Rent to buy di azienda. “Sostanza dell’operazione o del contratto” (art. 2423-bis, n. 1-bis, c.c.)
Rent to buy di azienda. “Sostanza dell’operazione o del contratto” (art. 2423-bis, n. 1-bis, c.c.)
di Andrea Bucelli
Associato di Istituzioni di diritto privato, Università di Firenze

Due novità legislative a confronto

L’art. 6, comma 2, lett. b, D.lgs. 18 agosto 2015, n. 139, in attuazione della direttiva 2013/34/UE, relativa ai bilanci di esercizio e consolidato(1), ha aggiunto un numero 1-bis nell’art. 2423-bis c.c., sicché tra i principi di redazione del bilancio è ora (ri)definito il seguente: «la rilevazione e la presentazione delle voci è effettuata tenendo conto della sostanza dell’operazione o del contratto». L’espressione ne sostituisce altra simile, ma non coincidente - «nonché tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato» - che, unitamente ai postulati della prudenza e della continuità, compariva nel precedente numero 1, introdotto dalla riforma del diritto societario (D.lgs. 17 gennaio 2013, n. 6)(2).
Alcune delle parole usate dal legislatore, tanto nel testo precedente che in quello da ultimo rivisitato, evocano concetti e riattivano riferimenti ad un dibattito di grande spessore che si è svolto e tuttora impegna la dottrina civilistica. E proprio dal lessico della nuova disposizione e dal relativo retroterra culturale prenderei spunto per qualche considerazione sull’enunciato normativo, prima di proporne una verifica riferita a quel modello contrattuale anch’esso nuovo, che si designa con l’anglismo rent to buy. Schema negoziale già di per sé intricato quando lo si analizza nel contesto immobiliare in cui ha conosciuto i primi sviluppi e rispetto al quale è stato legislativamente tipizzato(3), ma ancor più complesso quando abbia ad oggetto beni produttivi, segnatamente l’azienda.
L’ipotesi di lavoro è dunque quella di proiettare, seppur in breve, il rent to buy nel prisma dell’art. 2423-bis, n. 1-bis c.c., in modo da scorgere portata e problemi connessi all’una e all’altra novità normativa.

Forma giuridica e sostanza economica nella rappresentazione contabile dei fatti di gestione

Il legislatore nazionale, nel dare attuazione alla direttiva comunitaria, colpisce anzitutto per quel suo dire e non dire. Usa il termine «sostanza», ma non vi collega la «forma» e men che meno recupera la nota antitesi tra «forma giuridica» e «sostanza economica». Mette in gioco - in alternativa fra loro, discorrendo della «sostanza dell’operazione o del contratto» - altre due parole a loro volta cariche di significati, anche qui decurtando il sostantivo «operazione» dell’aggettivo «economica» che di solito lo accompagna nel discorso sui temi di diritto contrattuale.
Anche l’aziendalista, non meno del giurista, considerate le non lievi ricadute che può avere il principio della prevalenza della sostanza sulla forma rispetto ai risultati di bilancio(4), sarà attento lettore ed interprete della norma di prossima applicazione(5).
Forse, guardando alle incertezze di un dibattito alquanto risalente, ci si sarebbe aspettati l’enunciazione in termini netti e chiari del principio della prevalenza della sostanza sulla forma. Sarebbe stato senz’altro salutato positivamente l’intervento legislativo che, a compimento del lungo itinerario, avesse sancito una volta per tutte una concezione del bilancio disancorata, in caso di discrepanza, dal profilo giuridico delle operazioni aziendali. La tradizione degli studi economico-aziendali ha risentito, specie in Italia, di rilevanti influssi della cultura giuridica e dell’impostazione dogmatica che la caratterizzava. Oggi non mancano retaggi di tale impostazione, anche se - lo si vedrà per brevi cenni - la teoria del contratto si è molto evoluta e non mi sembra che se ne tenga nel debito conto al di là dei confini del dibattito civilistico(6). Certo è che, rispetto ai problemi di rappresentazione contabile degli accadimenti economici, si è fatto sempre più sentire l’impatto dei principi contabili di matrice anglosassone, maturati in tutt’altro ambiente, sicuramente alieno da ogni teorizzazione astratta, in cui viceversa prevale l’approccio pragmatico tipico dell’area di common law. La prassi contabile internazionale, sulla base di una regolamentazione di fonte privata, minuziosa, casistica, al fine di restituire una rappresentazione corretta e veritiera (true and fair wiew) dei fatti di gestione, per una adeguata informazione del lettore del bilancio, non di rado si discosta dalla sottostante vicenda giuridica, non si ferma alla titolarità delle situazioni giuridiche, né si limita a registrare il (solo) passaggio di proprietà al momento della conclusione del contratto(7), tenendo conto piuttosto della realtà economica in termini di allocazione di benefici e rischi, quale risulta dalle clausole contrattuali di volta in volta pattuite. E se fino a qualche tempo fa il principio della prevalenza della sostanza sulla forma poteva essere oggetto di discussione e d’incerta collocazione nel nostro ordinamento(8), oggi - a seguito dell’ultimo intervento legislativo, al di là delle sbavature terminologiche di cui dicevo sopra - lo si trova incontestabilmente acquisito de iure condito, con una valenza conseguentemente generalizzata. La disposizione citata accredita un modello economico-sostanziale nell’iscrizione in bilancio di attività e passività. L’aziendalista probabilmente ne parlerebbe come di un approccio non più mediato dalle categorie giuridico-formali(9), anche se su un’affermazione di tal genere mi sembra opportuno un chiarimento.
In un dibattito necessariamente interdisciplinare, che coinvolge linguaggi e categorie elaborate in differenti campi del sapere, si rischia tuttora di allargare «quel fossato che nel nostro Paese ha sempre separato il diritto dalla contabilità»(10). Ma tale distanza non deve essere enfatizzata. Nella misura in cui si distingue tra «effetti economici» ed «effetti giuridici», dopodiché si sostiene che in base al principio della prevalenza i primi fanno premio sui secondi, si sottolinea che contabilità e bilancio, essendo materie tecniche di esclusiva competenza della disciplina economico-aziendale, dovrebbero essere impermeabili a considerazioni e concetti giuridici. Poi però, quando si vanno a specificare quelli che si indicano come «effetti economici», a ben vedere a null’altro si fa riferimento che ad effetti anch’essi giuridici, per lo più contrattuali(11).
Mi sembra allora condivisibile l’opinione senz’altro autorevole secondo cui il giurista, pur cimentandosi con un tema che è «riserva di caccia degli specialisti della ragioneria e della tecnica aziendale», non può fare a meno dall’affrontarlo e dal fornire definizioni(12). E ciò mi sembra tanto più persuasivo se si considerano alcune recenti riforme che, sospinte dal legislatore comunitario, segnano «il recupero di centralità della disciplina (giuridica) contabile», con il recepimento dei «risultati della scienza aziendalistica», cui viene attribuita «giuridicità cogente, trasformandone il ruolo da tecnica ancillare a chiave primaria di lettura della vicenda societaria»(13).

Contratto, operazione economica e causa in concreto

La coppia forma-sostanza attiene al concetto stesso di diritto e al rapporto tra la realtà dei fatti (o delle cose) ed il modo in cui il diritto, l’ordinamento e le categorie che su di esso si costruiscono, ha di leggerla. Sempre su un piano generalissimo si può ripetere l’insegnamento secondo cui il diritto altro non è se non la forma di una realtà organizzata(14), con la conseguenza che solo un’obiettiva osservazione dei fenomeni sociali ed economici consente di rendersi conto di quanto le categorie e gli istituti tramandati dalla tradizione assumano, nel tempo, caratteri e valori anche profondamente diversi. Giova anche richiamare che il codice civile del 1942 tuttora vigente, utilizzando il metodo c.d. dell’economia, intese adeguare la forma giuridica alla sostanza economica dei fenomeni disciplinati, operando quella che è stata definita “commercializzazione del diritto privato”. Il diritto privato veniva allora compattato in un unico codice in luogo dei due precedenti, sotto il segno dell’estensione di regole confacenti alle istanze dell’impresa anche ai ceti non commerciali.
Guardando all’oggi non sfugge a nessuno l’incidenza crescente del diritto europeo sul nostro diritto interno (prova ne sia una delle norme da cui abbiamo preso le mosse). E quella di matrice comunitaria è una produzione normativa che promana non solo dai trattati, ma anche dal formante giurisprudenziale, e che sin dall’origine si è ispirata al valore fondamentale della libertà economica, all’esigenza di promuovere un mercato unico concorrenziale. Un diritto pensato quindi per un mondo di produttori, lavoratori e consumatori, che «non ha mai dimenticato di fare i conti con la fattualità economica»(15). A titolo puramente esemplificativo e sempre considerando norme di origine europea (direttiva 2008/52/CE), si potrebbe richiamare pure la disciplina della mediazione obbligatoria (D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28), istituto anch’esso costruito sull’obiettivo di far emergere la realtà sostanziale degli interessi concreti delle parti(16).
Forma e sostanza esprimono dunque un dualismo che però non può risolversi in una frattura insanabile. Può accadere che si dilati lo scarto tra il fatto e la sua rappresentazione giuridica(17); certo è che «il fenomeno giuridico è un fatto storico sociale giuridicamente qualificato: il nucleo (elemento sostanziale) sta nel fatto, l’elemento qualificativo (elemento formale) promana dalla norma»(18).
E sull’atto s’incentra l’art. 2423-bis, n. 1-bis c.c., che tuttavia dell’atto medesimo coglie non la totalità, bensì un aspetto, quello appunto sostanziale. A sua volta la comprensione della «sostanza» dell’atto di autonomia non può che ricercarne il tratto identitario, l’elemento essenziale costituito dalla causa (art. 1325, n. 2, c.c.)(19). La causa, infatti, «rappresenta la risposta che dà l’ordinamento al problema riguardante il presupposto, di ordine sostanziale e non formale, in presenza del quale l’accordo delle parti può meritare il riconoscimento da parte dell’ordinamento»(20).
Nel linguaggio giuridico, come noto, la funzione economica è formula anch’essa evocativa della causa del contratto. E come già ricordato in precedenza, nell’art. 2423-bis c.c. introdotto dalla riforma del diritto societario, l’espressione era letteralmente riferita non all’atto, bensì agli elementi dell’attivo o del passivo patrimoniale. Ciò che ha suscitato non poche perplessità(21), giustificando comunque un’interpretazione che, a prescindere dal titolo a fondamento della singola situazione giuridica, valorizzava la funzione intesa come destinazione economica del bene, con conseguenze sul piano della più corretta valutazione ed appostazione in bilancio(22). Ora che tale accezione di funzione economica si è persa, come pure è svanito il riferimento alle attività e passività patrimoniali, non mi pare tuttavia che quel risultato esegetico debba essere accantonato. La collocazione in bilancio (nello stato patrimoniale) di un elemento (attivo o passivo) continuerà ad obbedire a criteri economici e previsionali che possono dipendere sì dal titolo giuridico, ma pure da dati estranei al contenuto dell’atto. Si pensi ad esempio al termine finale per l’adempimento di una prestazione e dunque alla durata di un credito. Una scadenza a breve, quale risulta stabilita contrattualmente, può rivestire un significato solo formale qualora si tratti di credito verso società controllante, che può voler prorogare la scadenza(23).
È comunque fuori discussione che la nuova formula legislativa sia incentrata sull’atto di autonomia privata. Anche il Principio contabile n. 11 dell’Oic (Organismo italiano di contabilità)(24) riconnette il profilo della sostanza all’evento o al fatto, di cui costituisce l’«essenza economica», la «vera natura». Di ciascun fatto di gestione lo stesso documento sottolinea poi la specificità ed il possibile collegamento con altri fatti o atti(25). Un tal modo di prospettare il principio della prevalenza della sostanza sulla forma riecheggia quel complesso dibattito civilistico cui facevo cenno sopra(26), che non è ovviamente possibile riprendere in queste note se non per rapidissimi cenni.
Può essere sufficiente ricordare come il profilo causale del contratto sia stato oggetto di un profondo processo di revisione da parte della dottrina civilistica. Un itinerario che ha prodotto il superamento della concezione della causa quale funzione economico-sociale, in altre parole la «liberazione del tipo contrattuale dalla causa»(27). L’emersione della teoria della causa in concreto, quale funzione economico- individuale, ha portato a scorgere sempre più la pluralità e diversità degli interessi sottostanti all’atto di autonomia privata. L’elemento sostanziale consiste appunto negli interessi di volta in volta perseguiti dalle parti ed è proprio l’utilizzo della causa quale criterio ermeneutico che definisce la sostanza dell’affare o dà rilievo all’effetto “selettivo” dell’indagine causale in funzione dell’esatta individuazione dei reali interessi posti a giustificazione concreta dell’operazione contrattuale.
E gli interessi spesso, non solo non si riconoscono nel tipo legale, non solo si affidano a contratti atipici, ma non si esauriscono neppure nel perimetro di un singolo ed unitario contratto. Il tipo contrattuale altro non è che un modello organizzativo degli interessi, uno schema di disciplina per lo più dispositiva(28), un modello d’azione programmato dall’ordinamento o ricostruito dall’interprete nel caso dei contratti solo socialmente tipizzati, mentre è ormai acquisito nel moderno diritto dei contratti che ad una pluralità di strutture tra loro collegate corrisponde spesso una unicità di funzione. Proprio sul presupposto che la nozione di contratto quale puro schema formale non sempre è in grado di esprimere il molteplice atteggiarsi degli interessi in gioco, la revisione della concezione della causa nel senso richiamato ha portato ad enucleare l’ulteriore categoria dell’operazione economica. In una molteplicità di orientamenti e tendenze manifestatesi in dottrina(29), ma anche a livello della disciplina sia legislativa che giurisprudenziale, l’operazione economica va così ad affiancare, arricchendo il bagaglio concettuale, la nozione di contratto. Orbene, un riscontro significativo in tal senso si trova nell’accostamento dei due sostantivi nel citato art. 2423-bis, n. 1-bis c.c. Formula normativa in cui si può vedere riflessa la più ampia tendenza legislativa che, già da tempo avvertita, tende a far prevalere la sostanza del fenomeno da sottoporre ad apposita disciplina, quale che sia la veste formale assunta(30).
Anche nella prospettiva dell’operazione economica(31) si rinviene la causa in concreto(32), che è sintesi degli effetti o, per esprimersi con le parole della fondamentale Cass. 8 maggio 2006, n. 10490, «sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare». Si noti: non tutti gli effetti, non tutti i mutamenti nelle situazioni giuridiche soggettive, bensì quelli identitari(33). Questi e soltanto questi definiscono l’«essenza dell’affare», quella che il diritto europeo, abbandonando il termine “causa”, indica come «natura o scopo del contratto»(34).
Quando allora si considera, ad esempio, il riporto di titoli - una delle principali ipotesi di applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma - e si rileva che, da un punto di vista giuridico, il contratto «pronti contro termine» altro non è che una vendita a pronti con un patto di retrovendita dei medesimi a termine, con la «funzione economica di investimento-finanziamento con durata prefissata», mentre l’«essenza economica» dell’operazione sarebbe quella di una «forma di raccolta e di investimento temporaneo di liquidità e non di transazione di titoli»(35), mi par di capire che «funzione economica» ed «essenza economica» vogliano esprimere lo stesso concetto giuridico: la causa per l’appunto, che nella fattispecie è racchiusa, non nelle singole vendite, bensì nell’operazione complessivamente considerata.

Diritti reali e personali di godimento su singoli beni aziendali, sull’azienda e su partecipazioni sociali (cenno comparato)

Nell’era dell’accesso(36) la fruizione dei beni anche produttivi si lascia preferire alla proprietà, il cui acquisto se non del tutto escluso può essere quanto meno progressivo e differito, perché l’effetto reale concentrato tutto nell’istante del raggiungimento dell’accordo contrattuale può comportare un investimento non di rado insostenibile, può significare l’assunzione di rischi eccessivi rispetto a beni ad elevata obsolescenza, perché in tempi di crisi prevalgono tendenze restrittive del credito e quindi può mancare la liquidità necessaria, e così via.
Il rent to buy si profila come contratto di durata che ad un tempo consente l’accesso immediato al godimento del bene, ma poi - lo suggerisce la stessa terminologia inglese - prevede la possibilità di un accesso successivo, graduale ancorché eventuale, alla proprietà. Si tratta infatti di «un’operazione “bifasica”, caratterizzata dalla sequenza di due momenti contrattuali: il primo, con il quale si concede il godimento, necessariamente a titolo oneroso; il secondo, solo eventuale, con il quale si realizza il trasferimento». Uno schema negoziale volto a favorire l’utilizzatore, che non ha l’obbligo di acquisto, ma un diritto allo stesso e che assume pertanto il ruolo di esclusivo arbitro del completamento dell’affare. Questa «doppiezza» si proietta sul frazionamento del canone(37).
Se il nuovo contratto di rent to buy ha come campo di elezione la proprietà immobiliare, segnatamente quella destinata ad uso abitativo, su cui è stato modellato l’art. 23 del D.l. n. 133/2014, non si può tuttavia escludere a priori che tale schema negoziale possa giocare un ruolo nell’economia dell’impresa contemporanea.
Già i contratti costitutivi di diritti sia personali che reali di godimento aventi ad oggetto singoli beni, consentono all’imprenditore di organizzare il complesso aziendale (art. 2555 c.c.), senza dir poi di quei contratti anch’essi nuovi, pressoché tutti denominati in inglese - dall’outsourcing alla subfornitura, al leasing, al franchising - che consentono di esternalizzare intere funzioni aziendali, con il risultato di rendere l’azienda weightless, priva di peso(38).
Ma la stessa azienda (individuale) complessivamente considerata, oppure «intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata» (art. 2112, comma 5, c.c.), può essere oggetto di situazioni non proprietarie, a cominciare dalle figure codificate dell’usufrutto e dell’affitto (artt. 2561 e ss. c.c.). Appare chiaro poi che l’art. 2556 c.c., discorrendo di «contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda»(39), non riconnette la circolazione e la gestione dell’azienda a tipi contrattuali predeterminati, esibendo un favor anche altre volte manifestato (cfr. ad esempio art. 1260 c.c.).
Sotto il profilo causale il rent to buy sembra attagliarsi alla specificità dell’oggetto e alle esigenze della gestione, quindi ad una serie di interessi riconducibili al contesto dell’economia d’impresa. Combinando caratteri tipologici diversi (affitto d’azienda con preliminare di vendita), si consente di accedere immediatamente al godimento del bene-azienda, verificandone la capacità reddituale rispetto al mercato di riferimento. Al tempo stesso è possibile saggiare le attitudini imprenditoriali del conduttore, che - all’esito di effettivi controlli - può consapevolmente decidere se convertire o meno la condizione giuridica del complesso aziendale da oggetto dell’iniziale locazione (rent) alla definitiva proprietà (buy). L’operazione - qualche che sia la più corretta ricostruzione, in termini di collegamento negoziale piuttosto che di contratto unitario - permette di raggiungere interessi sia di natura economica che finanziaria, sia per le imprese che per i finanziatori. La possibilità per l’acquirente in crisi economica o di liquidità di diluire e programmare l’impegno finanziario, la creazione del c.d. storico creditizio, l’accantonamento di parte di quanto versato come acconto prezzo, la possibilità di accantonare ulteriore liquidità per l’atto notarile d’acquisto, la posticipazione dei costi e delle imposte relative al finanziamento e al rogito notarile, la possibilità di vendere l’azienda cedendo i contratti ed evitando così i costi notarili. Dal punto di vista del concedente si segnala la «rivitalizzazione dei valori dell’azienda dovuta ad una nuova e diversa gestione imprenditoriale che verosimilmente coniugherà diversamente rischio e rendimento»(40).
Analogamente - venendo all’impresa collettiva - diritti di godimento possono avere ad oggetto quei peculiari beni (immateriali) che sono le azioni o quote di società(41). Anche in tal caso è ammissibile lo smembramento della piena proprietà, salvo poi affrontare il problema connesso alla natura dell’oggetto, essendo la partecipazione una situazione complessa, per nulla assimilabile alla proprietà del fondo e quindi irriducibile ai poteri tipicamente dominicali, ragion per cui, in un quadro normativo minimale (art. 2352 c.c., cui rinvia l’art. 2471 c.c.), spetta all’interprete sciogliere non pochi interrogativi ed imputare le facoltà che si riconnettono all’organizzazione societaria, in primis il diritto di voto(42). Occorre inoltre misurarsi con un ulteriore limite, tipico del nostro ordinamento, che non contempla forme di godimento di partecipazioni sociali di natura obbligatoria(43). Vero che, lungo la traiettoria godimento-acquisto, uno schema contrattuale avente ad oggetto partecipazioni societarie c’è ed è il leasing azionario. Vero anche che tale figura, senz’altro ammissibile e già nota all’esperienza, riveste pure un non trascurabile interesse applicativo(44). E tuttavia, essa ha suscitato incertezze e questioni dovute sia alla dubbia compatibilità con il divieto di patto commissorio(45) che alle non meno problematiche interferenze con le regole del diritto societario(46).
Sempre sui diritti personali di godimento relativi a partecipazioni, si può semmai proporre l’interessante riferimento comparato della location d’actions o parts sociales, introdotta di recente (ma senza grandi esiti pratici) in Francia. Lo schema negoziale è sempre scandito sulla sequenza godimento-acquisto:
«la locazione di titoli di una società permette al locatario che non disponga di risorse immediate per l’acquisto, che voglia verificare sia le proprie capacità che la qualità del progetto e le chances di successo dell’impresa di cui prende in locazione le quote o le azioni, di divenire a termine proprietario della società testata»(47). La legge francese (del 2 agosto 2005) è legge di forme più che di contenuti (forma scritta, menzione della locazione nei registri societari, gradimento nei confronti del locatario, informazioni da comunicargli). Uniche disposizioni che dettano un vero e proprio regime locatizio, quella sulla valutazione delle partecipazioni all’inizio e alla scadenza del contratto, e l’altra in punto di ripartizione del diritto di voto (spettante al locatore nelle assemblee che deliberano modifiche statutarie o il cambiamento di nazionalità della società, mentre nelle altre il titolare è il locatario). Rimane un ampio spazio che l’autonomia contrattuale potrà in vario modo riempire (con promesse unilaterali di vendita o acquisto, patti di preferenza, clausole di non concorrenza, durata della locazione e così via). E restano anche dubbi consistenti attorno alla figura del locatario di azioni o quote: la sua è forse una posizione assimilabile a quella dell’usufruttuario? ma il locatario è forse socio? o è una nuova figura di socio? L’accesso alla proprietà emerge con nettezza nella formula del crédit-bail, operazione finanziaria prevista dal Code monétaire e financier e riguardante «le operazioni di locazione … dotate di una promessa unilaterale di vendita tramite un prezzo convenuto tenendo conto, almeno in parte, dei versamenti effettuati a titolo di canoni» (L. 313-7). Anche qui - come pure nel nostro rent to buy immobiliare (art. 23) e, a maggior ragione, nel rent to buy d’azienda(48) - l’autonomia contrattuale è chiamata a colmare lacune e a modellare la regolazione più adeguata.

Iscrizione in bilancio dei beni oggetto del nuovo contratto

I problemi di disciplina che la nuova figura negoziale, specie se riferita all’azienda, pone sono molteplici. Del resto alla specificità dell’oggetto di cui all’art. 2555 c.c. si aggiunge la complessità di una situazione di godimento che il modello legislativo (l’art. 23) connota di realità e proietta, a chiusura di un procedimento acquisitivo evidentemente costruito sulla natura immobiliare dei beni, verso l’eventuale effetto traslativo. Sempre dalla peculiarità dell’oggetto discende, inevitabilmente, l’applicazione delle norme codicistiche e speciali dettate in materia di azienda e d’impresa(49). Tra queste il sopra menzionato e commentato art. 2423-bis, n. 1-bis c.c.
Il principio della prevalenza della sostanza sulla forma sembra assumere maggiore rilevanza nella individuazione delle attività e passività iscrivibili in bilancio che non nella fase di valutazione delle stesse(50). Rispetto all’iscrizione dei beni aziendali oggetto di rent to buy, particolarmente indicativo mi sembra il confronto che, pur con le debite differenze(51), è spesso proposto con il leasing (a cui per espressa previsione non si applica il citato art. 23).
A proposito del principio in parola la vicenda del leasing, nel nostro ordinamento come nell’elaborazione dei principi contabili interni ed internazionali, è addirittura paradigmatica(52). Limitarsi a considerare la proprietà del bene che rimane al locatore, dedurne la contabilizzazione della cosa locata tra le immobilizzazioni del medesimo locatore, con conseguente ammortamento a suo carico, significa trascurare la sostanza, cioè la causa reale del contratto, consistente nel godimento del bene, con i connessi benefici e rischi, dovuti ad esempio al deperimento fisico ed economico. Se in altri termini si guarda alla locazione finanziaria per la portata traslativa che si ritrova, in forza soprattutto della clausola di opzione(53), e la si distingue dalla locazione tout court, assimilandola piuttosto alla vendita con riserva di proprietà(54), allora anche da un punto di vista giuridico si giustifica il c.d. metodo finanziario, che prevede l’iscrizione del bene nel bilancio dell’utilizzatore a fronte dell’iscrizione di un debito pari al valore attuale dei pagamenti previsti(55).
Non meno significativo e, anzi, ancor più vicino al rent to buy d’azienda è l’affitto d’azienda, il cui tratto essenziale consiste nella dissociazione fra proprietà e godimento dell’azienda (o di un ramo di essa)(56). Pure qui la diversa “lettura” dell’operazione ha condotto ad impostazioni contabili diametralmente opposte: una più coerente al dato formale della titolarità del complesso in capo all’affittante (c.d. metodo della proprietà), l’altra (c.d. metodo della disponibilità) più attenta all’utilizzo e alla gestione con i connessi rischi e benefici e, quindi, senz’altro più conforme al principio della prevalenza della sostanza sulla forma.
Analogamente all’affitto, il rent to buy d’azienda segna la separazione, a partire dal momento del consenso, della titolarità dalla gestione, con l’ulteriore, qualificante peculiarità di consentire un accesso graduale alla proprietà, come risulta dalla duplice imputazione del canone, in parte a corrispettivo del godimento, in parte ad acconto di prezzo, e come emerge pure dal diritto del conduttore di acquistare il bene.
Ora che la prevalenza della sostanza sulla forma è stata legislativamente sancita ed ha assunto il rango di principio di redazione del bilancio di esercizio(57), visto che la «sostanza dell’operazione o del contratto» (art. 2423-bis, n. 1-bis, c.c.) attiene al suo profilo causale e che, da quest’ultimo punto di osservazione, il rent to buy d’azienda si lascia funzionalmente inquadrare in uno schema unitario(58), che avendo ad oggetto la concessione in godimento di un bene produttivo, racchiude in sé la figura dell’affitto su cui s’innesta un contratto preliminare unilaterale, in quanto una soltanto delle parti resta vincolata al trasferimento del diritto a fronte della richiesta della controparte negoziale(59), tutto ciò fa ritenere preferibile la soluzione che gli aziendalisti indicano come metodo della disponibilità.
Tale approccio, superando alcune delle criticità connesse all’altro metodo basato sulla titolarità formale(60), comporta l’iscrizione dei beni aziendali nel bilancio dell’utilizzatore, da cui consegue una più corretta rappresentazione dell’assetto patrimoniale del dante causa.
Risulta infatti evidenziata l’effettiva trasformazione del complesso aziendale in un investimento patrimoniale di durata definita, con la prospettiva della finale acquisizione da parte dell’avente causa e con meccanismi di rischio-rendimento comprensibili al lettore del bilancio. In altri termini l’iscrizione dei beni aziendali nel sistema dei valori del concessionario darà conto della sostanza economica delle operazioni in corso.
Se infine l’utilizzatore decidesse di non esercitare il diritto di acquisto, ovvero se dovesse risolversi il rapporto contrattuale, allora - come avviene alla scadenza dell’affitto d’azienda - il regime delle restituzioni(61) comporterà la sistemazione delle differenze inventariali, tenendo conto sia dei danni che della perdita di avviamento medio tempore formatisi(62) durante la gestione di quel soggetto che la disciplina legale del rent to buy immobiliare qualifica come “conduttore” e che tale rimarrà, non avendo coronato il programma di appropriarsi dell’azienda.


(1) In argomento v. La direttiva 2013/34/UE, relativa ai bilanci di esercizio e consolidati. Novità e riflessi sulla disciplina nazionale, a cura di Tiziano Sesana, Quaderno n. 54, Ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili di Milano, 2014, dove, per quanto qui interessa, T. SESANA, I principi generali di bilancio, p. 59 e ss.

(2) Per un commento approfondito e documentato, v. P. BALZARINI, Principi di redazione del bilancio, in Commentario alla riforma delle società. Obbligazioni e bilancio, a cura di M. Notari e L.A. Bianchi, Milano, 2006, p. 382 e ss.

(3) “Contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili”, è la rubrica dell’art. 23 del D.l. 23 settembre 2014, n. 133 convertito in L. 11 novembre 2014, n. 164.

(4) F. GIUNTA, M. PISANI, Il bilancio, Milano, 2008, 2ª ed., p. 78.

(5) A partire dall’esercizio decorrente dal 1° gennaio 2016.

(6) V. § “Contratto, operazione economica e causa in concreto”.

(7) Più precisamente, secondo G.E. COLOMBO, Bilancio d’esercizio e consolidato, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, Torino, 1994, p. 177 s., ai fini dell’iscrizione in bilancio «non è decisiva la proprietà in senso tecnico giuridico, ma l’«“appartenenza economica”», che «richiede che il bene sia nella disponibilità dell’imprenditore e non gli possa giuridicamente essere sottratto; tale insottraibilità può derivare anche da rapporti obbligatori».

(8) Settorialmente previsto dall’art. 7, comma 4, D.lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, solo per i bilanci bancari, dal legislatore della riforma infelicemente introdotto con la formula dell’art. 2423-bis n. 1, il principio avrebbe dovuto essere esplicitato nella stessa norma con una previsione a sé, secondo P. BALZARINI, op. cit., p. 398, 403. Il che si è poi verificato.

(9) La distinzione è di G. ALBERTINAZZI, Sostanza e forma nel bilancio di esercizio. Dal principio della prevalenza della sostanza sulla forma alla predisposizione di un particolare modello di definizione dell’oggetto di rappresentazione del bilancio, Milano, 2002, p. 87, 101, 213 e ss., spec. 216, a cui rimando per la ricostruzione dell’accennato dibattito.

(10) Notazione di E. FILIPPI, Il bilancio: le soglie di non punibilità delle falsità e delle omissioni, in La riforma del diritto societario, Milano, 2003, p. 216. Di recente si sono comunque instaurati interessanti “dialoghi” tra giuristi ed aziendalisti: La riforma delle società di capitali. Aziendalisti e giuristi a confronto, Atti del convegno (Foggia, 12-13 giugno 2003), Milano, 2004, a cura di T. Onesti e N. Abriani; Dialoghi tra giuristi e aziendalisti in tema di operazioni straordinarie, Atti del ciclo di seminari interdisciplinari. Università degli Studi di Brescia, 23 gennaio 2007/6 novembre 2007, Milano, 2008, a cura di M. Notari.

(11) Anche per alcune esemplificazioni, v. G. ALBERTINAZZI, op. cit., p. 79, 89, 92, 103 (con riguardo al «proprietario sostanziale»), 108, 111 e ss., 117, 133 e ss., specie 136 («Tutte le clausole dell’accordo, tenuto conto della probabilità della loro concreta applicazione, concorrono a determinare il soggetto a cui facciano capo i benefici ed i rischi del bene venduto»), 157 e ss., 175 (dove si sottolinea la «concezione tecnica» delle condizioni produttive a disposizione dell’impresa in un’accezione economica e non giuridico-formale), 222.

(12) E questo «sia perché le scritture non sono un puro fatto contabile ma sono anche e non meno un fatto economico aziendale, essenziale per l’imprenditore stesso ai fini di una gestione consapevole, razionale e produttiva di utili; e un fatto giuridico, gravido di ripercussioni nei rapporti con i soci, con i creditori, con il fisco, con i pubblici poteri, che hanno interesse alla loro regolare tenuta, sia perché il pericolo che il giurista corre di perdere di vista la realtà dietro il luccichio delle formule astratte è condiviso anche dal cosiddetto specialista contabile, nel momento in cui rischia di non percepire la globalità dei fenomeni e le strategie delle imprese, dei loro gruppi di controllo e di potere»: G. COTTINO, Diritto commerciale, I, 1986, 2ª ed., Padova, p. 203.

(13) Così P. MONTALENTI, «Diritto commerciale, diritto tributario, scienze aziendali: categorie disciplinari a confronto in epoca di riforme», in Giur. it., 2004, p. 685. Sul bilancio, la sua funzione e l’evoluzione normativa, cfr. G. COTTINO, Diritto societario, Padova, 2011, 2ª ed., p. 503 e ss.

(14) R. NICOLÒ, Diritto civile, in Enc. dir., Milano, XII, 1964, p. 907.

(15) P. GROSSI, Ritorno al diritto, Roma-Bari, 2015, p. 46. «Le definizioni dei contraenti - professionisti, consumatori, piccole-medie imprese - i principi cui si debbono attenere i contraenti (ad es. proporzionalità, ragionevolezza, buona fede), le modalità di conclusione dell’accordo e così via sono solo frammenti di un intero comparto di un nuovo mondo nel quale il contratto viene concepito in un nuovo modo … il linguaggio e le prospettive ermeneutiche del diritto comunitario sono fortemente influenzate da categorie economiche e aziendalistiche, sicché da un lato è molto complicata l’impresa di inscrivere questo intero armamentario nelle categorie usuali consegnate dalla tradizione, ancorché riviste e ammodernate, dall’altro è faticoso, per il giurista nazionale, ancor più se continentale, dover trattare termini, concetti, principi nuovi»: così G. ALPA, Dal codice civile del 1942 ad oggi: le stagioni del contratto, in I valori della convivenza civile e i codici dell’Italia unita, le stagioni del contratto, a cura di P. Rescigno e S. Mazzamuto, Torino, 2014, p. 130, 145 e s.

(16) A. CELESTE, L. SALCIARINI, La mediazione obbligatoria nel condominio, Milano, 2012, p. VI: «il mediatore - a differenza dell’arbitro e del giudice, i quali devono verificare la realtà sostanziale, decidendo, secondo un iter procedurale ben fissato, una controversia in forza della norma di diritto sottesa - è tenuto soprattutto ad analizzare gli interessi concreti delle parti, al fine di proporre una soluzione transattiva della loro lite, salva sempre la possibilità per i contendenti di radicare la causa davanti al magistrato».

(17) Per esempio: accade spesso nella pratica degli affari immobiliari che, a fronte di un regolamento contrattuale uniforme predisposto dal professionista, la veste di proponente venga assunta dal consumatore il quale, con un’inversione dei ruoli, assume l’iniziativa di concludere il contratto, utilizzando e sottoscrivendo il modello messo a punto dalla controparte. In casi del genere il c.d. contraente debole, formalmente è proponente, mentre nella sostanza aderisce ad un regolamento contrattuale predisposto dal professionista. Ora, far prevalere la sostanza sulla forma qui significa non fermarsi al dato apparente, rendendosi invece conto che in realtà il consumatore non ha in alcun modo influito sul contenuto dell’atto che pure gli è intestato. Ciò ai fini dell’applicazione della disciplina a tutela il consumatore contro le clausole vessatorie (A. TULLIO, Il contratto per adesione tra il diritto comune dei contratti e la novella sui contratti dei consumatori, Milano, 1997, p. 59).

(18) S. PUGLIATTI, Diritto sostanziale ed esecuzione forzata, Milano, 1935, p. 64, che nella sua parabola culturale e metodologica maturerà una concezione di giurisprudenza quale scienza pratica, cioè come scienza che, senz’altro ancorata al dato positivo e funzionale alla costruzione di sistemi giuridici astratti, logici e concettuali, non può tuttavia prescindere dagli interessi concreti, nel fluire magmatico della storia e, con esso, nel divenire mutevole delle norme, così che essa, scienza ma scienza pratica, trova in sé stessa la possibilità di una composizione dialettica del dualismo forma-sostanza, astratto-concreto, che altrimenti rimarrebbe insopprimibile.

(19) Anche P. BALZARINI, op. cit., p. 386, pur senza approfondire, discorre della sostanza come della «funzione economica dell’operazione», rilevandone la problematicità, riconducibile alla complessità della realtà economica, di cui le rilevazioni contabili offrono una visione di sintesi.

(20) A. DI MAIO, La causa del contratto, in Istituzioni di diritto privato, a cura di M. Bessone, Torino, 1997, p. 612.

(21) Di cui dà conto P. BALZARINI, op. cit., p. 384, 400 e ss.

(22) «Questo criterio implica, in primo luogo, che intanto un elemento può essere appostato, in quanto esso effettivamente serva per l’esercizio dell’attività. Ad esempio il valore dei beni ad utilizzo pluriennale va immediatamente azzerato se l’utilizzo si arresti prima dello scadere del periodo previsto. Inoltre, va ricondotto a questo criterio anche il dovere dei redattori del bilancio di qualificare le posizioni attive o passive in ragione della funzione assunta dall’elemento patrimoniale all’interno del processo economico. Una partecipazione in un’altra società, ad esempio, può essere assunta dalla società, in via tendenzialmente stabile, per instaurare relazioni societarie o contrattuali durevoli; o invece può rispondere a fini di semplice investimento, senza altro interesse cioè che di conservare la partecipazione fino a che il mercato consenta di lucrare un buon prezzo di rivendita. La funzione economica della partecipazione è, nel primo caso, a servizio di uno stabile rapporto sinergico e, quindi, deve essere considerata come un’immobilizzazione (e perciò potrà essere valutata al valore di costo storico ovvero, in alternativa, a un valore pari alla frazione corrispondente del patrimonio netto della società partecipata: art. 2426 n. 4). Nel secondo caso, invece, è un semplice investimento e si applica inderogabilmente un criterio di valutazione diverso (art. 2426 n. 9), con conseguente obbligo di appostare la partecipazione al minor valore tra quello di costo storico e quello di presumibile realizzo desumibile dall’andamento del mercato al momento della chiusura dell’esercizio» (ASSOCIAZIONE DISIANO PREITE, Il nuovo diritto delle società, a cura di G. Olivieri, G. Presti, F. Vella, Bologna, 2003, p. 194 e ss.). Sottolinea la destinazione economica del bene nel processo produttivo pure P. BALZARINI, op. cit., p. 401, che precisa: «Tenere conto della funzione economica del bene non significa imporre il rispetto del principio della prevalenza della sostanza sulla forma».

(23) Esempio tratto da F. GIUNTA, M. PISANI, op. cit., p. 79.

(24) La legge 11 agosto 2014, n. 116, di conversione del decreto legge n. 91/2014, integra il D.lgs. n. 38/2005 con gli artt. 9-bis (Ruolo e funzioni dell’Organismo italiano di contabilità) e 9-ter (Finanziamento dell’Organismo italiano di contabilità).

(25) «I fatti di gestione hanno diversa origine e presentano problematiche diverse. A titolo esemplificativo, molti di tali fatti sono costituiti da contratti che possono trovare regolamentazione in una normativa generale o specifica. Alcuni di tali contratti sono singoli ed indipendenti, altri fanno parte di più complesse operazioni. Per molti contratti l’essenza dell’operazione è facilmente intelligibile. Per altri, la particolarità o complessità delle clausole richiede interpretazione per comprendere la vera essenza del contratto ed evitare conclusioni fuorvianti. In numerose situazioni vi è concordanza tra l’aspetto sostanziale e l’aspetto formale del contratto; in altre situazioni tale concordanza non si verifica» (Principio contabile 11, Bilancio d’esercizio- Finalità e postulati, 30 maggio 2005, p. 10).

(26) La causa costituisce «la più rigogliosa fonte di equivoci dell’intera teoria del negozio giuridico», scriveva S. PUGLIATTI, Precisazioni in tema di causa del negozio giuridico, ora in Diritto civile. Metodo. Teoria. Pratica, Milano, 1951, p. 105. Affermazione autorevolissima che mi sembra trovi ripetute conferme nel volume collettaneo fresco di stampa, a cura di F. ALCARO, Causa del contratto. Evoluzioni interpretative e indagini applicative, Milano, 2016.

(27) E. GABRIELLI, “Operazione economica” e teoria del contratto, Milano, 2013, p. 166.

(28) A. DI MAIO, op. cit., p. 614.

(29) Per una rassegna, peraltro limitata al profilo dell’economia del contratto, della dottrina sulla concezione del contratto quale operazione economica, A. D’ANGELO, Contratto e operazione economica, Torino, 1992, p. 47 e ss.; sul rapporto tra contratto e operazione economica, C. SCOGNAMIGLIO, Interesse dei contraenti e interpretazione del contratto, Padova, 1992, p. 428.

(30) «È un procedere per operazioni economiche (operazioni di garanzia, di fornitura, ecc.) più che per tipi contrattuali (pegno, vendita, ecc.)». La legge elenca, esemplificando, contratti tipici e atipici, accomunati dalla funzione concretamente svolta, a prescindere dal modello impiegato (E. GABRIELLI, op. cit., p. 135 e ss., 182 e ss.). Le nuove regole del diritto dei consumi, guardando al contratto come «strumento di razionalità del mercato», spostano l’«attenzione dal profilo statico e dalla configurazione atomistica dell’atto al profilo più ampio ed allargato dell’operazione economica, che consente di cogliere il significato dell’affare nel suo insieme e postula l’esigenza di un esame complessivo, al fine di avere un’esatta cognizione della disciplina che governa l’intera operazione economica. Un preciso indice normativo in tal senso si rinviene nell’art. 34, comma 1, cod. cons. il quale - per la valutazione della vessatorietà delle clausole - fa riferimento alle altre clausole “del contratto medesimo o di altro collegato o da cui dipende”. Si può sottolineare che i casi in cui il legislatore attribuisce all’operazione economica una specifica rilevanza giuridica si rinvengono principalmente nel codice del consumo, o meglio nella disciplina che governa i principali contratti di consumo dei quali occorre tener conto, sebbene attualmente il legislatore li abbia in gran parte collocati fuori del codice» (L. ROSSI CARLEO, Il diritto dei consumi in Italia, in Diritto dei consumi. Soggetti, atto, attività, enforcement, Torino, 2015, p. 12 e ss.). A volte si ha dinanzi una «categoria non tipizzata dal legislatore» di contratti, ad esempio i contratti aventi per oggetto la «prestazione di servizi finanziari», che, in modo diretto o indiretto, procurano un finanziamento al consumatore (A. TULLIO, Il contratto per adesione ..., cit., p. 167 e ss.).

(31) Concetto «entrato oramai, e da tempo, a far parte della storia delle idee e dei dogmi», «categoria ordinante che rileva non solo nel momento dell’emersione di situazioni di patologia dell’atto», «strumento di interpretazione della causa concreta dell’atto di autonomia negoziale»: E. GABRIELLI, op. cit., p. 40, 76, 160.

(32) F. ALCARO, Introduzione: dogmi, problemi e profili ricostruttivi, in Causa del contratto, cit., p. 22: «la causa può rivendicare una sua autonomia quale ragione di un determinato assetto d’interessi. Anche il riferimento all’unità dell’operazione economica, intesa come categoria, può dare conto della concreta funzione svolta da un determinato assetto di interessi».

(33) Ciò che solleva un problema di individuazione di un qualche criterio selettivo da impiegare ai fini dell’accertamento in concreto di quegli effetti ed interessi qualificanti. D’altra parte non si può neanche confondere, come sembra fare Cass., S.U., 23 gennaio 2013, n. 1521, in tema di concordato preventivo, il contenuto con la causa: v. L. BALESTRA, «Brevi riflessioni sulla fattibilità del piano concordatario: sulla pertinenza del richiamo da parte delle Sezioni Unite della causa in concreto», in Corr. giur., 2013, 3, p. 386.

(34) E. GABRIELLI, op. cit., p. 39 e ss., 98, 86, 163.

(35) Frasi estratte da L. QUATTROCCHIO, Commento all’art. 2423-bis, in Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da G. Cottino e G. Bonfante, O. Cagnasso, p. Montalenti, Bologna, 2004, p. 1327 e ss.

(36) J. RIFKIN, L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy, Milano, 2001.

(37) D. POLETTI, «L’accesso “graduale” alla proprietà immobiliare (ovvero, sui contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili)», in Nuove leggi civ. comm., 2015, n. 1, p. 42.

(38) Chiaramente in argomento E. BERTACCHINI, Le ragioni del credito nelle società riformate. Linee di tendenza e profili evolutivi, Padova, 2004, p. 4.

(39) Norma in tal senso valorizzata, in questo volume, da S. SIDERI, «Il rent to buy di azienda. Principi, ammissibilità e tecniche operative».

(40) V. in questa sede, i contributi di A.C. NAZZARO, «Il rent to buy di azienda. Specificità dell’oggetto e funzioni (possibili) del contratto» (e già, dell’A., «Il rent to buy tra finanziamento e investimento», in Riv. dir. banc., 2015, p. 1), che vede nel rent to buy d’azienda uno strumento di finanziamento ed investimento, e di S. LANDINI, «Trasferimenti di azienda e successioni», che ne ipotizza l’impiego nel contesto problematico del passaggio generazionale delle imprese.

(41) Bene immateriale «equiparato al bene mobile non iscritto in pubblico registro, ai sensi dell’art. 812 c.c.», al quale pertanto «possono applicarsi - ai sensi dell’art. 813 ultima parte - le disposizioni relative ai beni mobili e, specificamente, la disciplina delle situazioni soggettive reali e dei conflitti tra di essi sul medesimo bene»: così, tra le altre, Cass. 21 ottobre 2009, n. 22361. In dottrina già G. COTTINO, Manuale di diritto commerciale, Padova, 1987, I, 2, 2ª ed., p. 598: «Comunque nella quota come nell’azione - e quindi nella quota da essa rappresentata - è sempre espressa sinteticamente una posizione contrattuale obiettivata».

(42) Da ultimo, v. lo Speciale Usufrutto nelle società, in Le società, 2016, 8-9, p. 929 e ss.

(43) V., in questo volume, M. MALTONI, «“Rent to buy” di partecipazioni sociali e di azienda», che valuta l’idoneità di altri schemi negoziali per realizzare l’assetto d’interessi proprio del rent to buy.

(44) Per facilitare l’accesso al godimento da parte di soggetti che non potrebbero acquistare la partecipazione, ad esempio la holding che effettua un aumento di capitale sottoscritto da una società di leasing, la quale dia successivamente in locazione le partecipazioni ad alcuni soltanto dei soci, magari a familiari che in sede di patto di famiglia siano stati designati per continuare la gestione e non abbiano la necessaria provvista finanziaria per rilevare le quote: a loro il leasing consente di acquisire il godimento dei titoli e, con esso, i relativi dividendi, potendo altresì esercitare i diritti amministrativi, con il diritto di acquisto delle medesime azioni a fine rapporto. È lo schema esattamente opposto a quello della vendita o della donazione con riserva di usufrutto, che permette al dante causa di conservare il godimento del bene, differendo l’acquisto della proprietà, trasferita come nuda.

(45) Dato l’accostamento al sale and lease back, a sua volta sospettato di aggirare quel divieto, come vendita a scopo di garanzia.

(46) Sulla legittimazione all’esercizio dei diritti sociali, sulla legittimità della clausola statutaria che autorizza la scissione della partecipazione, e sul rapporto tra società di leasing ed utilizzatore, cfr. C. BOLOGNESI, «Leasing azionario: profili di (in)compatibilità con il diritto societario e possibili soluzioni», in Contr. impr., 2006, p. 1097 e ss.; M. MALTONI, «Il leasing di partecipazioni sociali», studio n. 159-2006/1, Consiglio nazionale del notariato.

(47) Mia traduzione di G. BURROWS, D. CHEDEVILLE, Les applications du regime nouveau de location d’actions et parts sociales introduit par la loi n. 2005-882 du 2 aout 2005 en faveur des petites et moyennes entreprises, in La locations d’actions et de parts de Sarl, La réforme du droit des successions et la transmission des entreprises. Etudes réunit par Hallouin, Causse, Monnet, Université de Poitiers, 2008, p. 56.

(48) Per una ragionata messa a punto di tale regolamento contrattuale v., in questo volume, M. RIZZUTI, «Concessione del godimento e diritto all’acquisto».

(49) Per quanto riguarda la pubblicità nel registro delle imprese v., in questo volume, M. PALAZZO, «Rent to buy di azienda. Interessi sottesi e opponibilità ai terzi».

(50) Lo nota P. BALZARINI, op. cit., p. 388.

(51) Il bene è già del concedente, che non deve acquistarlo da nessuno; la durata non coincide con la “vita economica” del bene, che alla fine del leasing di regola presenta un valore trascurabile; piuttosto che essere connotata da funzione di finanziamento l’operazione intende evitare, tramite la concessione di un periodo di godimento necessario per concludere l’affare, la ricerca di fonti terze: D. POLETTI, «L’accesso “graduale” alla proprietà immobiliare …», cit., p. 45. Al di là delle differenze, A. FUSARO, «Rent to buy, Help to buy, Buy to rent tra modelli legislativi e rielaborazioni della prassi«, in Contr. impr., 2014, p. 425 e ss., rinviene nelle soluzioni dottrinali e giurisprudenziali in tema di leasing un «prezioso serbatoio di regole operative».

(52) Con riferimento ai principi contabili internazionali e alle fonti interne, oltre che alle interferenze fiscali, tra gli aziendalisti cfr. F. GIUNTA, M. PISANI, op. cit., p. 80, e più diffusamente G. ALBERTINAZZI, op. cit., p. 82, 85 e ss., 106, 119, 127, 172, 201, 225 e ss.

(53) Tra i casi di applicazione del criterio dell’appartenenza economica (nota 7), G.E. COLOMBO, op. cit., p. 179, rientrano i beni ricevuti in leasing, da iscrivere nel bilancio del conduttore «quando vi sia opzione di acquisto e dalle circostanze (rapporto tra entità dei canoni, ammontare del corrispettivo da versare all’esercizio dell’opzione, e valore del bene al tempo dell’esercizio dell’opzione) si desuma che l’esercizio dell’opzione costituirà la soluzione “economicamente obbligata” per il ricevente in leasing».

(54) In tal senso Cass., S.U., 7 gennaio 1993, n. 63.

(55) Anche secondo Cass. 26 maggio 2003, n. 8292, «il metodo di contabilizzazione finanziario … per i beni concessi in locazione finanziaria anche se non riconosciuto dall’attuale sistema non si può considerare vietato». E P. BALZARINI, op. cit., p. 391, spiega: «Questa modalità di rappresentazione contabile è giustificata dal fatto che i rischi ed i benefici economici dell’operazione si producono comunque in capo all’utilizzatore, anche se privo del diritto di proprietà: nella sostanza è come se costui avesse ottenuto il bene in virtù del contratto di compravendita, pattuendo il pagamento del prezzo in più rate frazionate nel tempo». Il metodo finanziario parrebbe definitivamente avallato dall’affermazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma ex art. 2423-bis, n. 1-bis, senonché al n. 22 dell’art. 2427 resta l’informativa da inserire nella nota integrativa, prevista in precedenza a corredo del metodo patrimoniale.

(56) Sull’affitto d’azienda, A.C. NAZZARO, L’affitto, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2008, p. 301 e ss.; con riguardo ai profili civilistici e fiscali, M.P. NASTRI, «L’affitto d’azienda», in questa rivista, 2010.

(57) Cioè di «di regole, sempre di ampio respiro, ma aventi un contenuto operativo più circostanziato rispetto alle clausole generali» (F. GIUNTA, M. PISANI, op. cit., p. 50). Ma da più parti si lamenta l’ambiguità, per eccesso di genericità, del principio in esame: per riferimenti bibliografici in tal senso, P. BALZARINI, op. cit., p. 386 e ss., 409, che però sottolinea l’importanza di un’esplicita enunciazione del principio ai fini di un’applicazione generalizzata.

(58) Di «causa unitaria», sia pur distinta in «due segmenti», scrive D. POLETTI, «L’accesso “graduale” alla proprietà immobiliare …», cit., p. 43.

(59) Accentua tale qualificazione M. BASILE, Un nuovo contratto per il mercato immobiliare?, cit., p. 884. V. anche G. PALERMO, «L’autonomia negoziale nella recente legislazione», e con particolare riferimento alla causa in concreto, V. CUFFARO, «La locazione di scopo», entrambi in Giur. it., 2015, p. 493, 504. A.C. NAZZARO, «Il rent to buy tra finanziamento e investimento», cit., p. 5, sottolinea tanto il «collegamento tra affitto e cessione» che la «finalizzazione complessiva dell’operazione al trasferimento», elementi che, secondo l’A., «potrebbero far propendere per una soluzione di trasferimento automatico». Quanto al «contratto preliminare di vendita di immobilizzazioni materiali (per giustificare la diversa valutazione, rispetto al valore contabile, del bene oggetto di alienazione)», P. BALZARINI, op. cit., p. 408 e ss., riferite le divergenti opinioni in dottrina e giurisprudenza, non se la sente di «affermare che, in virtù del contratto preliminare, il bene possa essere cancellato dallo stato patrimoniale del venditore ed iscritto in quello dell’acquirente (secondo una rigida interpretazione ed applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma), poiché alla conclusione del “ciclo economico di vendita” si perverrà soltanto con la stipulazione del contratto definitivo». Ma si consideri quel che afferma G.E. COLOMBO, op. cit., p. 177: «Fanno parte del patrimonio di bilancio anche i beni acquistati con riserva della proprietà», in quanto «l’acquirente ne ha il godimento e il possesso, e l’acquisto formale della proprietà non dipende dalla volontà di terzi».

(60) La fissazione dei valori di funzionamento in capo al locatore invece non offre una rappresentazione coerente dell’assetto qualitativo e quantitativo del patrimonio aziendale, senza dire di alcune operazioni, in particolare quelle di rinnovo degli investimenti, gli ammortamenti, il consumo del magazzino, che generano problemi di rilevazione contabile di problematica soluzione.

(61) Cfr. D. POLETTI, «Quanto al “rent” non segue il “buy”: scioglimento del vincolo contrattuale e restituzioni», in I contratti, 2015, n. 11, p. 1079 e ss.

(62) V., in questo volume: per un cenno D. POLETTI, «“Rent to buy immobiliare” e “rent to buy aziendale”»; per una puntuale esposizione dei profili valutativi dell’operazione e delle rilevazioni contabili di ambedue le parti, G. LIBERATORE - F. MAZZI, «Rent to buy d’azienda. Profili economico-aziendali», che peraltro si attengono alla «rappresentazione attuale delle immobilizzazioni materiali (OIC 16 e OIC 12 con riferimento all’appendice sui beni in leasing finanziario), ovvero con una non compiuta applicazione della prevalenza della sostanza sulla forma».

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