Il corrispettivo quale elemento contrattuale idoneo a caratterizzare la figura in esame
Il corrispettivo quale elemento contrattuale idoneo a caratterizzare la figura in esame
di Jacopo Bassi
Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto civile, Università di Firenze

Tema d’indagine

Con il sintagma rent to buy viene ora(1) espressa la normativa di cui all’art. 23 del D.l. 133/2014, conv. in L. 164/2014, ossia, giusta la rubrica dell’art. sopracitato, la “Disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili”, la quale trova nel corrispettivo uno «dei tratti essenziali»(2), infatti, la dottrina non ha mancato di mettere in luce come «soprattutto attraverso una adeguata regolazione delle pattuizioni sul corrispettivo, le parti possano congegnare un meccanismo negoziale idoneo a realizzare i rispettivi (peculiari) interessi (diversi da quelli ad una attuazione immediata dell’effetto traslativo)»(3).
Al fine di sviluppare delle riflessioni circa il corrispettivo è quantomeno opportuno svolgere delle considerazioni preliminari, segnatamente la valutazione in ordine alla natura(4) tipica o trans tipica del provvedimento normativo contenuto nel c.d. “Sblocca Italia” e la possibilità di assumere l’azienda quale oggetto del contratto.

Prima considerazione preliminare: tipo e causa rent to buy

Con riguardo a tale profilo un’indicazione potrebbe ricavarsi fin dalla rubrica della predetta norma che reca il termine “contratti”, quindi al plurale, con ciò legittimando l’opzione interpretativa secondo cui la disciplina positivizzata debba essere considerata trans tipica, detto altrimenti il legislatore avrebbe emanato non solo e non tanto un tipo contrattuale quanto, piuttosto, una disciplina trans tipica, come tale applicabile «ai contratti di godimento in funzione della successiva alienazione»(5): in realtà questa lettura non trova riscontri(6). Per cogliere le ragioni della mancata adesione alla predetta opzione interpretativa appare utile far riferimento all’essenza del contratto trans tipico, ossia una determinata normativa in grado di essere applicata a contratti appartenenti a più distinti tipi, «si pensi alla ... normativa in materia di Onlus; si pensi, per fare un altro esempio, alla normativa in materia di cessione dei crediti di cui agli artt. 1260 e ss. c.c., applicabile sia a contratti di scambio, come la vendita o la donazione, sia a contratti associativi, come la società lucrativa in cui si conferisce un diritto di credito»(7), e, soprattutto, come meglio si vedrà, alla disciplina dell’azienda.
Quindi, non stupisce che il dibattito su cui si sono appuntate le discussioni della dottrina veda la contrapposizione tra la considerazione tipologica(8) del contratto in esame ed il collegamento negoziale di figure contrattuali già note(9).
Conseguentemente, il terreno sul quale vagliare il contratto in discorso è quello della causa; con ciò, naturalmente, non si vuol far coincidere la causa con il tipo contrattuale, del resto oggi è imperante la nozione di causa in concreto. Come noto, tale considerazione del profilo causale è stata rilevata dapprima in dottrina(10) e poi in giurisprudenza(11). Non può qui essere ripercorsa l’evoluzione relativa al requisito della causa(12), appare necessario e sufficiente constatare come la causa sia, non solo e non più di tanto, elemento di collegamento della sfera privata con l’ordinamento, bensì identifichi, in concreto, lo specifico contratto voluto dalle parti. Da ciò non si deve, però, trarre il convincimento che causa concreta stia a significare ritorno alla nozione soggettiva di causa, infatti la funzione economico individuale attiene al contratto e non alle parti, in altre parole la causa è sintesi «della dinamica contrattuale ... e non anche della volontà delle parti»(13).
Il discorso merita di essere integrato ponendo mente alla constatazione (sempre attuale) che «i più recenti interventi normativi in materia contrattuale si contraddistinguono ... per un impiego ampio ... della nozione di operazione economica ..., può parlarsi di tipizzazione dell’operazione economica»(14), per ricavarne, da un lato, che il legislatore nel positivizzare una figura contrattuale può sia individuare specifici interessi e la relativa disciplina, sia limitarsi a tratteggiare una normativa funzionale ad una specifica operazione economica, la quale ultima, tuttavia, può, invariati gli effetti, essere altrimenti realizzata; dall’altro, che le parti contrattuali si risolvono alla stipulazione di un negozio per concludere un affare, un’operazione economica, a tal fine potranno avvalersi di un modello di operazione economica che si realizza mediante un tipo contrattuale(15), oppure di un collegamento negoziale(16), in ambo i casi «la disciplina dell’affare trova, nella struttura del contratto, il suo punto di incidenza formale»(17).
Ciò detto in termini generali è, ora, possibile passare in rassegna le opinioni della dottrina onde (tentare di) stabilire se “l’affare” positivizzato nel sopracitato art. 23 abbia una rilevanza causale autonoma oppure sia il risultato di un collegamento negoziale.
Come si è accennato la questione è dibattuta.
Ebbene, secondo una lettura(18), se è vero che individuare un nuovo tipo contrattuale equivale a dire che sussiste una causa autonoma è altresì vero che pare da dubitare l’ascrivibilità del contratto in discorso ad un tipo contrattuale “univoco”, conseguentemente, sembra corretto rilevare, in base a tale ricostruzione, lungi dal ricorrere una causa autonoma, si sarebbe in presenza di più contratti tipici unificati annoverabili tra gli strumenti atti a consentire il godimento finalizzato all’acquisto. Muovendo dalla distinzione tra operazione economica e funzione giuridica è stato rilevato(19) che il trasferimento della proprietà, quale momento “eventuale” della vicenda negoziale, non dovrebbe condurre a dire che la prima fase è altro rispetto al contratto di locazione, ciò in quanto risulta «necessario individuare gli strumenti formali che sono in grado di trasporre l’operazione medesima sul piano dell’ordinamento giuridico», in sostanza, prosegue la riferita dottrina, «l’unità dell’operazione economica non è contraddetta dalla pluralità dei contratti che la realizzano», con ciò disvelando l’adesione alla ricostruzione dell’istituto in discorso in termini di mero collegamento contrattuale tra la locazione ed il preliminare unilaterale e la negazione di una struttura bifasica per l’acquisto graduale della proprietà, atteso che l’effetto traslativo, rileva l’Autore, da un lato, è eventuale e, dall’altro, ove vi sia trova giustificazione in un «autonomo e successivo atto negoziale».
Prevale la soluzione interpretativa di chi(20) ritiene che la figura in commento delinea dal punto di vista causale un contratto strutturato in guisa da consentire, predeterminandolo, il tragitto da una situazione obbligatoria ad una reale, senza involgere il rapporto locativo, il quale, infatti, in caso di mancanza di interesse ad acquistare non sorge, né, a fortiori, residua: in altri termini, «la causa concreta del contratto va effettivamente ravvisata in un nuovo assetto di interessi, sinora non apprezzato ed ora introdotto autonomamente nel sistema che giustifica il diritto personale di godimento solo in funzione del divisato acquisto del bene».
La predetta tesi, la quale, come detto, risulta essere maggioritaria, trova agio nel rilievo secondo cui il venir meno dell’interesse del “conduttore” all’acquisto legittima la restituzione immediata del bene, pertanto in luogo del collegamento contrattuale tra locazione e vendita appare corretto rilevare la sussistenza di un contratto unitario(21), il che val quanto dire che «la “causa” del contratto non è il “godimento verso corrispettivo” (tipico della locazione), ma è un interesse più ampio ed articolato ... che in ogni momento della sua attuazione registra l’indissolubile intreccio tra l’interesse (interinale) di una parte ad ottenere e dell’altra a concedere il godimento attuale di un bene immobile, e l’interesse al trasferimento entro un certo termine della proprietà di quel bene»(22).
Ancora nell’ottica di escludere il collegamento contrattuale, è stato osservato che la figura in commento si incentra(23) «su una sostanziale causa alienandi - che colora la stessa rubrica della norma», in ciò ravvisando la spiegazione “causale e tipologica” che si caratterizza per una struttura bifasica; circa tale ultimo rilievo l’Autrice ha specificato che si tratta di “programma multilivello”, consacrato, piuttosto che in un tipo contrattuale, “nel prisma del regolamento”, con ciò evocando la nozione di operazione economica(24), senza disconoscere l’autonomia del profilo causale, detto altrimenti ravvisa la creazione di un nuovo tipo con causa unitaria e struttura bifasica(25).
Non ultimo, è stata esclusa(26), a monte, la rinvenibilità nella novella di un collegamento di negozi nominati e, a valle, l’applicabilità delle norme sulla locazione, atteso che il godimento è concesso in funzione strumentale, così legittimando la nozione di «esecuzione anticipata del contratto preliminare» dal che viene fatto discendere che non si debba dare rilievo ai “contratti”, cui fa, invece, riferimento la rubrica della norma, bensì al (l’unico) contratto dettato dal legislatore con il già menzionato D.l.(27)
Nel concludere questa prima considerazione preliminare, la quale assurge a postulato del tema di indagine, appare possibile ravvisare un contratto tipico a struttura complessa che prevede il godimento del bene e la successiva costituzione del diritto reale su di esso(28), instillando nel sistema un quid pluris (rispetto al collegamento negoziale) che trova il suo terreno di elezione principalmente nel corrispettivo. Resta da chiarire che «la fattispecie costitutiva di tale diritto tende ad identificarsi con il preliminare unilaterale»(29), e quindi non è «pianamente riconducibile allo schema del contratto preliminare, anche se unilaterale, posta l’unitarietà e l’autonomia dell’operazione contrattuale tratteggiata dall’art. 23»(30), del resto, anche dal punto di vista della lettera della legge, se è vero che sono richiamate le norme sul contratto preliminare non è men vero che, e anzi tra i due rilievi quello che segue appare assorbente, dette norme sono precedute dall’incipit “si applicano”, il che conferma, per quanto consta, che l’obbligo di trasferire è altro rispetto al contratto preliminare, diversamente non sarebbe stato necessario affermarne l’applicabilità della disciplina(31), a tale riguardo risultano pregnanti le considerazioni svolte, sebbene per una tematica diversa, da un illustre Autore: «la dottrinale scomposizione di questa fattispecie negoziale in distinti atti è, in realtà, solo un artificio di costruzione teorica, il quale tende a soddisfare un’esigenza di “economia di pensiero” tipica del ragionamento dei giuristi: quella di ricondurre alla tipologia giuridica tradizionale le figure da essa difformi ...»(32).
In breve, il contratto di rent to buy costituisce esso stesso causa del trasferimento: l’atto traslativo - successivo alla stipulazione del contratto ma costituente parte integrante del medesimo - trova la propria causa (esterna) nelle obbligazioni assunte ed adempiute dal concedente e dal conduttore, con ciò evocando la nozione di pagamento traslativo(33), tutelabile con la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c.
Infine, ad avvalorare la tesi dell’autonomia causale, che attua tramite il previo godimento una procedimentalizzazione dell’acquisto(34), può essere fatto valere il rilievo, condiviso dagli interpreti, in base al quale il contratto costituisce un’alternativa al (mancato) finanziamento da parte delle banche(35).

Seconda considerazione preliminare: l’azienda quale possibile oggetto del contratto rent to buy

Si è cercato di argomentare che il rent to buy costituisce una figura procedimentale unitaria, che trova la propria causa nella concessione del godimento del bene in via strumentale all’acquisto del medesimo, così superando la distinzione tra il momento obbligatorio e quello traslativo. Occorre, ora, verificare la compatibilità dello schema negoziale di cui si discorre a far circolare l’azienda: è evidente che, giusta la lettera dell’art. 1322 c.c., nulla osta, in astratto, a costruire un contratto che riproduca la disciplina legislativa del già citato D.l. 133; pertanto, l’interrogativo che ci si pone è stabilire se la causa del contratto in parola sia idonea, da un lato, a favorire la vicenda circolatoria dell’azienda e, dall’altro, consenta di applicare in via diretta, per quanto qui interessa, la disciplina del corrispettivo e le relative conseguenze.
Al riguardo, la prima domanda da porsi concerne la rubrica del già citato D.l. 133, la quale, come detto, fa espresso riferimento agli immobili.
Innanzitutto, è da rilevare che l’art. 23 fa parte del capo V del c.d. “Sblocca Italia”, ossia misure per il rilancio dell’edilizia; il comma 4 della citata norma, nel considerare la possibilità che il contratto abbia riguardo ad un’abitazione conferma che possibile oggetto dello stesso possa essere un immobile non abitativo, quindi un locale magazzino oppure un opificio(36).
A tal fine, piuttosto che dare conto della dibattuta questione sulla natura giuridica dell’azienda(37), muovendo dal presupposto che essa comunque costituisce un’unità economica idonea a soddisfare «bisogni nuovi … rispetto ai bisogni che i singoli elementi aziendali sono in grado di soddisfare»(38), si deve mettere in evidenza che la disciplina che regola la circolazione della stessa è trans tipica, in altri termini «è proprio dal punto di vista della circolazione che l’organismo produttivo è stato considerato dagli articoli 2555 e ss. c.c. Con la conseguenza che ciò che tali disposizioni vengono a fissare è un pezzo del regime (non dell’azienda in quanto tale, bensì) del negozio traslativo di azienda …
Sotto tale profilo, il nucleo normativo degli artt. 2555 e ss. c.c. manifesta l’inclinazione a incidere trasversalmente su tutti gli schemi negoziali idonei a produrre l’effetto giuridico della cessione di un assetto produttivo»(39), prevedendo altresì, mediante specifiche disposizioni, che la cessione dell’azienda possa «avvenire anche ad tempus, ossia attraverso strutture contrattuali che contemplano la retrocessione all’alienante dell’apparato produttivo alla scadenza di un dato termine»(40), il che significa che la disciplina dell’azienda si applica anche ai contratti non contemplati dal legislatore nel relativo Titolo del codice civile(“dell’azienda”), ad es. comodato, donazione, patto di famiglia, pegno e conferimento in società(41).
Per le ipotesi non previste, né regolate, di gestione e godimento dell’azienda si rende necessario risolvere positivamente un duplice ordini di questioni: per un verso, la compatibilità tra l’unità economica dell’azienda e il fatto costitutivo della titolarità del diritto sulla medesima; per altro verso, la «possibilità di riconoscere come meritevole di tutela la funzione che godimento e gestione sono chiamati a realizzare ... sempre rispetto alla azienda considerata nella sua unità»(42). La riferita dottrina(43) ha segnalato che dalla disciplina dell’usufrutto è possibile ricavare principi generali applicabili alle ipotesi non contemplate dal legislatore, aggiungendo che per le diverse ipotesi di restituzione dell’azienda (tali essendo la risoluzione, l’annullamento o la nullità del contratto di trasferimento) la disciplina è unitaria. Inoltre, relativamente alla (tipica) figura dell’affitto di azienda è stato rilevato(44) come l’assenza di un compiuto quadro normativo attribuisce a siffatto contratto la specificità di essere strumento flessibile, mediante il quale le parti possono realizzare al meglio i propri interessi. Ancora, per quanto riguarda il “contratto di trasferimento d’azienda” la dottrina(45) ha messo in evidenza che lo stesso è unico in relazione alla causa e atipico circa la qualificazione, con ciò intendendo dire che per la cessione di azienda, ed a maggior ragione per la concessione del godimento della stessa, il legislatore si è limitato a disciplinare alcuni profili, senza dettare una normativa particolare completa.
In sostanza, pare possibile affermare, l’azienda costituisce nell’impianto codicistico un “bene” idoneo a circolare attraverso strumenti eterogenei, purché, come sopra accennato, venga mantenuta l’unità aziendale e risulti possibile la gestione del compendio.
Da quanto sopra esposto non si rinvengono elementi tali da far escludere che il compendio aziendale possa circolare tramite il contratto rent to buy, infatti attraverso tale figura negoziale viene mantenuta l’unità aziendale e assicurata la gestione. Ad avvalorare tale conclusione, al contempo riducendo il rilievo di segno negativo (all’applicabilità dell’art. 23 oltre il perimetro dei beni immobili) della rubrica e della collocazione sistematica del contratto in esame, depone il confronto con la “vendita con riserva della proprietà”, di cui agli artt. 1523 e ss. c.c. Infatti, dette norme sono collocate nella sezione “della vendita di cose mobili”, cionondimeno costituisce un dato acquisito la possibilità di stipulare contratti di vendita con patto di riservato dominio aventi per oggetto beni immobili o aziende(46).
In sostanza, nella misura in cui si ammette che la vendita con riserva della proprietà costituisce tipo contrattuale il cui oggetto può essere tanto un bene mobile, quanto un immobile, così come un’universitas, nonostante la collocazione sistematica(47), in ragione della peculiare funzione (al contempo traslativa e di garanzia) che detto contratto riesce a soddisfare, si dovrebbe, mutatis mutandis, coerentemente ritenere, rilevata l’autonomia causale del rent to buy, che la “disciplina del godimento in funzione della successiva alienazione” possa riguardare (nei limiti di compatibilità, ma certamente per il corrispettivo) l’azienda.

Il confronto con le figure affini attraverso la lente del corrispettivo: prime conclusioni

Svolte le preliminari considerazioni di cui sopra, tese, da un lato, ad affermare la specificità causal- tipologica del contratto in esame e, dall’altro, l’applicabilità di esso al “bene azienda”, risulta possibile evidenziare, attraverso l’elemento del corrispettivo, il confronto con le figure affini, e quindi gli interessi delle parti a scegliere la figura in esame.
In primo luogo, preme rilevare che all’indomani della c.d. Legge Mancino il ceto notarile rilevava come «l’attrazione dei contratti che hanno per oggetto l’azienda negli studi notarili non può non avere per effetto quello di anticipare l’attività interpretativa delle parti alla fase anteriore alla documentazione; con l’ambizione di eliminarla dalla fase successiva»(48). Insomma, il notaio deve unire all’attività di certificazione quella di consulenza e se ciò è vero in ogni caso in tale circostanza appare ancora più importante, fino al punto di prospettare una nota integrativa motivazionale nelle premesse dell’atto volta a fare emergere la figura procedimentale unitaria costituita dal rent to buy d’azienda.
Si è sopra evidenziato come la dottrina chiamata ad occuparsi della figura contrattuale in esame convenga, senza eccezioni, sul rilievo determinante del corrispettivo, il che è tanto più vero sol che si pensi alla funzione alternativa al credito bancario che caratterizza la figura. E infatti, la facoltà del concessionario di acquistare il bene si manifesta nella suddivisione del canone(49), il quale viene articolato in maniera tale da indicare la componente del godimento, la frazione di esso da imputare in funzione dell’effetto traslativo nonché la quota dei canoni imputati a corrispettivo da restituire e, per converso, quella da trattenere. In altri termini, benché il conduttore non sia obbligato ad acquistare ha, comunque, l’obbligo di pagare la quota canone imputata al prezzo di vendita(50). È stato precisato(51) che il legislatore ha prestato particolare attenzione al mancato pagamento dei canoni ed alle relative restituzioni attraverso la “spaccatura del corrispettivo”. In particolare, requisito essenziale del rent to buy risulta essere il “frazionamento del canone” tanto per il profilo del godimento e dell’acquisto, quanto per ciò che prevede il comma 1-bis, ossia la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare, diversamente ragionando non vi sarebbe differenza tra il mancato esercizio della facoltà di acquisto e l’inadempimento (che, giusta la lettera del comma 5, salva diversa disposizione, comporta la mancata restituzione dei canoni imputati al prezzo di acquisto)(52).
In altri termini, sebbene vi siano sul punto opinioni discordanti(53), qualora nel corrispettivo manchi l’espressa indicazione della quota che remunera il godimento, di quella da imputare a corrispettivo e, infine, rispetto a quest’ultima la parte da restituire in ipotesi di scelta del conduttore di non procedere all’acquisto, si fuoriesce dal tipo negoziale introdotto dal legislatore(54). Precisamente, «se è vero che il frazionamento del canone costituisce elemento essenziale del rent to buy, l’autonomia negoziale, da un lato, non potrà eliminare o ridurre a misura poco più che simbolica la “quota” del canone destinata al corrispettivo di acquisto e, dall’altro, non potrà consentire ai contraenti di prevedere una imputazione totale dei canoni a corrispettivo, eliminando da essi l’imputazione per la concessione del godimento: diversamente, in entrambe i casi, verrebbe violata la tipica configurazione del contratto …»(55).
Come anticipato, per fare emergere al meglio la peculiarità della figura in commento si impone il raffronto delle pattuizioni su corrispettivo con le figure affini(56).
In primo luogo viene esaminata la vendita con riserva della proprietà(57), questo contratto tipico, prevalentemente annoverato tra le vendite obbligatorie, condivide con la figura in esame il fatto di rappresentare un’alternativa per ottenere il godimento immediato del bene senza necessità di pagare l’intero prezzo alla consegna(58), tuttavia le due figure differiscono in quanto l’art. 23, come rilevato, costituisce una figura procedimentale unitaria che può condurre all’acquisto, mentre la fattispecie disciplinata dagli artt. 1523 e ss. c.c., al di là delle diverse ricostruzioni teoriche, produce l’effetto traslativo (salvo inadempimento, ovviamente). Al riguardo è stato evidenziato(59) che il passaggio di proprietà costituisce l’intento delle parti, detto altrimenti rappresenta la fisiologica conclusione di tale schema negoziale.
È stato rilevato(60), per un verso, che la vendita con patto di riservato dominio ricorre in presenza dell’interesse del cedente a riprendere presso di sé il compendio aziendale in caso di inadempimento all’obbligo di pagare il prezzo (atteso che al cessionario non risulta possibile offrire garanzie prestate da terzi, le quali consentirebbero di fare ricorso al mero differimento nel tempo del pagamento del prezzo) e, per l’altro, che costituisce questione discussa, in dipendenza delle varie teoriche attraverso cui si ricostruisce detta figura, la responsabilità per debiti.
Un tratto caratterizzante la predetta forma di vendita riguarda il passaggio dei rischi sin dalla consegna, la dottrina(61) con sintesi efficace ha così spiegato tale elemento della disciplina: «ubi commoda, ibi incommoda».
Le riferite caratteristiche, per quanto consta, sono idonee a distinguere il rent to buy dalla “vendita a rate”, a ciò si aggiunga che nel primo contratto, a differenza dell’altro, l’effetto traslativo richiede una nuova manifestazione di volontà e, soprattutto, detto effetto non costituisce l’unica forma fisiologica della vicenda contrattuale. Questa distinzione, come è stato evidenziato, sembra determinare una diversa connotazione del godimento immediato, il quale in caso di vendita con riserva sarebbe possesso, nell’ipotesi di cui si tratta detenzione(62). Rispetto a tale ultimo profilo, invero, assume decisivo rilievo la tesi sulla natura giuridica della vendita con riserva dalla quale si muove, infatti, secondo una diversa lettura(63), il godimento è a titolo di detenzione. Infine, ulteriore elemento che vale a differenziare le due figure riguarda la restituzione dei canoni in caso di inadempimento. In primo luogo, nella figura codicistica l’unica parte che può risultare inadempiente, di fatto, è il compratore, in seconda istanza, in caso di inadempimento della “parte acquirente” il venditore è tenuto a restituire le rate riscosse, ma ha diritto ad un equo compenso, tale essendo la remunerazione del godimento ed il deprezzamento del bene, il patto di cui dà conto il comma 2 dell’art. 1526 c.c. è in grado di determinare sia una vera e propria indennità, che altro non sarebbe che la determinazione convenzionale di ciò che prevede il comma 1 della citata norma, quanto il c.d. patto di confisca(64).
In quest’ultimo caso la dottrina(65) non ha mancato di rilevare che ci si trova di fronte ad un’applicazione della clausola penale, conseguentemente ne andrebbe applicata la relativa disciplina.
A fronte di detta complessa situazione in materia di restituzioni, il più volte citato art. 23 si caratterizza per maggiore linearità e, quindi, minori possibilità di contenzioso(66).
Inoltre, è da considerare tanto il collegamento tra diritto di opzione di acquisto di azienda e affitto di azienda, quanto l’affitto di azienda collegato al contratto preliminare unilaterale(67). La dottrina(68) non ha mancato di rilevare come per ovviare ad un trasferimento immediato, ed anche ad un pagamento immediato, la prassi contrattuale ha fatto ricorso a plurime soluzioni, tra le quali figurano quelle in parola. Tuttavia, la similitudine di detti schemi negoziali, per quanto sopra esposto circa la natura unitaria del rent to buy, risulta meramente descrittiva, atteso che per essi trova applicazione il collegamento contrattuale.
Tale ultimo profilo rappresenta un elemento distintivo di non poco conto, atteso che le diverse declinazioni che può assumere - collegamento formale, sostanziale, necessario, volontario, genetico, funzionale, unilaterale, bilaterale, esplicito, implicito - determinano conseguenze tra loro diverse(69). Questo dato di possibile incertezza sul tipo di collegamento, con la correlativa possibilità di contenzioso che ne può derivare, sembra costituire valido elemento non solo per distinguere il rent to buy, ma anche per preferirlo.
Oltre a ciò, il regime “legale” del corrispettivo rent to buy, anche volendo aderire all’impostazione più liberale di cui si è dato conto alla precedente nota 53, permette per il solo caso di acquisto e di adempimento quale incentivo fornito al conduttore/acquirente che l’intero importo dei canoni sia imputato a corrispettivo. Questo elemento, di certo, vale ad identificare il contratto in parola rispetto alle figure affini, le quali, in quanto non predeterminate dal legislatore lasciano maggiori spazi all’autonomia contrattuale(70).
Ancora, la considerazione unitaria della figura in commento, come è stato rilevato(71), potrebbe suggerire di valutare la disciplina sull’azienda in guisa da valorizzare l’unicum, ossia evitando di pensare il godimento e l’effetto traslativo quali compartimenti stagni, conclusione alla quale, invece, si dovrebbe pervenire con riguardo al mero collegamento contrattuale.
Non ultimo, è l’interesse delle parti che mette in risalto i profili differenziali: infatti, come si è sopra esposto, la concessione del godimento nella figura in esame è strumentale all’acquisto, detto altrimenti “non gode di vita autonoma”, mentre nell’affitto di azienda, (seppur collegato ad un’opzione di acquisto oppure ad un preliminare unilaterale di vendita), è il proprium del contratto: in considerazione di ciò non vi sarebbe interesse delle parti, specialmente del “conduttore”, a pattuire fin da subito un canone che comprenda quote da imputare in conto prezzo, per converso, non vi sarebbe la disponibilità del concedente a vincolare la vicenda circolatoria del suo bene senza ricevere un immediato vantaggio diretto(72).
In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra esposto si ritiene corretto affermare che la disciplina del rent to buy presenta delle specificità tali da distinguerla dalle c.d. figure affini, le riferite peculiarità, tra l’altro, rappresentano elementi normativi che valgono a conferire all’istituto in esame possibili spazi applicativi nella circolazione del compendio aziendale, affinché ciò si realizzi assumono massima importanza tanto il regime pubblicitario quanto il trattamento fiscale (che, lungi dal costituire conseguenza della scelta negoziale ne viene ad essere il prius).


(1) Prima dell’entrata in vigore del testo legislativo tanto la dottrina quanto la prassi avevano individuato, sia avvalendosi di strumenti tipizzati sia valorizzando l’autonomia contrattuale, schemi negoziali funzionali a consentire effetti traslativi in via alternativa allo scambio contestuale di cosa contro prezzo. Per una ricognizione dello status quo ante la disciplina in commento si veda A. FUSARO, «Rent to buy, Help to buy, Buy to rent, tra modelli legislativi e rielaborazioni della prassi», in Contr. impr., 2014, 2, p. 419 e ss.

(2) D. POLETTI, «Quando al “rent” non segue il “buy”: scioglimento del vincolo contrattuale e restituzioni», in Rent to buy, a cura di G. D’amico, in Contratti, 2015, 11, p. 1056; V. CUFFARO, «Oltre la locazione: il rent to buy, nuovo contratto per l’acquisto di immobili», in Corr. giur., 2015, 1, p. 9.

(3) G. D’AMICO, «Il rent to buy: profili tipologici», in Rent to buy, cit., p. 1030.

(4) Della questione si è espressamente occupato P. ZANELLI, «Rent to buy nelle leggi 80 e 164 del 2014: ora dunque emptio tollit locatum?», in Contr. impr., 2015, 1, p. 16. Ivi l’Autore afferma, in via ricognitiva, che «si potrebbero proporre due chiavi di lettura, a) ragionare in termini di tipizzazione di un contratto a causa mista ibrida tra locazione e vendita e allora tutto ciò che in esso non può essere ricompreso, torna ad essere assoggettato alla disciplina del tipo prevalente, b) alternativamente si potrebbe ragionare in termini di regime transtipico, estendendo così la disciplina di cui allo Sblocca Italia alle ipotesi diffuse nella prassi ... (in tal senso si potrebbe leggere il riferimento di cui all’art. 23 a “i contratti”)».

(5) Il dibattito tra tipo e trans tipo ha riguardato un istituto di recente conio, il “Contratto di rete” di cui al D.L. 5/2009 e s.m.i., risulta utile ripercorrere, in maniera necessariamente sintetica, le conclusioni che ne sono seguite: da un lato vi è chi (F. MACARIO, «Il contratto e la rete: brevi note sul riduzionismo legislativo», in Reti di impresa e contratto di rete: spunti per un dibattito, a cura di F. Macario e C. Scognamiglio, in Contratti, 2009, 10, p. 953, che invero parla di tipizzazione anomala) ha osservato come il legislatore anziché effettuare una ricognizione di un dato socio-economico, nella fattispecie quello delle aggregazioni tra imprese sub specie reti di imprese, abbia inteso disciplinare un apposito tipo, tendenzialmente plurilaterale con comunione di scopo; dall’altro, è stato ritenuto (F. CAFAGGI, «Il contratto di rete e il diritto dei contratti», in Reti di impresa e contratto di rete: spunti per un dibattito, cit., p. 919) che si tratti non di contratto tipico bensì trans tipico, con ciò intendendo che l’elemento che rileva non è lo schema contrattuale, appunto il tipo, bensì la funzione del contratto, detto altrimenti, in quest’ottica, l’autonomia contrattuale che la legge lascia alle parti nel definire gli elementi non prescinde da una serie minimale di essi i quali, quindi, sono tali da assurgere a tratto essenziale del coordinamento interimprenditoriale, con conseguente applicabilità ad altre figure dell’ordinamento. In ottica generale potrebbe dirsi che ricostruire il contratto quale fattispecie destinata non solo a sovrapporsi ad altre tipologie bensì anche idonea ad attraversarle sortirebbe l’effetto, e quindi consentirebbe, come è stato affermato (cfr. G. VETTORI, «Contratto di rete e sviluppo dell’impresa», in Obbl. contr., 5, 2009, p. 390 e ss., per il quale l’attenzione deve essere rivolta non tanto alla configurazione del tipo quanto, piuttosto, all’individuazione dell’operazione) «di integrare il regolamento contrattuale con discipline concernenti i diversi tipi, per via di applicazione diretta o di applicazione analogica». Per la disamina di tali questioni sia consentito rinviare a J. BASSI, Il contratto di rete nel sistema del diritto civile, Tesi di dottorato, Discipline civilistiche, Università degli Studi di Firenze, aa. aa. 2012-2014, in https://flore. unifi.it/retrieve/handle/2158/1003191/40433/tesi%20 completa.pdf.

(6) F. DELFINI, «Il duplice effetto della trascrizione del contratto di rent to buy: disciplina speciale e considerazioni sistematiche», in Tecniche contrattuali e attività notarile, in questa rivista, (Supplemento telematico al n. 2/2015) afferma come, «dopo la novella, un’operazione appartenente lato sensu al RTB ... possa essere realizzata tramite opzione di acquisto concessa al conduttore: si tratterebbe tuttavia di contratto atipico (o di collegamento negoziale di contratti tipici) che esula dalla fattispecie dell’art. 23 ...».

(7) F. TASSINARI, «Reti di imprese e consorzi tra imprenditori: interessi coinvolti e modelli operativi», in Il contratto di rete. Nuovi strumenti contrattuali per la crescita dell’impresa, in questa rivista, 2012, 1, p. 92 e ss.

(8) V. CUFFARO, «Oltre la locazione: il rent to buy …», cit., p. 5; D. POLETTI, «Quando al “rent” non segue il “buy”: …», cit., p. 1055 e ss., quantunque l’Autrice discorra di un’operazione che non possa essere analizzata «con la lente unidirezionale capace di convergere in un ben individuato tipo contrattuale ma con il prisma del regolamento ...»; G. D’AMICO, op. cit., p. 1030 e ss.

(9) G. BISCONTINI, «L’imputazione dei canoni nel procedimento e nella qualificazione del rent to buy», in www.comparazionedirittocivile.it, 8; C. CICERO, «Rent to buy: la fattispecie e gli interessi sottesi (provocazioni e spunti)», in Rent to buy, cit., p. 1048, secondo il quale: «Certamente il c.d. rent to buy è oggi contratto che rientra in una figura che ha una disciplina legale particolare, che ad essa corrisponda un univoco tipo legale nominato mi pare di dover dubitare»; al contempo egli precisa, a p. 1042 e ss., che il contratto in commento, da un lato, «esige ... di essere distinto dal leasing finanziario, dalla vendita con riserva di proprietà, dalla locazione con patto di vendita consecutiva alla cessazione della locazione»; dall’altro, che «si caratterizza ... per la sequenza di due momenti contrattuali, senza che ciò debba necessariamente condurre alla conclusione che siamo nanti a due distinti contratti».

(10) S. ROMANO, Autonomia privata, in Scritti minori, tomo II, Milano, 1980, p. 571.

(11) Cfr. per tutte Cass. civ., 8 maggio 2006, n. 10490, consultabile all’indirizzo www.iusexplorer.it, ove si legge che: «La causa di un contratto non è la sua funzione economico-sociale, che si cristallizzerebbe per ogni contratto tipizzato dal legislatore (ciò che non spiegherebbe, a tacer d’altro, come un contratto tipico possa avere una causa illecita), ma è la sintesi degli interessi reali che il singolo, specifico contratto posto in essere è diretto a realizzare (c.d. causa in concreto). La causa del contratto consiste nella funzione economica individuale del negozio posto in essere, è la ragione concreta che persegue il singolo e specifico contratto, a prescindere dalla volontà dei contraenti, e non coincide con il tipo contrattuale astratto scelto dalle parti».

(12) La causa è stata a lungo considerata un quid da riferire all’obbligazione, cioè con essa si giustificava non il contratto bensì il collegamento tra prestazione e controprestazione; tale posizione trae origine e fondamento nel Code Napoleon. Il progressivo affrancarsi della nozione di causa dal profilo soggettivo è coevo alla sempre maggiore consapevolezza che la stessa non può essere considerata «mero elemento del negozio giuridico, come l’oggetto e la forma, bensì, poiché il negozio si connota proprio con riferimento alla sua funzione, come suo fondamento, che pertanto non può scindersi da esso». In considerazione di ciò la causa è stata assunta quale limite alla determinazione dei privati, il che significa che l’ordinamento riconosce o nega l’efficacia di taluni atti in relazione al profilo causale, funzionale - come insegna la Relazione n. 613 al Codice Civile vigente - al «contenuto socialmente utile del contratto». L’utilità economico sociale della causa veniva ravvisata nella riproduzione dei modelli tipici, i quali si assumevano caratterizzati da interessi rilevanti; nel caso invece dei contratti atipici occorreva indagare se le pattuizioni delle parti rispondevano o meno all’utilità sociale. Risulta evidente che così ragionando emerge, al contempo, in tutta la sua forza ed in tutta la sua, seppur parziale, inutilità, il dogma della causa. Infatti, da un lato essa esercita la sua funzione di controllo, cioè di limite, all’autonomia privata; dall’altro si risolve nel tipo, con l’ovvia conseguenza che causa e tipo si rivelano due doppioni. La concezione oggettiva della causa, nei termini appena descritti, è stata sottoposta ad una revisione critica il cui approdo è rappresentato dalla funzione economico individuale. Sul tema della causa cfr. R. ROLLI, Causa in astratto e causa in concreto, Padova, 2008; E. NAVARRETTA, voce Contratto (causa del), in Il Diritto: Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, vol. 4, Milano, 2007, p. 162 e ss.

(13) R. ROLLI, Causa in astratto e causa in concreto, cit., p. 73.

(14) Così E. GABRIELLI, «L’operazione economica nella teoria del contratto», in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 3, p. 905 e ss.

(15) V. ROPPO, Il contratto, Milano, 2011, p. 397, il quale cita quale es. la compravendita, identificandola «nel modello di operazione economica con cui le parti realizzano, mediante contratto, lo scambio fra la proprietà di un bene e denaro»

(16) Tra i molti, cfr. V. ROPPO, op. cit., p. 368 e ss. e 405.

(17) E. GABRIELLI, «Il contratto e l’operazione economica», in www.judicium.it, par. 2, nota 15.

(18) C. CICERO, op. cit., p. 1048.

(19) G. BISCONTINI, op. cit., p. 5, 16, 17, 18, 19, 22, 24 e 25. M. BIANCA, «La vendita con riserva della proprietà quale alternativa al rent to buy», in Riv. dir. civ., 2015, 4, p. 841 e ss., specialmente p. 845, piuttosto che indagare il profilo in discorso, prendendo le mosse dalla distinzione tra locazioni convertibili in vendita e vendite in forma di locazione rileva che le prime non differiscono dal contratto in esame (all’uopo mettendo in evidenza che la locazione e la vendita sono stipulate in momenti temporali diversi) ed avverte circa i rischi di leggere la disciplina in esame quale normativa trans tipica.

(20) V. CUFFARO, «Oltre la locazione: il rent to buy …», cit., p. 6, 7, 9.

(21) G. D’AMICO, op. cit., p. 1035,1036.

(22) G. D’AMICO, op. cit., p. 1039, il quale avverte dei rischi che potrebbe determinare l’opzione ermeneutica che (pur condividendo la causa unitaria) discorre di struttura bifasica; sul punto si veda quanto appresso indicato nel testo.

(23) D. POLETTI, «Quando al “rent” non segue il “buy”: …», cit., p. 1055, 1056.

(24) Per la spiegazione dell’operazione economica e quindi dell’operazione bifasica cfr. D. POLETTI, «L’accesso “graduale alla proprietà immobiliare (ovvero, sui contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili)», in Le nuove leggi civ. comm., 2015, 1, p. 42 e ss., la quale, nell’interrogarsi circa la nascita di un nuovo tipo contrattuale, mette in evidenza come nel collegamento contrattuale «il profilo dell’unitarietà si coglie nel risultato economico e nella funzionalizzazione dei contratti collegati, ciascuno dei quali conserva causa autonoma, a realizzare un unico regolamento dei reciproci interessi. L’individuazione di un (nuovo) contratto tipico implica il riconoscimento di una causa autonoma, che si ricostruisce in concreto dal tipo contrattuale e che vale a qualificare il regolamento dei privati».

(25) D. POLETTI, «L’accesso “graduale alla proprietà immobiliare …», cit., p. 43, annovera il contratto in commento tra quei tipi contrattuali il cui proprium è il godimento finalizzato all’acquisto, tali essendo il contratto preliminare ad effetti anticipati, la locazione convertibile in vendita, la vendita con riserva della proprietà e il leasing traslativo.

(26) G. PALERMO, «L’autonomia negoziale nella recente legislazione», in Rent to buy e locazione di scopo, a cura di P. Rescigno, V. Cuffaro, in Giur. it., 2015, 2, p. 494 e ss.

(27) A. FUSARO, «Un catalogo di questioni aperte sul c.d. Rent to buy», in Rent to buy e locazione di scopo, cit., p. 497, condivide l’opinione di chi ravvisa un nuovo contratto tipico, esclude il collegamento negoziale e ritiene inapplicabili le norme sulla locazione in via diretta. Conforme V. CUFFARO, «La locazione di scopo», in Rent to buy e locazione di scopo, cit., p. 504, che ritiene configurato uno specifico ed autonomo schema contrattuale che esula dalla locazione.

(28) S. SIDERI, «Art. 23 del D.l. 12 settembre 2014 n. 133 convertito con legge 11 novembre 2014 n. 164 (C.D. Rent to buy): Tecniche redazionali», in Tecniche contrattuali e attività notarile, in questa rivista, 2015, 2, (Supplemento telematico), reperibile all’indirizzo www.elibrary. fondazionenotariato.it, 3.

(29) G. PALERMO, op. cit., p. 843.

(30) D. POLETTI, «L’accesso “graduale alla proprietà immobiliare …», cit., p. 49, v. pure p. 44 e ss., ove l’Autrice mette in risalto la lontananza della figura di cui si tratta dalla locazione immobiliare; in senso contrario cfr. F. DELFINI, «La nuova disciplina del rent to buy nel sistema delle alienazioni immobiliari», in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 3, p. 820, il quale afferma che il legislatore ha seguito la via del contratto preliminare.

(31) La nota sentenza Trib. Verona, 12 dicembre 2014, commentata da G. ASCHIERI, G. FIORI, «Rent to buy e fallimento, Note a margine di un provvedimento del Tribunale di Verona», consultabile su www.ilcaso. it, ha escluso che ricorra locazione nel contratto in parola. Nella riferita nota viene dato conto del fatto che la Suprema Corte (Cass. civ., 9 ottobre 1980, n. 5404) in passato aveva escluso l’applicabilità della disciplina sull’equo canone in ipotesi di concessione del godimento dell’immobile in relazione ad una più complessa operazione economica.

(32) F. GALGANO, Persone giuridiche, seconda edizione, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 2006, p. 205.

(33) D. POLETTI, «Quando al “rent” non segue il “buy”: …», cit., p. 1050, n. 7, ove è fatto riferimento ai negozi di puro trasferimento. Tale tematica è affrontata anche da F. DELFINI, op .ult. cit., p. 826, par. 5. Volendo far cenno alla complessa tematica del pagamento traslativo, in questa sede appare sufficiente riportare l’efficace ricostruzione di P. FRANCESCHETTI, «Pagamento traslativo», Altalexpedia, Voce aggiornata al 28/04/2016, in www.altalex.com, il quale nelle Conclusioni espone quanto segue: «Contestato che il nostro codice accolga sempre il principio consensualistico; contestato che il principio di causalità vieti di porre in essere negozi con causa esterna; contestato che il trasferimento della proprietà richieda sempre e comunque una vendita o una donazione; contestato, infine, che l’obbligo di trasferire un diritto sia qualificabile come obbligazione di fare, parte della dottrina inquadra i casi di pagamento traslativo nelle obbligazioni di dare. Gli esempi che il nostro ordinamento conoscerebbe di obbligazioni di dare sono molteplici: il trasferimento del mandatario senza rappresentanza al mandante dell’immobile acquistato per suo conto; il trasferimento dell’immobile dal fiduciario al fiduciante, a cui è stato trasferito l’immobile; l’obbligazione del venditore di cosa altrui (articolo 1478); l’obbligazione dell’onerato testamentario nel caso di cui all’articolo 651; il trasferimento immobiliare effettuato per adempiere ad un’obbligazione naturale; l’obbligazione del promittente venditore, nel caso di contratto preliminare di vendita …; la donazione avente ad oggetto l’assunzione di un obbligo di trasferire la proprietà; la collazione di immobili mediante conferimento in natura (articolo 746); la restituzione di un bene in natura quando vi sia un arricchimento ingiustificato (articolo 2041 comma 2); l’onere donativo, quando il testatore lasci un bene all’erede e imponga a costui di trasferire una parte del bene a un terzo; in caso di separazione consensuale tra coniugi, uno dei coniugi potrebbe soddisfare il suo obbligo di mantenimento della prole in un’unica soluzione, con un trasferimento immobiliare ...». Sul tema cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, XV edizione, Napoli, 2011, p. 824 e ss., il quale afferma che il pagamento traslativo sussiste quando il trasferimento della proprietà avviene in adempimento di un obbligo preesistente, quindi solvendi causa, ossia un obbligo di dare che si risolve nell’obbligo di porre in essere un atto idoneo a trasferire la proprietà. Dello stesso Autore vedasi «Babbo Natale e l’obbligo di dare», in Riv. not., 1991, 6, p. 1414 e ss., in particolare p. 1418: «Il trasferimento della proprietà seguirà poi con il pagamento traslativo (o, in difetto, con la sentenza ex art. 2932 c.c.), che è atto unilaterale come sono unilaterali gli atti di adempimento, cosicché non sarà necessario un contratto, né bilaterale, né unilaterale ex art. 1333 c.c. Un rifiuto, in tal caso, o, tanto meno, una accettazione, non avrebbero infatti senso alcuno avendo oltre tutto l’accipiens già manifestato la propria volontà in sede di nascita dell’obbligo di dare». In giurisprudenza, di recente, con riguardo al negozio fiduciario rimasto inadempiuto cfr. Cass. civ., 15 maggio 2014, n. 10633, nonché la nota Cass. civ., 21 dicembre 1987, n. 9500, consultabili su www. iusexplorer.it. Oltre all’opera di A. LUMINOSO, Appunti sui negozi traslativi atipici, Milano, 2007, è da segnalare la Tesi di dottorato di T. CASTANO, Obbligazioni di dare e negozi di adempimento traslativi con causa esterna, Dottorato di ricerca in Diritto Privato dell’economia, XXIII ciclo, Università di Catania, Facoltà di Giurisprudenza, in http://archivia.unict.it/bitstream/10761/1188/1/ CSTTJN81C52C351J-PDF_A-tesi%20dottorato.pdf.

(34) Il riferimento alla procedimentalizzazione è presente in G. PALERMO, op. cit., p. 492 e ss.; D. POLETTI, «L’accesso “graduale alla proprietà immobiliare …», cit., p. 63, ove l’Autrice richiama i classici scritti di S. ROMANO, Introduzione allo studio del procedimento giuridico nel diritto privato, Milano, 1961, nonché G. FURGIUELE, Il contratto con effetti reali fra procedimento e fattispecie complessa: prime considerazioni, in Dir. priv., I, Il trasferimento della proprietà, Padova, 1995, p. 83 e ss. Da segnalare anche C. MAZZÙ, «La compravendita immobiliare dall’atto al procedimento», p. 1 e ss., reperibile all’indirizzo http:// www.perg liavvocati.it/cong resso2014/wp-content/ uploads/sites/2/2014/03/PROF.-MAZZU-IXCGF- 2014-RELAZIONE.pdf.

(35) C. CICERO, op. cit., p. 1041; G. D’AMICO, op. cit., p. 1029; D. POLETTI, «Quando al “rent” non segue il “buy”: …», cit., p. 1056; M. BIANCA, op. cit., p. 855.

(36) Come fa notare V. CUFFARO, «Locazione di scopo», cit., p. 502, il quale mette anche in rilievo la recente modifica legislativa all’art. 79, L. 392/1978 con riguardo alle locazioni di immobili ad uso non abitativo con canone superiore ad euro duecentocinquantamila per le quali è possibile derogare alla predetta legge. Appare utile osservare la massima costante che caratterizza il copioso repertorio giurisprudenziale in cui si distingue la locazione di immobile con pertinenze dall’affitto di azienda, tra le molte Cass. civ., 19 luglio 2005, n. 15210, nonché Cass. civ., 15 marzo 2007 n. 5989, entrambe consultabili su www.iusexplorer.it: ricorre la prima ipotesi quando l’immobile concesso in godimento viene considerato l’oggetto principale con funzione prevalente e assorbente rispetto agli altri elementi, mentre nell’affitto d’azienda il bene immobile altro non è che uno degli elementi costitutivi del complesso aziendale. La distinzione ha riflessi notevoli in termini di disciplina, infatti nel primo caso si applica la normativa sulle locazioni, nel secondo l’affitto d’azienda. Laddove si ritenesse inapplicabile il contratto di cui si discorre all’azienda, le parti avvalendosi dell’espediente di ricostruire la vicenda contrattuale in termini di locazione del bene immobile principale con accessori raggiungerebbero l’effetto di poter applicare il rent to buy. La riferita soluzione patologica per vedere applicata senza incertezze la disciplina in commento va considerata anche alla luce dell’art. 36 della L. 392/1978, il quale conferma la strumentalità del bene immobile locato rispetto alla circolazione del compendio aziendale. In sostanza, prevedere quale oggetto del contratto l’immobile con le pertinenze, a fronte della (reale) volontà di determinare una vicenda circolatoria dell’azienda sulla base della disciplina del rent to buy, sovverte il rapporto di mezzo a fine che corre tra l’immobile ed il compendio aziendale.

(37) Sul punto per un’ampia ricognizione cfr. C. FERRENTINO, A. FERRUCCI, Dell’azienda, seconda edizione, Milano, 2014, p. 21 e ss. i quali danno conto delle varie opinioni dottrinarie espresse al riguardo, riconducibili alle tre teorie di base, tali essendo la tesi unitaria, la tesi atomistica e la tesi intermedia. In giurisprudenza, il dibattito vede contrapposte le ricostruzioni in termini di universitas facti e iuris, cfr. per il primo orientamento Cass. civ., 3 ottobre 2011, n. 20153; per l’altro Cass. civ., 22 gennaio 1999, n. 577, reperibili all’indirizzo www.iusexplorer.it.

(38) G. AULETTA voce Azienda, I) Diritto commerciale, in Enc. giur. Treccani, vol. 4, Roma 1988, 1.

(39) U. MINNECI, voce Azienda (dir. comm.), in Il Diritto, Enciclopedia del Sole 24 Ore, vol. 2, Milano, 2007, p. 315, 316. L’Autore al fine di giustificare l’applicabilità trasversale della disciplina cita V. ROPPO, Il contratto, Milano, 2001, p. 592: l’alienazione di azienda «non ha propriamente una causa tipica, perché non è propriamente un contratto tipico: bensì è una prestazione tipica ... che potrà formare oggetto di tanti contratti causalmente diversi».

(40) U. MINNECI, op. cit., p. 331. Va segnalato che di recente, Cass. civ., 29 gennaio 2016, n. 1720, reperibile su www.iusexplorer.it, è stato affermato che l’azienda oggetto di legato circola in base alle regole del diritto successorio, così creando un duplice regime di circolazione: mortis causa ed inter vivos.

(41) Cfr. C. FERRUCCI, A. FERRENTINO, op. cit., p. 29 e ss. per la circolazione dell’azienda in generale, p. 197 e ss. per la donazione di azienda, p. 207 e ss. per il patto di famiglia; p. 291 e ss. per il pegno; p. 172 e ss. per il conferimento in società; Vedasi anche G. AULETTA, op. cit., p. 28. In termini generali la dottrina non dubita che l’azienda possa circolare attraverso i più svariati negozi volti a trasferirne la titolarità o il godimento, su punto G. U. TEDESCHI, I contratti sull’azienda, in Trattato di diritto privato, vol. 18, diretto da P. Rescigno, Torino, 1983, p. 27.

(42) G. AULETTA, op. cit., p. 33.

(43) G. AULETTA, op. cit., p. 34.

(44) M.P. NASTRI, L’affitto di azienda, in questa rivista, 2010, 2 (supplemento), p. 19.

(45) A. BORTOLUZZI, L’impresa, l’azienda e il suo trasferimento, vol. I, seconda edizione, Torino, 2001, p. 95 e ss.

(46) C. FERRENTINO, A. FERRUCCI, op. cit., p. 155 e ss.; C. CILLO, A. D’AMATO, G. TAVANI, Dei singoli contratti, vol. I, Milano, 2005, p. 115; S. MAGGI, in Il Diritto, Enciclopedia del Sole 24 Ore, vol. 16, Milano, 2007, p. 488.

(47) R. CALVO, «Situazioni di appartenenza e garanzia nella riserva di proprietà», in Riv. dir. civ., 2015, 4, p. 862, nota 2, 863, il quale rileva quanto segue: «Sebbene la disciplina in discorso sia inserita nella sezione del codice civile dedicata alla vendita mobiliare, non pare revocabile in dubbio la sua estensibilità (alquanto infrequente) alle cose immobili», incontrando un limite applicativo nella sola ipotesi in cui la cosa venduta sia riducibile nel nulla dopo l’uso.

(48) D. DE STEFANO, Problemi redazionali della cessione e dell’affitto di azienda, in Cessione ed affitto di azienda alla luce della più recente normativa, Milano, 1995, p. 151.

(49) C. CICERO, op. cit., p. 1044.

(50) G. D’AMICO, op. cit., p. 1032 e 1033. L’Autore evidenzia come «l’articolazione del “canone” ... diventa (così) il fulcro dell’operazione …: il canone deve rispecchiare la ... “duplicità causale” del contratto, contenendo inscindibilmente una parte destinata a remunerare il godimento e un’altra parte destinata ad essere imputata al prezzo della vendita».

(51) D. POLETTI, «Quando al “rent” non segue il “buy”: …», cit., p. 1050.

(52) D. POLETTI, «Quando al “rent” non segue il “buy”: …», cit., p. 1057.

(53) A. FUSARO, op. cit., p. 498, rileva che gli interpreti mentre condividono circa la peculiarità del corrispettivo, sono in disaccordo circa la possibilità di imputare integralmente i canoni a corrispettivo e, conseguentemente, per il profilo novativo che registrerebbero le somme versate in caso di mancato acquisto. Manifesta preferenza per l’impostazione secondo cui i canoni possano essere interamente imputati a corrispettivo L. STUCCHI, «Contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili. La nuova fattispecie e le tecniche contrattuali tradizionali», in Tecniche redazionali, cit., p. 7, il quale osserva che: «la norma andrebbe intesa nel senso che le parti debbano convenire che una parte del corrispettivo per il trasferimento sia anticipata, ma non anche che una parte dei canoni debba restare imputata quale corrispettivo per il godimento pur ove si sia determinato il trasferimento. Ciò significa che la distinzione delle due componenti dei canoni sia da prevedere per tutti gli effetti di legge, che potrebbero verificarsi in caso di mancato esercizio del diritto all’acquisto e di inadempimento del conduttore/acquirente, ma che, solo per il caso di acquisto e di adempimento quale incentivo fornito al conduttore/ acquirente, l’intero importo dei canoni sarebbe imputato a corrispettivo».

(54) G. BISCONTINI, op. cit., 29, 30.

(55) G. BISCONTINI, op. cit., 49.

(56) Non sono tali la cessione d’azienda e l’affitto della stessa, queste infatti rappresentano, rispettivamente, i paradigmi del puro effetto traslativo e del godimento, per così dire, statico. Con riguardo alla prima, le parti stabiliscono il prezzo complessivo della vendita, suddividendolo in relazione ai beni che compongono il compendio aziendale (e così, ad es. gli immobili, l’avviamento, i crediti ed i beni mobili), l’acquisto della proprietà dell’azienda, e quindi del possesso della stessa, è immediato, in applicazione del principio del consenso traslativo. Ciò vale, come è ovvio, anche quando le parti abbiano previsto di rinviare ad un momento successivo la determinazione del corrispettivo e la sua corresponsione, sebbene sulla base di criteri prestabiliti che, in genere, tengono conto della ricognizione definitiva di crediti, debiti e scorte. Facendo cenno al solo profilo delle imposte indirette è da ricordare che la cessione di azienda è un’operazione fuori campo Iva, soggiace ad imposta di registro (cfr. artt. 2, 3, 5, 23 comma 1 e 4, 51 comma 4, D.P.R. 131 del 1986), la base imponibile sulla quale calcolare l’imposta è data dal valore corrente, ossia attività al netto delle passività, con la specificazione che se l’azienda è composta da più beni, di diversa categoria, per i quali è prevista una aliquota differente, e il valore dei singoli beni, riconducibili alle categorie, è singolarmente indicato, si determinano più basi imponibili individuando le passività da assegnare proporzionalmente a ciascuna categoria. L’aliquota prevista dalla legge postula l’indicazione in atto dei corrispettivi dei singoli beni, se questi non sono indicati si applica l’aliquota più alta. Per i beni mobili e avviamento l’imposta è del 3%, per i fabbricati e per i terreni edificabili 9%, per i terreni agricoli 15%. In riferimento al contratto di affitto è da segnalare che nella prassi ricorrono perizie giurate per stimare il valore del canone di affitto e che, talvolta, al contratto di affitto d’azienda accede un contratto estimatorio, attraverso il quale il concedente mette a disposizione dell’affittuario il proprio magazzino, che, quindi, resta escluso dal compendio aziendale. Sotto il profilo impositivo, tendenzialmente, il canone di affitto è operazione soggetta Iva con aliquota ordinaria del 22%, ai sensi dell’art. 3 comma 2, D.P.R. 633 del 1972, e soggiace, altresì, all’imposta di registro in misura fissa, pari ad euro 200, ex art. 40, D.P.R. 131 del 1986.

(57) Di tale figura è discussa la natura giuridica, secondo un’impostazione si tratterebbe di una vendita subordinata alla condizione sospensiva del pagamento del prezzo, in base ad una diversa lettura l’acquirente acquisterebbe una proprietà risolubile, quindi opererebbe la condizione risolutiva in caso di mancato pagamento, altri immagina una doppia proprietà, precisamente con funzione di garanzia in capo al cedente e sottoposta a condizione per il compratore; alla duplicità di posizioni viene fatto riferimento anche da chi ritiene che la proprietà si trasferisce al momento della conclusione mentre al creditore residuerebbe un diritto di garanzia; ancora, la teorica della vendita ad effetti obbligatori immediati e reali differiti, infine, la tesi del diritto reale sui generis (declinata anche come aspettativa reale, ossia un diritto reale di godimento). Per la ricognizione di tali posizioni v. M. BIANCA, op. cit., p. 853, 854; C. FERRENTINO, A. FERRUCCI, op. cit., p. 152, nota 16.

(58) M. BIANCA, op. cit., p. 849, 850.

(59) R. CALVO, op. cit., p. 874.

(60) M. CITROLO, «Azienda – Tecniche redazionali a confronto», in Tecniche contrattuali e attività notarile, cit., 3.

(61) R. CALVO, op. cit., p. 872.

(62) M. BIANCA, op. cit., p. 855.

(63) R. CALVO, op. cit., p. 875. L’Autore svolge tale rilievo in relazione alla tutela possessoria, ricordando che l’azione di reintegrazione è espressamente consentita anche al detentore, mentre quella di reintegrazione è eccezionalmete consentita all’acquirente con patto di riservato dominio, in forza del rapporto di “padronanza” che si instaura tra soggetto e res.

(64) Art. 1526, in Commentario al Codice Civile Cian Trabucchi, a cura di G. Cian, ottava edizione, Padova, 2007, p. 1581, ove viene riportata la seguente massima tratta da Cass. civ., 28 giugno 1995, n. 7266: «Nella disposizione di cui al comma 2 dell’art. 1526 c.c., per la quale, qualora sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo di indennità, questa può essere ridotta dal giudice - il ricorso al termine “indennità”, normalmente utilizzato per indicare quelle forme di compensazione in danaro la cui entità non corrisponde necessariamente a quella del danno, né presuppone l’imputabilità del comportamento che lo ha determinato, sta ad indicare che il legislatore ha inteso riferirsi ai casi in cui la liquidazione anticipata concerne unicamente il credito all’equo compenso per il temporaneo godimento del bene, di cui al comma 1 del medesimo articolo».

(65) C. CILLO, A. D’AMATO, G. TAVANI, op. cit., p. 120.

(66) Questa circostanza emerge sol che si ponga mente ad una, seppur minimale, clausola sul corrispettivo nel rent to buy: «Il corrispettivo del presente contratto dovrà essere pagato dalla parte conduttrice alla parte concedente mediante canoni mensili, per tutta la durata fissata per il presente contratto. Detto canone, di complessivi euro vvv, comprende: - la somma da imputare al godimento di euro vvv; - la somma da imputare al prezzo di vendita di euro vvv; - la somma, anch’essa da imputare al prezzo di vendita, ma che non verrà restituita in caso di mancata vendita, di euro vvv». Merita un cenno anche il profilo fiscale, da esso emerge l’onerosità della vendita con riserva di proprietà, infatti in caso di risoluzione o di mancato acquisto occorre pagare l’imposta di registro in misura proporzionale una seconda volta (salvo ovviare con una clausola risolutiva espressa), come confermato dalla recente risoluzione dell’Agenzia delle entrate, 91/E del 13 ottobre 2016, reperibile all’indirizzo http://media. directio.it/portale/prassi/20161013-Risoluzione_91- ADE.pdf, nella quale l’Agenzia tratta anche della responsabilità solidale di cui all’art. 14 D.lgs. 472/1997, affermando la responsabilità, in solido, del cessionario per i debiti fiscali contratti dal cedente prima della cessione nonché la medesima responsabilità del cedente per i debiti fiscali contratti dal cessionario prima del ritrasferimento.

(67) È da escludere il confronto con il preliminare bilaterale atteso che il rent to buy si caratterizza per obbligare all’atto dispositivo il solo titolare del bene concesso in godimento, si ricordi che dal punto di vista fiscale il patto di futura vendita è considerata una cessione, sui canoni di affitto si paga l’Iva, fatta eccezione per quelli imputati a conto prezzo per i quali si applica l’imposta di registro in misura pari al 3%. L’opzione di acquisto, invece, comporta, in assenza di corrispettivo, l’imposta di registro in misura fissa, mentre laddove vi sia corrispettivo l’imposta di registro è pari al 3%.

(68) C. FERRENTINO, A. FERRUCCI, op. cit., p. 156.

(69) Per una breve disamina della tematica cfr. T. PASQUINO, voce Collegamento contrattuale, in Il Diritto, Enciclopedia del Sole 24 Ore, vol. 4, Milano, 2007, p. 248 e ss. Sul punto vedasi anche V. ROPPO, op. cit., p. 368 ss., il quale ricorda come le liti sul collegamento negoziale attengono, in sostanza, a due questioni, l’una connessa con l’altra: da un lato, la possibile configurazioe di un contratto (che lungi dall’essere privo di causa, risulta) con causa integrata o mutuata da altro contratto; nonché la sorte dei contratti collegati, circa la quale diviene dirimente stabilire la sorte del collegamento.

(70) Per un’applicazione, si vedano le proposte di M. CITROLO, op. cit., p. 2 e ss.

(71) A. C. NAZZARO, «Il rent to buy tra finanziamento e investimento», in Riv. dir. banc., 2015, 3, p. 5, pubblicata su http://www.dirittobancario.it/sites/default/files/allegati/nazzaro_a.c._il_rent_to_buy_ tra_finanziamento_e_ investimento_2015.pdf.

(72) G. D’AMICO, op. cit., p. 1031 e ss., il quale osserva che «nell’ipotesi in cui fosse stipulato un preliminare unilaterale …, oppure se fosse concesso al conduttore un diritto di opzione (di acquisto) ... è assai improbabile che il proprietario del bene decida di assoggettarsi a vincoli siffatti (a meno che l’obbligo non sia “compensato” da un congruo aumento del prezzo concordato per il trasferimento del bene). Le operazioni di rent to buy - al contrario -, pur lasciando all’aspirante acquirente la libertà di non concludere l’acquisto, possono risultare appetibili anche all’aspirante venditore, proprio perché “riducono” (almeno in via di fatto) la “libertà” (di non procedere all’acquistofinale) lasciata al conduttore, attraverso un meccanismo che non è dissimile (quanto a funzione) a quello di una sorta di caparra …».

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