accantonato fino a quel momento.

(17) Per queste riflessioni v., ancora, D. POLETTI, op. cit., p. 1049 e ss.

(18) Le riflessioni restano tutto sommato simili anche quando la fase dell’affitto sia sostituita da un usufrutto di azienda.

(19) Noto e non riassumibile in questa sede, è il dibattito sulla natura giuridica dell’azienda. Siano allora sufficienti i riferimenti alla dottrina classica, muovendo da quelle che definiscono congiuntamente impresa e azienda (F. SANTORO-PASSARELLI, «L’impresa nel sistema del diritto civile», in Riv. dir. comm., 1942, I, p. 376 e ss.; L. MOSSA, Trattato del nuovo diritto commerciale, Milano, 1942, p. 165 e ss.) per transitare, attraverso le teorie oggettive, tra quelle atomistiche (G. AULETTA, Dell’azienda, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1954, p. 27 e ss.) che approdano per lo più al concetto di universalità di beni (T. ASCARELLI, Lezioni di diritto commerciale, Milano, 1954, p. 215 e ss.; I. LA LUMIA, «Teoria giuridica dell’azienda commerciale», in Riv. dir. comm., 1940, I, p. 413 e ss.; M. CASANOVA, Impresa e azienda, in Tratt. dir. civ. it. Vassalli, X, 1, Torino, 1986, p. 351 e ss.), e quelle unitarie (M. ROTONDI, Diritto commerciale, Milano, 1942, p. 29 e ss.; M. STOLFI, «Considerazioni sulla natura giuridica dell’azienda commerciale», in Foro it., 1947, I, c. 226 e ss.; G. FERRI, Manuale di diritto commerciale, Torino, 1972, p. 166 ss.; F. CARNELUTTI, Usucapione della proprietà industriale, Milano, 1938, p. 33 ss.; A. ASQUINI, «Profili dell’impresa», in Riv. dir. comm., 1943, I, p. 15 e ss.;) e giungere alla definizione dell’impresa quale bene immateriale (M. GHIRON, L’imprenditore, l’impresa e l’azienda, Torino, 1951, p. 259 e ss.; F. FERRARA JR., La teoria giuridica dell’azienda, Firenze, 1945, p. 75 e ss.).

(20) V., per tutti, S. PUGLIATTI, La proprietà e le proprietà, in ID., La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1964, p. 303, il quale efficacemente ricorda che nel caso di godimento di un bene produttivo «le utilizzazioni della cosa degradano a mezzo».

(21) Sul rapporto tra iniziativa economica privata e utilità sociale v., P. PERLINGIERI, Introduzione alla problematica della «proprietà», Napoli, 1971, p. 47.

(22) Sul punto, N. IRTI, Proprietà e impresa, Napoli, 1965, p. 70 e ss.

(23) Interessante il caso deciso da Cass. 10 agosto 2002, n. 12142: Tizio concede in affitto a Caio un ramo d’azienda agrituristica. A fronte della richiesta di Tizio diretta ad ottenere i canoni non pagati, Caio eccepisce la nullità del contratto per impossibilità dell’oggetto. Specificamente, a causa delle ridotte dimensioni del ramo di azienda ceduto, l’affittuario non era riuscito ad ottenere la licenza necessaria per lo svolgimento dell’attività agrituristica. Il Tribunale, disattendendo la decisione del pretore, dichiara nullo il contratto per impossibilità dell’oggetto «avuto riguardo all’uso pattuito del bene». La Corte di Cassazione conferma la decisione specificando che ove l’affittuario avesse svolto una attività differente rispetto a quella dedotta in contratto, sarebbe incorso nel divieto, posto dal secondo comma dell’art. 2561 c.c., di modificare la destinazione economica del bene.

(24) Discorre di «situazione possessoria specifica» P. SPADA, Lezione sull’azienda, in L’impresa. Quaderni romani di diritto commerciale, a cura di B. Libonati e P. Ferro-Luzzi, Milano, 1985, p. 51 e ss.

(25) Sul punto la dottrina è concorde: A. DE MARTINI, L’usufrutto d’azienda, Milano, 1950, p. 11 e ss.; D. PETTITI, Il trasferimento volontario d’azienda. Notazioni esegetiche e sistematiche, Napoli, 1970, p. 150 e ss.; C. STOLFI, L’atto di preposizione. Contributo alla teoria dell’impresa, Milano, 1974, p. 166.

(26) A volte l’esigenza di ottenere un finanziamento è fatta rientrare nella definizione stessa della fattispecie. Cfr., S. MARINO, op. cit., p. 1143 e ss. L’A., per vero, considera la fattispecie finalizzata a far rientrare l’acquirente nei parametri richiesti dalle banche per effettuare l’acquisto con mutuo. Di diverso avviso A. FUSARO, op. cit., p. 425 e ss., che reputa le soluzioni dottrinali e giurisprudenziali utilizzate in tema di leasing un «prezioso serbatoio di regole operative».

(27) V., per tutte, Cass., S.U., 7 gennaio 1993, n. 65. Per una recente rassegna giurisprudenziale sull’argomento, «Il contratto di leasing, giurisprudenza ragionata», in Le corti fiorentine, 2014, p. 223 e ss.

(28) In questo senso critico nei confronti della definita asetticità dei criteri imposti da Basilea 2, A. TESTA, «Il rent to buy: la tipizzazione sociale …», cit., p. 384 e ss.

(29) Sulle valutazioni operate dai finanziatori in caso di concessione di un mutuo bancario v. G. SPOTO, «La rinegoziazione del contratto di mutuo e la risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia bancaria», in Riv. dir. econ., 2012, p. 203 e ss.

(30) Il tema, ancorché non comune tra gli studi accademici, è tuttavia molto sentito nel campo professionale e nella prassi imprenditoriale. Per un approccio casistico ma adeguatamente scientifico v. Imprese a base familiare. Strumenti di successione, Quaderni di Persona e Mercato, a cura di A. Bucelli e R. Bencini, 2015, passim. La specificità dell’impresa familiare si ritrova proprio nella necessità di garantire una continuità della gestione che non sia orientata esclusivamente a parametri oggettivi ma alla situazione soggettiva/familiare che rappresenta il fattore di successo del modello. Sul concetto di impresa familiare e sulle sue necessità successorie cfr., P. MONTALENTI, Impresa a base familiare e società per azioni, in L’impresa familiare: modelli e prospettive, Milano, 2012, p. 38 e ss.; P. SCHLESINGER, Interessi dell’impresa e interessi familiari nella vicenda successoria, in La trasmissione familiare della ricchezza. Limiti e prospettive di riforma del sistema successorio, Padova, 1995, p.137 e ss.; F.CORSI, «Azienda coniugale, comunione legale e società», in Giur. comm., 1975, p. 615; G. FERRI, «Impresa coniugale e impresa familiare», in Riv. dir. comm., 1976, p. 1; R. COSTI, «Impresa familiare, azienda coniugale e “rapporti con i terzi” nel nuovo diritto di famiglia», in Giur. comm., 1976, p. 5; G. OPPO, «Diritto di famiglia e diritto dell’impresa», in Riv. dir. civ., 1977, p. 366; N. IRTI, «L’ambigua logica dell’impresa familiare», in Riv. dir. agr., 1980, p. 524.

(31) La necessità di continuità, peraltro, non risulta adeguatamente soddisfatta neanche dall’introduzione, nel nostro ordinamento, dell’istituto del patto di famiglia. Per una scrupolosa analisi degli strumento (anche) ad esso alternativi v., M. PALAZZO, Testamento e strumenti alternativi di trasmissione della ricchezza, in Imprese a base familiare. Strumenti di successione …, cit., p. 45 e ss.

(32) Si v. le riflessioni pungenti di N. LIPARI, «Prospettive della libertà di disposizione ereditaria», in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, p. 799: «In una stagione di significativa evoluzione della dottrina civilistica, con conseguente modificazione di gran parte dei tradizionali modelli culturali, il tema delle successioni mortis causa, e segnatamente di quella che trova la propria fonte nel testamento, si caratterizza per sue evidenti peculiarità»; G.L. SARDU, La trasmissione ereditaria dell’impresa di famiglia, in Diritto successorio. Approfondimenti tematici, a cura di M.G. Falzone Calvisi, 2013, p. 213 e ss.

(33) Sul punto, per considerazioni generali, anche se piegate in un discorso teso a valutare la convenienza del patto di famiglia, v., E. FAZZINI, Trasferimento di beni produttivi: profili fiscali, Imprese a base familiare. Strumenti di successione …, cit., p. 29 e ss.

(34) Compatibilità che peraltro assume molto spesso un ruolo centrale nelle vicende successoria. Per una analisi del fenomeno v., A. BUCELLI, Interessi dell’impresa e interessi familiari nella successione necessaria, in Tradizione e modernità nel diritto successorio. Dagli istituti classici al patto di famiglia, a cura di S. Delle Monache, Padova, 2007, p. 275 e ss.

(35) Senza voler qui richiamare gli studi dei fautori dell’option theory in tema di rapporto tra valore e indebitamento. V., sul punto, F. BLACK, M. SCHOLES, «The Pricing of Options and Corporate Liabilities», in J. of pol. econ., 1973, p. 649 e ss.

(36) In questo senso si potrebbero ripercorrere le strade già battute dalla dottrina in tema di clausole di continuazione. In particolare, con riguardo ad una clausola di continuazione che permetta di operare una selezione tra gli eredi v. le riflessioni di, M. PALAZZO, op. cit., p. 51 e ss.

(37) Del resto, il nostro sistema giuridico non è estraneo a riletture in chiave finanziaria di istituti tradizionale. Sul punto v., di recente, M. IEVA, «Il rent to buy nella prospettiva della valutazione di efficienza del modello», in Riv. not., 2015, p. 675 e ss., il quale rileva che «si è soliti dire che la causa della vendita è lo scambio di cosa contro prezzo ma la disciplina legislativa, se letta attentamente, offre una indicazione più ampia; alla vendita non è infatti estranea una funzione di credito come si deduce dalla norma sull’ipoteca legale (art. 2817 c.c.) che assiste il credito del venditore che conceda una dilazione nel pagamento del prezzo e dalla norma sugli interessi compensativi (art. 1499 c.c.) che, in assenza di diversa pattuizione, fa decorrere gli interessi sul prezzo anche se questo non è ancora esigibile».

(38) Sia consentito il richiamo a A.C. NAZZARO, L’abitazione nei rapporti economici, in L’esigenza abitativa. Forme di fruizione e tutele giuridiche, a cura di A. Bucelli, Padova, 2013, p. 253 e ss. Nonché, si vedano gli atti del XLVIII Congresso Nazionale del Notariato: “Proprietà dell’abitazione: risparmio familiare, tutela dei diritti e ripresa economica”, novembre 2013.

(39) Nello schema si inserisce poi anche il contratto preliminare. In proposito è fondamentale distinguere tra il preliminare e il preliminare unilaterale per problematiche fiscali. Sul punto v. G. CHERSI, A.M. CAMILLOTTI, S. PETRONIO, «Rent to buy. Crisi del mercato immobiliare e possibili strategie per superarla. Aspetti civilistici, fiscali e contrattuali», in Il commercialista veneto, Inserto, 2013.

(40) La necessità di distinguere l’ipotesi di collegamento negoziale da quella di un unico contratto atipico è rimarcata da A. LOMONACO, «Questioni in tema di profili fiscali del c.d. rent to buy: spunti di riflessione», in Studi e materiali, 2013, 4, p. 975 ss.

(41) E se il paragone con il contratto di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per entrambe le parti o con la vendita a rate perde di importanza per l’espressa estensione della disciplina operata dal comma 7, è proprio la previsione esplicita di questa doppia funzione che a mio avviso merita di essere valorizzata.

(42) La norma peraltro perde molto di forza cogente poiché non sono previste le conseguenze di un eventuale violazione. Per queste considerazioni v., A. TESTA, «”Sblocca Italia”: gli effetti sul rent to buy», in Imm. propr., 2015, 1, p. 34 e ss. «è anzitutto da segnalare l’introduzione del comma 1-bis con il quale sembra che il legislatore abbia voluto imporre alle parti del contratto la determinazione della quota dei canoni, imputata al corrispettivo, che il concedente si obbligherebbe a restituire al conduttore in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell’immobile nei termini stabiliti. Non pare che, nonostante il tenore letterale della norma, possa dirsi che una deficienza del contenuto contrattuale su tale punto, possa condurre ad una invalidità del contratto o ad una contestabile efficacia dello stesso da parte del conduttore “inadempiente” al suo supposto impegno di acquisto. Una questione di nullità è da escludere poiché manca la previsione testuale della stessa. D’altronde non pare che la nullità del contratto, in assenza della previsione di cui al citato comma 1-bis, possa richiamare gli effetti di una nullità virtuale, dal momento che non è recuperabile alcuna norma dalla quale si riesca ad eccepire una tale causa di invalidità per effetto di implicite violazioni di norme cogenti».

(43) In questa prospettiva, vista anche la prevalenza quantitativa, non sembra corretto privilegiare la funzione di godimento relegando quella di accumulo o addirittura ignorandola.

(44) Per i quali è dibattuta la qualificazione della funzione tra previdenziale e d’investimento Cfr., nel senso della funzione di investimento, Trib. Milano, 1 luglio 2014, n. 10754; Trib. Rimini, 3 aprile 2014, n. 11301; Trib. Siracusa, 17 ottobre 2013, n. 9712; Trib. Gela, 2 marzo 2013, n. 8629.

(45) L’operazione si distingue invece da altre forme di investimento finanziario come l’acquisto di titoli perché la caratteristica principale è proprio l’accumulo a rate costanti.

(46) È possibile ad esempio che in un momento di forte contrazione del mercato immobiliare anche chi non ha l’immediata disponibilità della somma necessaria a procedere all’acquisto ma abbia una buona e costante capacità di risparmio possa avere interesse a bloccare l’immobile e il prezzo di vendita pagando “a rate” il bene. Le rate rispecchiano la capacità di risparmio e ben ne possono rappresentare una forma di utilizzazione. E anche l’andamento di un determinato settore produttivo può influenzare la scelta di utilizzare un’azienda già avviata, ma per la quale l’imprenditore sia in situazione di difficoltà. A seconda dello strumento tecnico utilizzato è poi differente la tassazione. V., R. BELOTTI e F. CAVALLI, «Rent to buy fra problematiche fiscali e dubbi vantaggi economici», in Fisco, 2014, 45, p. 4443 e ss., «a) locazione con clausola vincolante per entrambe le parti, soggetta alla disciplina fiscale agevolata di cui all’art. 8, comma 5-bis, D.l. n. 47/2014; b) rent to buy con clausola vincolante per entrambe le parti, disciplinata dal D.l. 133/2014». Analoghe considerazioni in P. AGLIETTA, «Profili fiscali dei contratti atipici “rent to buy”», in Imm. propr., 2013, 12, p. 717 e ss.

(47) La scelta legislativa di non affrontare il risvolto fiscale dell’operazione è la più criticata dai commentatori. Non si può comunque tacere che l’art. 23 comma 7, introduce un accenno di normativa fiscale aggiungendo il comma 5-bis all’art. 8 del D.l. n. 47/2014 c.d. Decreto casa, riguardante il regime fiscale applicabile al riscatto a termine degli alloggi sociali. Di là dalla difficile classificazione dei c.d. alloggi sociali ciò che interessa è che la norma statuisce che «Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti e di vendita con riserva di proprietà, stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione». La disposizione non è comunque reputata applicabile alle ipotesi di rent to buy ove non vi sia un contratto di locazione e un obbligo unilaterale di concludere il contratto di compravendita. R. BELOTTI e F. CAVALLI, op. cit., p. 4443.

(48) L’art. 109, comma 2, lett. a, del D.P.R. 917/1986, stabilisce che per la determinazione del reddito di impresa: «Non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà. La locazione con clausola di trasferimento vincolante per ambedue le parti è assimilata alla vendita con riserva della proprietà». La scelta del legislatore sembra essere stata quella di definire e accomunare le fattispecie contrattuali che permettono un godimento immediato e un accumulo di capitale in funzione di un acquisto futuro. Anche ai fini Iva l’art. 2, comma 2, n. 2, D.P.R. 633/72 stabilisce che «Costituiscono inoltre cessioni di beni: 2) le locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per entrambe le parti». Anche l’art 27, comma 3, D.P.R. 131/1986 stabilisce che: «non sono considerati sottoposti a condizione sospensiva le vendite con riserva della proprietà e gli atti sottoposti a condizione che ne fanno dipendere gli effetti dalla mera volontà dell’acquirente o del creditore». La stessa soluzione era stata individuata già dal Consiglio Nazionale del Notariato. «Nel caso di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti, che comporta il trasferimento della proprietà in modo automatico senza necessità di un ulteriore atto di consenso, gli effetti civilistici differiscono da quelli fiscali, nel senso che: - ai fini contrattuali, il diritto di proprietà rimane nella sfera giuridica del locatore, sino al momento dell’effettivo suo trasferimento, all’avverarsi della condizione determinata dal pagamento integrale del corrispettivo di vendita, composto dai canoni periodici e dal corrispettivo finale; - ai fini fiscali, l’effetto economico del trasferimento della proprietà si intende, invece, anticipato al momento della stipula del contratto di locazione, considerando che tale fattispecie contrattuale è disciplinata in modo univoco ai fini dell’Iva, dell’imposta di registro e delle imposte dirette, ove si statuisce che, ai fini fiscali, non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà: quindi, la cessione produce effetti sin dal momento di stipula del contratto di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti».

(49) La soluzione prospettata è quella operante in assenza di deroga dell’art. 2561 c.c., in caso contrario l’ammortamento competerà all’affittante.

(50) Sui rapporti tra liquidazione e destinazione v., R. DI RAIMO, «Liquidazione, liquidità e proprietà. Implicazioni teoriche di sistema e conseguenze pratiche della coniugazione tra liquidazione e destinazione patrimoniale», in Riv. dir. banc., 2014, 09.

(51) Ne è una prova anche il succedersi di studi, note e pareri dell’Agenzia delle entrate sull’argomento. V., da ultimo la circolare 19 febbraio 2015, n. 4/E, nella quale si distingue, per i fini dell’imposizione fiscale, tra la quota di canone che remunera il godimento, sottoposta alla tassazione applicata alle locazioni e la quota di accantonamento, che dovrebbe essere tassata come gli acconti di prezzo.

(52) Infatti, come si diceva, nelle locazioni con obbligo di futura vendita, anche ai fini Iva l’operazione è tassata al momento della conclusione e i canoni pagati anche se rappresentano una quota in conto prezzo non sono eventi rilevanti ai fini Iva. Per queste conclusioni v., R. BELOTTI e F. CAVALLI, op. cit., p. 4443 e ss.

PUBBLICAZIONE
» Indice

ARTICOLO
» Note