Rent to buy di azienda: i profili fiscali dell’operazione
Rent to buy di azienda: i profili fiscali dell’operazione
di Francesco Pistolesi
Ordinario di Diritto tributario, Università di Siena

Introduzione

L’art. 23 del D.l. n. 133/2014, convertito nella L. n. 164/2014, ha introdotto la “Disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili”, così tipizzando a livello normativo la figura, già nota alla prassi nazionale, del c.d. rent to buy immobiliare.
Si tratta di un tipo negoziale nel quale si ravvisano gli elementi causali del contratto di locazione, finalizzato alla concessione in godimento del bene, e del contratto preliminare unilaterale, che vincola una delle sue parti a pervenire al trasferimento del diritto a fronte della richiesta della controparte negoziale.
Tra le peculiarità della disciplina legale si segnala il fatto che i contraenti siano chiamati a definire:
- la quota del canone periodico che remunera la concessione dell’immobile in godimento e quella che, invece, deve essere imputata ad anticipazione del corrispettivo dell’eventuale successivo trasferimento del cespite;
- il numero dei canoni («non inferiore a un ventesimo del loro numero complessivo», a mente dell’art. 23, comma 2, cit.), anche non consecutivi, il cui mancato pagamento determina la risoluzione del rapporto.
Tra gli ulteriori profili che occorre valorizzare ai fini della successiva trattazione vi è la circostanza che:
- in caso di inadempimento del concedente (e promittente venditore), il medesimo è chiamato a restituire al conduttore (e promissario acquirente) «la parte dei canoni imputata al corrispettivo di cessione(1), maggiorata degli interessi legali», salvo la possibilità per quest’ultimo di ottenere tutela costitutiva ex art. 2932 c.c.;
- in caso di risoluzione per inadempimento del conduttore, il concedente ha il diritto di trattenere, «a titolo di indennità», le porzioni di canone convenzionalmente ricondotte alla formazione del corrispettivo di vendita.
Tutti i rammentati aspetti presentano delle peculiarità che ne rendono non immediata la qualificazione ai fini dell’applicazione delle norme tributarie; sì che, nel silenzio della legge, è intervenuta l’Agenzia delle entrate con la circolare n. 4/E del 19 febbraio 2015.
È a quest’ultimo documento di prassi ed alle soluzioni ivi ratificate che si dovrà fare principale riferimento per chiarire quale sia il regime fiscale applicabile alle operazioni nelle quali il modello del rent to buy sia impiegato per la concessione in godimento e l’eventuale trasferimento di compendi aziendali, specificamente oggetto del presente contributo(2).

Imposizione diretta: le ipotesi fisiologiche di svolgimento del rapporto …

Ipotizzando la stipula di un contratto modellato sul tipo negoziale del rent to buy ed avente per oggetto un’azienda, viene immediatamente in esame la questione del trattamento, ai fini dell’imposizione diretta, dei canoni versati dal conduttore al concedente.
A tal proposito, pare opportuno rammentare che i contraenti, al momento della stipula del contratto, sono chiamati a definire convenzionalmente non soltanto l’ammontare del canone periodico e il relativo numero, ma anche la delimitazione, interna al medesimo canone, della parte da imputarsi a corrispettivo del godimento del compendio e di quella a titolo di anticipazione sul prezzo (della eventuale e futura cessione).
Le due componenti, pertanto, pur contestualmente versate dal conduttore al concedente, non potranno che scontare un trattamento impositivo differenziato.
In primis, per quanto riguarda la componente assimilabile al canone per l’affitto dell’azienda, il regime dell’imposizione diretta varia a seconda che:
- l’azienda formante oggetto del contratto sia l’unica azienda di proprietà dell’imprenditore individuale;
- l’operazione sia compiuta da parte di una società commerciale oppure abbia per oggetto solo un ramo d’azienda (o una delle più aziende, tra di loro distinte) dell’imprenditore individuale.
Nel primo degli elencati casi, la stipula del contratto determina la perdita (almeno temporanea, con conseguente “sospensione” della partita Iva)(3) dello status di imprenditore del concedente, sicché i canoni dal medesimo percepiti, nella misura in cui remunerano il trasferimento del godimento del compendio, rientrano nella categoria dei redditi diversi.
Ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. h, del D.P.R. n. 917/1986 (recante il Testo unico sulle imposte sui redditi, di seguito, il “Tuir”), infatti, «l’affitto e la concessione in usufrutto dell’unica azienda da parte dell’imprenditore non si considerano fatti nell’esercizio dell’impresa» e ricadono nella predetta categoria residuale.
Il canone percepito, quindi, sconta la tassazione in base al principio di cassa e la base imponibile è determinata operando la deduzione analitica delle spese connesse alla concessione in godimento dell’azienda (spese di ristrutturazione, per oneri straordinari, etc., secondo quanto disposto dall’art. 71, comma 2, del Tuir; la perdita della qualifica di imprenditore determina, altresì, l’irrilevanza dei canoni percepiti, a fronte della concessione in godimento dell’azienda, rispetto all’applicazione dell’Irap). Qualora, invece, il concedente mantenga lo status di imprenditore pur a seguito della stipula del contratto, i corrispettivi conseguiti a fronte della concessione in godimento concorrono alla determinazione del reddito d’impresa e della base imponibile Irap.
Analoghe considerazioni valgono, mutatis mutandis, laddove si esamini il fenomeno negoziale dal lato del conduttore; costui, acquisendo il godimento dell’azienda, consegue (nel caso in cui non l’avesse già precedentemente avuto) lo status di imprenditore ai fini fiscali, con correlata deducibilità delle somme pagate a titolo di canone dal reddito d’impresa e dalla base imponibile in tema di Irap. Quanto precede esaurisce la questione dell’imposizione diretta sulla frazione di canone contrattualmente imputata a corrispettivo della concessione in godimento; resta da esaminare il trattamento, dal punto di vista fiscale, della parte dei canoni riferibile all’acconto sul prezzo dell’eventuale e futuro trasferimento della proprietà del compendio.
A tal proposito, merita, anzitutto, richiamare l’art. 109, comma 2, lett. a, del Tuir, a mente del quale «ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza … i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, alla data … della stipulazione dell’atto per gli immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale. Non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà. La locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti è assimilata alla vendita con riserva di proprietà».
Ebbene, la citata norma prevede che i contratti di locazione recanti clausole negoziali relative al trasferimento della proprietà debbano essere assimilati alla cessione (con conseguente rilevanza impositiva al momento della stipula dei contratti di locazione stessi) soltanto qualora la clausola abbia effetti vincolanti per entrambi i contraenti.
Tale non è, tuttavia, il caso del contratto di rent to buy, il quale presenta, quale tratto caratteristico, il diritto del conduttore di ottenere il trasferimento del bene al momento della scadenza.
Se ne desume che, conformemente alle indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate a mezzo della circolare n. 4 cit., tale disposizione non possa trovare applicazione al caso del rent to buy; di conseguenza, le componenti del canone periodico imputate dalle parti ad anticipazioni sul prezzo della (eventuale e futura) cessione assumeranno rilevanza ai fini fiscali soltanto al momento dell’effettivo trasferimento del diritto.
Fino al momento della cessione, dunque, il concedente dovrà trattare le somme ricevute dal conduttore a titolo di anticipi sul prezzo quali debito nei suoi confronti, e le medesime resteranno temporaneamente prive di rilevanza ai fini impositivi(4).
Siffatto debito potrà estinguersi, a seconda dei casi:
- mediante compensazione, al momento dell’effettivo perfezionamento della cessione, con quanto dovuto a fronte del trasferimento del diritto di proprietà;
- con il rimborso delle somme, nel caso in cui il conduttore, alla scadenza del contratto, non eserciti la facoltà di acquistare l’azienda.
Anche con riferimento alle anticipazioni (una volta che la cessione si sia perfezionata) si prospetta la già delineata duplicità di qualificazioni fiscali, a seconda che il concedente perda o mantenga lo status di imprenditore:
- nel primo caso, potrà emergere una plusvalenza o minusvalenza patrimoniale, come previsto dall’art. 86, comma 2, del Tuir, di ammontare pari alla differenza tra il corrispettivo complessivamente percepito e il costo non ammortizzato dei beni compresi nel compendio(5);
- nella seconda ipotesi, invece, la plusvalenza sarà tassata in capo al cedente come reddito diverso, stante il disposto dell’art. 67, comma 1, lett. h, e h-bis(6).

(Segue) … ed i casi di risoluzione per inadempimento

Quanto precede vale se il rapporto contrattuale si svolge secondo le sue fisiologiche alternative procedimentali, ossia se, segnatamente:
- si verifica il trasferimento della proprietà dell’azienda al conduttore con contestuale, definitiva, imputazione a corrispettivo di cessione degli anticipi sul prezzo (ed emersione della corrispondente componente reddituale positiva o negativa), oppure
- il conduttore non perviene all’acquisto, restituisce l’azienda al concedente e si vede retrocedere le anticipazioni sul prezzo.
Occorre, a questo punto, chiarire quale sia il trattamento fiscale dei “flussi” di ricchezza che, stando alla disciplina legale del contratto di rent to buy ed ipotizzandone la sua estensione (per quanto qui rileva) al caso in cui quest’ultimo abbia per oggetto l’azienda, si registrano nelle ipotesi di inadempimento di una delle parti.
Nel caso di inadempimento del concedente(7), questi è tenuto non soltanto a restituire alla controparte tutte le somme ricevute a titolo di anticipazioni sul prezzo (come accadrebbe anche nell’evenienza di mancato trasferimento della proprietà per volontà del conduttore), ma pure gli interessi legali maturati sulle medesime, oltre, ovviamente, al risarcimento del danno arrecato (ai sensi dell’art. 1453, comma 1, c.c.).
La prima di dette componenti patrimoniali è certamente priva di rilievo reddituale per il conduttore; le porzioni di canone restituite, infatti, concorrono all’estinzione di un credito progressivamente alimentato nei confronti del concedente. Pertanto, così come non hanno rilievo reddituale quando sono (provvisoriamente) attribuite al concedente, del pari non rilevano quando sono retrocesse.
Una maggiore attenzione meritano le somme attribuite a titolo di risarcimento del danno e quelle per interessi.
Quanto alle prime, attesa la loro funzione ripristinatoria, è necessario operare una distinzione, attribuendo rilevanza reddituale alla sola parte riconducibile al risarcimento del c.d. “lucro cessante” (ciò, in ragione della disciplina dei «proventi conseguiti in sostituzione di redditi», ex art. 6, comma 2, del Tuir), visto che la componente chiamata a ripianare il c.d. “danno emergente”, non costituendo ricchezza nuova, non determina il sorgere del presupposto d’imposta(8). Pertanto, le somme percepite dal conduttore a titolo di risarcimento del “lucro cessante” andranno incontro a tassazione come redditi di impresa(9).
Per quanto riguarda gli interessi legali (così qualificati dall’art. 23, comma 5, cit., che sembra applicabile in via analogica pure all’ipotesi che ci interessa), invece, i medesimi rileveranno ai fini delle imposte dirette:
- come redditi di capitale, ex art. 44, comma 1, lett. h, del Tuir se il soggetto percipiente ha perso lo status di imprenditore al momento della relativa percezione, oppure
- come redditi d’impresa, in forza della c.d. “forza attrattiva” di detta categoria reddituale (cfr. artt. 56, comma 1, e 81 del Tuir), se il conduttore continua ad essere imprenditore (in ragione dell’attività svolta oppure “per natura”, come accade per le società commerciali) nonostante la risoluzione del contratto.
Per altro verso, si deve ritenere che, ove il concedente inadempiente operi con lo status di imprenditore, possa considerare come deducibili dal reddito imponibile gli interessi e tutte le somme attribuite al conduttore a titolo di risarcimento(10) (resta, viceversa e come già rilevato, fiscalmente irrilevante la restituzione delle anticipazioni sul prezzo divenute senza titolo)(11).
Esaminiamo, adesso, il caso in cui la patologia nello svolgimento del rapporto sia imputabile al conduttore (il quale, lo si rammenta, si espone alla risoluzione per inadempimento qualora ometta di versare un numero di canoni, anche non consecutivi, fissato dalle parti in misura non inferiore al ventesimo del totale).
In questo caso (salva diversa determinazione delle parti), il concedente «ha diritto alla restituzione dell’immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità» (cfr. art. 23, comma 5, cit., che si assume applicabile in via analogica anche quando la stipula del rent to buy abbia per oggetto un’azienda). Il riferimento, ovviamente, non è ai canoni complessivamente intesi, bensì alla quota di canone imputata ad anticipazione sul prezzo dell’eventuale cessione, visto che la parte connessa alla concessione in godimento non sarebbe in nessun caso soggetta a restituzione al conduttore; la medesima, infatti, viene stabilmente acquisita dal concedente al momento del relativo versamento e contestualmente assume rilevanza reddituale.
Occorre, in proposito, nuovamente distinguere a seconda che il conduttore sia o meno titolare di reddito d’impresa.
Nel caso di concedente in regime di impresa, la quota versata dal conduttore in acconto sul prezzo e trattenuta in ragione del suo inadempimento costituisce una sopravvenienza attiva ai sensi dell’art. 88, comma 3, lett. a, del Tuir, che fa riferimento alle «indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, di danni diversi da quelli considerati alla lettera f, del comma 1 dell’art. 85 e alla lettera b, del comma 1 dell’art. 86» (id est, i danni costituiti dalla perdita o dal danneggiamento di beni-merci o di beni patrimoniali, il cui risarcimento genera, rispettivamente, voci di reddito assimilate ai ricavi o alle plusvalenze).
Viceversa, qualora il concedente non operi in veste di imprenditore, sembra correttamente applicabile anche al caso nostro l’impostazione seguita dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 4/E cit. (§ 5.2.2), secondo la quale «le quote dei canoni imputate ad acconto prezzo, eventualmente trattenute dal concedente a titolo di indennità … costituiranno per il concedente redditi diversi derivanti dall’assunzione di obblighi riconducibili a quelli di fare, non fare e permettere, di cui alla lett. l, del comma 1 dell’art. 67 del Tuir, atteso che in questo caso viene comunque remunerato il diritto di acquisto concesso al conduttore».
Le somme trattenute dal concedente, infatti, sono a tutti gli effetti nuova ricchezza che remunera la soggezione del medesimo al diritto potestativo del conduttore, il quale avrebbe potuto, alla scadenza del contratto, obbligare il concedente stesso al perfezionamento della cessione (vincolandolo, pertanto, a non disporre altrimenti del diritto di proprietà sul bene formante oggetto del contratto nel periodo di vigenza dello stesso)(12).

Imposizione indiretta

Esaurito l’esame in ordine ai profili dell’imposizione diretta, occorre volgere lo sguardo al settore delle imposte sui trasferimenti che, come si vedrà, hanno una rilevante incidenza sulla concreta convenienza e fattibilità economica dell’operazione di rent to buy aziendale.
Anzitutto, si deve considerare la componente del rapporto assimilabile all’affitto d’azienda, ossia quella che vede quali prestazioni la concessione del godimento dell’azienda, da un lato, e la corresponsione di una determinata frazione del canone periodico, dall’altro. A tale proposito, si rileva che l’affitto d’azienda, qualora l’operazione sia posta in essere dall’imprenditore, è assoggettata ad Iva con applicazione dell’aliquota ordinaria (pari, oggi, al 22%); viceversa, qualora con la stipula del contratto il concedente perda lo status di imprenditore, l’operazione resterà al di fuori del campo di operatività dell’Iva (in ragione della carenza del requisito soggettivo di imponibilità) ed il negozio sarà soggetto ad imposta di registro con aliquota proporzionale del 3%(13).
Nel caso dell’Iva, il tributo sarà esposto in fattura in occasione dei vari versamenti periodici, mentre l’imposta di registro sull’ammontare dei canoni potrà essere versata, a scelta delle parti:
- in unica soluzione, al momento della registrazione, per l’intera durata concordata del rapporto (come si ritrae dall’art. 17, comma 3, del D.P.R. n. 131/1986, secondo cui «in caso di risoluzione anticipata del contratto il contribuente che ha corrisposto l’imposta sul corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto ha diritto al rimborso del tributo relativo alle annualità successive a quella in corso»);
- al momento della registrazione, in relazione ai canoni dovuti per una sola annualità, e poi di anno in anno per il medesimo ammontare (si veda, anche a questo proposito, l’art. 17, comma 3, cit.). Viceversa, per quello che concerne la frazione del canone periodico convenzionalmente imputata ad anticipazione sul prezzo di cessione, la medesima è in ogni caso soggetta all’imposta di registro con aliquota proporzionale; la cessione d’azienda, infatti, stando all’art. 2, comma 3, lett. b, del D.P.R. n. 633/1972, rientra tra le operazioni che «non sono considerate cessioni di beni».
In particolare, all’atto della registrazione del contratto di rent to buy, l’importo complessivo degli anticipi sul prezzo di cessione dovrà essere assoggetta ad imposizione con aliquota del 3%.
Siffatta soluzione si impone in quanto la frazione di canone in parola è riconducibile alla natura di preliminare unilaterale del contratto di rent to buy. Non trova, pertanto, ostacolo l’applicazione della nota all’art. 10 della Tariffa, parte I, del D.P.R. n. 131/1986, la quale contempla detta aliquota «se il contratto preliminare … prevede il pagamento di acconti di prezzo non soggetti alla imposta sul valore aggiunto».
Tale imposta, ai sensi della rammentata Nota, «è imputata all’imposta principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo».
In caso di cessione dell’azienda già concessa in godimento, pertanto, le parti saranno tenute a versare l’eccedenza eventualmente risultante dall’applicazione, ai vari beni formanti il compendio in esame, delle diverse aliquote d’imposta(14).
Per converso, nella circolare n. 4/E cit. è stato espressamente stabilito che, nell’evenienza in cui l’imposta complessivamente dovuta a fronte della cessione dell’azienda sia inferiore rispetto a quella già versata in sede di registrazione sulla base degli acconti di prezzo pattuiti in sede di prima stipula, l’eccedenza potrà essere chiesta a rimborso.
Resta, a questo punto, da confrontarsi con la non agile questione del destino delle somme pagate a titolo di imposta di registro nell’ipotesi in cui, per una delle già menzionate circostanze, alla stipula del contratto di rent to buy non faccia seguito il trasferimento della proprietà del compendio aziendale. Stando, ancora una volta, all’interpretazione offerta dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 4/E cit., si dovrebbe concludere che l’imposta, versata nella misura del 3% degli acconti di prezzo, non possa formare oggetto di restituzione(15):
- né in caso di mancato esercizio del diritto di acquisto;
- né in caso di risoluzione del contratto per inadempimento di una delle parti.
Tale posizione dell’Amministrazione finanziaria deriva dall’applicazione analogica di quanto affermato nell’ambito della risalente circolare del Ministero delle finanze n. 37 del 10 giugno 1986, di primo chiarimento in ordine all’applicazione del D.P.R. n. 131/1986.
Tale documento di prassi, per quel che ai nostri fini rileva, prevede quanto segue:
«L’ultima parte della nota all’articolo 10 in commento, poi, è stata dettata dall’esigenza di evitare, quando al contratto preliminare segua la relativa compravendita, una duplicazione di imposta. È stato, infatti, previsto che l’ammontare dell’imposta principale dovuta per la registrazione dell’atto definitivo, dovrà essere detratta l’imposta pagata al momento della registrazione del contratto preliminare. Naturalmente nel caso in cui il contatto definitivo non venga posto in essere, le somme riscosse in sede di registrazione di quello preliminare rimarranno definitivamente acquisite all’Erario». Pertanto, sia che le somme attribuite al concedente a titolo di acconto sul prezzo della cessione siano dal medesimo - almeno in parte - definitivamente acquisite (in ragione dell’inadempimento “qualificato” di controparte), sia che vengano, addirittura, restituite al conduttore, in ogni caso l’imposta di registro versata in sede di registrazione non sarebbe suscettibile di restituzione.

Profili critici e considerazioni conclusive

Il profilo da ultimo menzionato è, a parere di chi scrive, quello nel quale maggiormente si percepisce la frizione tra la fisionomia civilistica del contratto di rent to buy ed il suo inquadramento ai fini fiscali(16). Come si è messo in rilievo, le fondamentali peculiarità del negozio in parola sono:
- il fatto che le parti, pur accordandosi per la (sola) concessione in godimento di un compendio di beni, contestualmente concludono un patto assimilabile ad un contratto preliminare unilaterale in favore dell’utilizzatore;
- la circostanza per cui, nella fase attuativa, il concedente percepisce sia somme a fronte della concessione in godimento dell’azienda, sia anticipazioni sul prezzo della promessa cessione di quest’ultima;
- la regola per cui gli acconti non sono stabilmente acquisiti dal percettore se non in caso di stipula della cessione o di grave inadempimento del conduttore: nel primo caso, a titolo di prezzo, nel secondo a titolo indennitario.
Ebbene, nei paragrafi che precedono si è visto che il sistema tributario vigente ben si presta a seguire in modo esatto tutti i predetti flussi di ricchezza, chiamandoli all’imposizione soltanto quando i medesimi integrano una concreta manifestazione di capacità contributiva.
Farebbero eccezione soltanto gli acconti di prezzo, i quali sconterebbero (definitivamente) l’imposta di registro con aliquota del 3% indipendentemente dal fatto che i medesimi si “cristallizzino” o meno quale corrispettivo della stipulata cessione d’azienda.
Le parti, dunque, si troverebbero a dover sopportare una compressione della loro libertà negoziale, potendo l’utilizzatore esercitare la sua libertà di non acquistare solo a condizione di perdere definitivamente quanto versato all’Erario in sede di registrazione.
Siamo al cospetto, con tutta evidenza, di un elemento che mina alla base la percorribilità economica del modello, nella misura in cui vincola le parti a una scelta che le medesime avevano voluto libera.
Si rende, pertanto, necessario uno sforzo interpretativo che consenta di superare la posizione assunta dall’Amministrazione finanziaria.
Anzitutto, si deve rilevare che la tesi della non ripetibilità dell’imposta versata sugli acconti di prezzo si fonda su una prassi amministrativa ormai superata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Il Supremo Collegio, infatti, chiamato a pronunciarsi sulle dinamiche applicative della rammentata nota all’art. 10 della Tariffa, parte I, del D.P.R. n. 131/1986, ha rilevato che la medesima, prevedendo «l’anticipazione d’imposta, da computare in quella principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo», reca una «disposizione eccezionale», la quale non potrebbe «essere estesa dall’interprete al diverso caso in cui la registrazione del contratto definitivo non segua affatto, per mancata stipula di questo. … In tal caso, l’imposta parziale, anticipatamente versata, risulta indebitamente trattenuta dal fisco che, perciò, è tenuto alla restituzione» (Cass. civ., sez. V, 15 giugno 2007, n. 14028).
Quindi, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità, v’è ragione di ravvisare il diritto del conduttore a ripetere l’imposta di registro anticipata nel caso in cui, al termine del contratto, decida di non esercitare il suo diritto all’acquisto. Difatti, non si verifica - come nelle ipotesi affrontate dalla menzionata giurisprudenza - la stipula del contratto definitivo di trasferimento dell’azienda
In ogni caso, non ci si può sottrarre dall’evidenziare che - in una prospettiva di riforma normativa e nell’ottica di assicurare agli operatori un più chiaro scenario regolatorio - la corretta tassazione, ai fini delle imposte indirette, del rent to buy potrebbe essere modellata sulla falsariga della disciplina dell’imposta di registro applicabile ai contratti condizionali.
Ciò, sulla scorta dell’osservazione per cui, in caso di mancata stipula della cessione per libera scelta del conduttore, viene in rilievo un’ipotesi per certi versi analoga (dal punto di vista economico, prima ancora che giuridico) a quella che si configura quando gli effetti del contratto sono sottoposti a condizione sospensiva: il negozio è valido ed astrattamente idoneo a sorreggere l’effetto traslativo, il quale, tuttavia, non si produce nell’ordinamento che al verificarsi di una individuata circostanza. Ebbene, nel sistema dell’imposta di registro, l’art. 27, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 131/1986 prevede che «gli atti sottoposti a condizione sospensiva sono registrati con il pagamento dell’imposta in misura fissa» e che «quando la condizione si verifica … si riscuote la differenza tra l’imposta dovuta secondo le norme vigenti al momento della formazione dell’atto e quella pagata in sede di registrazione». Tuttavia, l’applicazione della citata disposizione trova oggi un ineludibile ostacolo nel comma 3 del medesimo art. 27, a mente del quale «non sono considerati sottoposti a condizione sospensiva … gli atti sottoposti a condizione che ne fanno dipendere gli effetti dalla mera volontà dell’acquirente»; ipotesi, con tutta evidenza, sovrapponibile a quella che ci interessa.
Occorrerebbe, dunque, precisare che il suddetto comma 3 dell’art. 27 cit. non opera con riguardo al contratto di rent to buy.
In verità, qualora un’analoga regola di diritto potesse operare in relazione al contratto di rent to buy, avrebbe il notevole pregio di realizzare un parallelismo tra la dinamica applicativa delle imposte dirette ed indirette: così come le anticipazioni di prezzo rilevano ai fini reddituali soltanto al momento di effettivo trasferimento del diritto, analogamente rilevano ai fini dell’imposta sui trasferimenti quando la cessione si realizza in concreto.
Con l’apprezzabile vantaggio per le parti di non dover anticipare un tributo proporzionale che - indipendentemente dal fatto che il medesimo possa poi essere restituito - si lega ad un’operazione economica che resta, nel programma negoziale, meramente eventuale.
Alla tipizzazione da parte delle norme civilistiche (avvenuta per il rent to buy immobiliare, la cui disciplina, peraltro, può trovare analogica applicazione anche al caso del rent to buy aziendale), allora, dovrebbe conseguire un adeguamento della disciplina fiscale nel rispetto, oltretutto, del principio costituzionale di capacità contributiva.
È evidente, infatti (ed è correttamente apprezzato dalla vigente disciplina delle imposte sul reddito), che una frazione della capacità contributiva connessa alla stipula del contratto di rent to buy si concretizza solo al perfezionamento della (meramente eventuale, già nel disegno originario delle parti) cessione e solo in questo momento potrà andare incontro alla tassazione. Ciò, appunto, soddisfacendo l’esigenza che l’imposizione sia correlata ad un’effettiva manifestazione di capacità contributiva.


(1) Non anche quella convenzionalmente imputata a corrispettivo della concessione in godimento dei beni aziendali; ciò, del resto, in armonia con quanto previsto dall’art. 1458 c.c. per l’ipotesi di risoluzione per inadempimento dei contratti ad esecuzione continuata e periodica (con quali il rent to buy condivide, almeno in parte, la natura).

(2) Tra i contributi che hanno trattato i profili fiscali del rent to buy immobiliare, si segnalano: R. RIZZARDI, «L’imposizione indiretta nel ‘rent to buy’», in Corr. trib., 2015, 14; ID., «L’imposizione diretta nel ‘rent to buy’», in Corr. trib., 2015, C. ALBERTO e C. ATZENI, «Il trattamento fiscale dei contratti di rent to buy degli immobili», in A&F, 2015, 5; R. BELOTTI e F. CAVALLI, «Rent to buy fra problematiche fiscali e dubbi vantaggi economici», in Il fisco, 2014, 45.

(3) Si richiamano, a tal proposito, le circolari del Ministero delle finanze n. 26 del 19 marzo 1985 e n. 72/14552 del 4 novembre 1986, con le quali è stato chiarito che, in caso di affitto, da parte dell’imprenditore, dell’unica azienda, non si ha una vera e propria cessazione di attività, ma una sospensione, con la possibilità di mantenere la partita Iva in vista dell’eventuale sua prosecuzione al termine del contratto di affitto. Sul punto, v. G. PROVAGGI, «L’affitto di azienda nelle imposte indirette», in Corr. trib., 2008, 13.

(4) Lo stesso vale anche per il conduttore (ed eventuale futuro cessionario), che non potrà dare inizio all’ammortamento se non dopo l’effettivo trasferimento della proprietà.

(5) La plusvalenza eventualmente realizzata può essere tassata per quote costanti per un massimo di cinque esercizi, a condizione che l’azienda sia stata posseduta per almeno tre anni (cfr. art. 86, comma 4, cit.). Tale componente, lo si precisa, non rileva ai fini della determinazione della base imponibile Irap.

(6) Tale plusvalenza beneficia del regime della c.d. “tassazione separata”, ex art. 17, comma 1, lett. g, del Tuir, qualora consegua alla cessione di un’azienda posseduta da più di cinque anni.

(7) Ad esempio, per inadempimento rispetto alle obbligazioni funzionali a garantire al conduttore il pieno ed indisturbato godimento del compendio formante oggetto del negozio, oppure per rifiuto di prestare il consenso al trasferimento al quale, pur tuttavia, sarebbe tenuto (e salva la possibilità per il promissario acquirente di adire il Giudice per ottenere la tutela in forma specifica ex art. 2932 c.c. e il risarcimento dell’eventuale danno).

(8) Ciò, sulla scorta del principio di diritto affermato, tra le tante e per tutte, da Cass. civ., sez. V, del 16 settembre 2005, n. 18369.

(9) Questo avviene anche nel caso in cui il conduttore, dopo la risoluzione del contratto di rent to buy, perda la qualifica di imprenditore. Si tratta, infatti, di proventi che, pur conseguiti dopo la cessazione dell’attività, restano pur sempre geneticamente connessi all’esercizio dell’impresa (seppure per il tramite del meccanismo della “sostituzione” ex art. 6, comma 2, del Tuir); in tal senso, v. M. BEGHIN, Il reddito d’impresa, Torino, 2014, p. 49.

(10) La deduzione, ovviamente, potrà configurare un “salto d’imposta” laddove le somme siano attribuite a titolo di “danno emergente” e siano dunque non imponibili in capo al percipiente. Ma si tratta di un esito non contrario alla legge, la quale, nel garantire la “simmetria” tra proventi tassabili e costi deducibili, limita l’attenzione alla sola sfera soggettiva di chi sostiene l’onere, stabilendo che «le spese … sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività … da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito» (art. 109, comma 5, del Tuir).

(11) Si veda, in tal senso, A. KOSTNER, «La tassazione del “rent to buy” in caso di risoluzione del contratto per causa imputabile alle parti», in Rass. trib., 2016, 1.

(12) Per completezza di esposizione, si segnala la posizione di chi ha ritenuto che per il concedente non rientrante nel regime di impresa non abbiano rilevanza reddituale gli anticipi sul prezzo trattenuti a fronte dell’inadempimento del conduttore (cfr. A. KOSTNER, op. cit.), in ragione della natura risarcitoria (piuttosto che remuneratoria) della componente patrimoniale in parola.

(13) Salva la possibilità, per le parti, di operare un’ulteriore distinzione interna al canone, stabilendo quale quota debba imputarsi alla concessione in godimento della parte immobiliare del compendio aziendale. Ciò, ai sensi dell’art. 23, comma 1, del D.P.R. n. 131/1986, a mente del quale «se una disposizione ha per oggetto più beni o diritti, per i quali sono previste aliquote diverse, si applica l’aliquota più elevata, salvo che per i singoli beni o diritti siano stati pattuiti corrispettivi distinti». Così, la parte di canone connessa al godimento di fabbricati sarà soggetta al tributo con aliquota del 2% mentre quella restante ad aliquota del 3%.

(14) In specie, l’imposta di registro è dovuta con aliquota del 9% per gli immobili ed i diritti reali immobiliari e del 3% per gli altri beni e diritti, ivi compreso il valore dell’avviamento. Se il compendio è comprensivo di immobili, sono dovute, altresì, l’imposta ipotecaria e quella catastale, entrambe nella misura fissa di euro 50.

(15) Si riporta il § 5.3 della circolare n. 4/E cit.: «In caso di mancato esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore, ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 23 ovvero di risoluzione del contratto per inadempimento, ai sensi del successivo comma 5, non si dà luogo alla restituzione dell’imposta di registro corrisposta nella misura del 3 per cento, applicata in relazione alla quota di canone assimilata ad acconti prezzo, anche nel caso in cui il concedente proceda alla restituzione di tali somme al conduttore».

(16) Le criticità connesse alla predetta soluzione interpretativa sono state, del resto, prontamente segnalate dal Consiglio Nazionale del Notariato (A. LOMONACO, «Alcune note ai chiarimenti dell’Agenzia delle entrate sulla tassazione del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili», disponibile on-line all’indirizzo http://www.notariato.it/ sites/default/files/Rent_to_buy-ufficio%20studi.pdf), oltre che da Assonime (circolare n. 27 del 17 settembre 2015).

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