La costituzione e registrazione dell’unione civile e l’accertamento della convivenza di fatto: certificati dello stato civile e dell’anagrafe e opponibilità ai terzi
La costituzione e registrazione dell’unione civile e l’accertamento della convivenza di fatto: certificati dello stato civile e dell’anagrafe e opponibilità ai terzi
di Renzo Calvigioni
Esperto A.N.U.S.C.A., Associazione nazionale degli Ufficiali di Stato civile e d’anagrafe

Il D.p.c.m. 144/2016 contenente le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell’archivio dello stato civile ed il dm 28 luglio 2016 con le formule da utilizzare per la redazione degli atti, iscrizioni, trascrizioni ed annotazioni relative alle unioni civili, avevano dato avvio ufficialmente alla fase provvisoria dell’applicazione della legge 20 maggio 1976, n. 2016, consentendo la costituzione delle unioni civili nel nostro Paese: tale fase provvisoria avrebbe dovuto avere una durata di sei mesi, a norma dell’art. 1 comma 28 della stessa legge 76/2016. Successivamente, sono iniziati i lavori di predisposizione degli schemi dei decreti legislativi delegati previsti pure dallo stesso comma 28(1) che, su proposta del Ministro di giustizia, sono stati approvati con apposita deliberazione del 4/10/2016 del Consiglio dei Ministri, trasmessi in data 5/10/2016 ai due rami del Parlamento che, attraverso le competenti commissioni, dovranno emettere parere o proporre modifiche entro 60 giorni: tuttavia, poiché tale termine scade nei trenta giorni antecedenti alla scadenza dei sei mesi, a norma del comma 30 dell’art. 1 legge 76/2016 è prevista una proroga di altri tre mesi, quindi fino al 5/3/2017. Un volta ottenuti i pareri parlamentari, il Governo potrà conformarsi alle indicazioni delle commissioni oppure rimandare i testi con le proprie osservazioni e modifiche: entro 10 giorni le Commissioni dovranno pronunciarsi ed i decreti, subito dopo, potranno essere adottati dal Governo, pubblicati in G.U., entrando così, finalmente, nella fase definitiva e piena dell’applicazione della legge 76/2016. Pur non essendo ancora completato il suddetto iter, è possibile un primo esame degli schemi dei decreti all’esame del Parlamento, al fine di valutare la portata e l’impatto delle modifiche proposte, in particolare, al regolamento di stato civile.

Ufficiale di stato civile, registri, aspetti di carattere generale

La legge 76/2016 non aveva apportato alcuna modifica all’art. 1 del D.P.R. 396/2000, tanto che non sembravano sussistere dubbi sulla possibilità che l’ufficiale di stato civile delegato potesse procedere alla costituzione dell’unione civile. Qualche incertezza derivava dal c. 3 dello stesso articolo, che limitava la delega ai «consiglieri o assessori comunali o a cittadini italiani che hanno i requisiti per la elezione a consigliere comunale» alle ipotesi del giuramento di cittadinanza e della celebrazione del matrimonio, tanto da far ritenere che costoro non potessero procedere alla costituzione di unioni civili. Era stato il Consiglio di Stato a fornire chiarimenti indiretti, nel parere n. 01695/2016 del 21/7/2016, nella parte in cui affrontava il tema dell’obiezione di coscienza riferito alla procedura di costituzione dell’unione civile, precisando che anche i componenti del Consiglio comunale potevano essere delegati quali ufficiali di stato civile per gli adempimenti di cui alla legge 76/2016, così come già avviene per la celebrazione dei matrimoni(2) . Questo orientamento del Consiglio di Stato, emerso quasi in via incidentale, aveva però aperto la possibilità di rilasciare alle ipotesi di costituzioni di unione civile le stesse deleghe già consentite per la celebrazione del matrimonio. Il decreto per l’adeguamento delle norme sull’ordinamento di stato civile, risolve qualsiasi dubbio aggiungendo direttamente al comma 3 la possibilità della delega a costituire unione civile, agli stessi soggetti che possono riceverla per la celebrazione dei matrimoni: chi ne era già titolare per i matrimoni civili non deve rinnovarla, mentre potrà essere rilasciata dal sindaco a coloro che ne erano sprovvisti e potranno così adempiere alla costituzione dell’unione civile.
La costituzione delle unioni civili avviene tramite iscrizione nel registro delle unioni civile che, dopo essere stato previsto come registro distinto dagli altri già nella fase provvisoria, viene confermato anche nella fase definitiva, come specifica tipologia di registro, suddiviso in parte I^ e parte II^, tanto da dover richiedere le necessarie modifiche pure al R.D. 9/7/1939 n. 1238 nella parte ancora in vigore. Viene estesa alle unioni civili la possibilità di costituzione all’estero, di fronte alla nostra autorità diplomatica o consolare, oppure dinanzi all’autorità locale secondo la legge del luogo: in quest’ultimo caso gli atti saranno trasmessi alla nostra autorità diplomatica o consolare per l’inoltro in Italia, all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza delle parti.
Viene integrato l’art. 19 del D.P.R. 396/2000, aggiungendo, al secondo comma, la possibilità che anche le unioni civili costituite tra cittadini stranieri, di fronte all’autorità diplomatica straniera in Italia, possano essere trascritte nei registri di stato civile del comune di residenza del cittadino straniero, sempre che ciò sia previsto da convenzioni internazionali vigenti con lo Stato al quale appartiene tale autorità consolare.
Vengono previste le annotazioni a margine degli atti di nascita relative alle vicende di costituzione delle unioni civili, a partire dagli atti di costituzione e delle sentenze dalle quali risulti l’unione civile, le sentenze che pronunciano la nullità o lo scioglimento dell’unione civile, gli accordi di negoziazione assistita conclusi tra le parti dell’unione civile al fine di raggiungere una soluzione consensuale di scioglimento dell’unione civile, nonché gli accordi di scioglimento dell’unione civile conclusi tra le parti dinanzi all’ufficiale dello stato civile.
È stato previsto che nell’atto di morte si debba indicare il cognome della parte unita civilmente al defunto, come pure se il defunto era unito civilmente o se l’unione civile si era sciolta.

La registrazione degli atti delle unioni civili

Le modifiche più rilevanti riguardano principalmente tutti gli aspetti della registrazione delle unioni civili, dalla fase della richiesta, alla fase della costituzione, alle ipotesi particolari, agli adempimenti ordinari ed a quelli specifici.
Negli archivi dello stato civile viene prevista la registrazione delle unioni civili costituite dinanzi all’ufficiale dello stato civile, di quelle costituite fuori dalla casa comunale in situazioni di impossibilità di una delle parti, di quelle avvenute in imminente pericolo di vita, e di quelle costituite su delega dell’ufficiale di stato civile competente. Si iscrivono nel registro delle unioni civili, le costituzioni alle quali per la particolarità del caso non si adattano le formule stabilite, gli accordi di scioglimento dell’unione civile ricevuti dall’ufficiale dello stato civile, o di modifica delle condizioni di scioglimento, la manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione civile, a norma dell’art. 1 comma 24 della legge 20 maggio 2016, n. 76, la dichiarazione con la quale le parti, dopo la costituzione dell’unione civile, dichiarano di voler assumere, per la durata dell’unione civile, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi o di anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso. Tutto questo avviene, come detto, tramite iscrizione nel registro delle unioni civili che si aggiunge ai registri già in uso di cittadinanza, nascita, matrimonio e morte: in sostanza, l’ufficiale dello stato civile provvede alla registrazione diretta degli atti relativi alle unioni civili e, qualora sussistano le condizioni, provvede a trasmettere copia di tali atti al comune competente per residenza di una o di entrambi le parti il quale, a suo volta, dovrà procedere alla trascrizione nella parte seconda del registro delle unioni civile, a norma dell’art. 12 comma 8 del D.P.R. 396/2000.
Le trascrizioni, dunque, riguarderanno le unioni civili costituite per delega da riportarsi nel registro del comune di residenza delle parti, gli atti di costituzione di unione civile avvenuti in un comune scelto dalle parti, trasmessi all’ufficiale dello stato civile dei comuni di residenza delle parti, le unioni civili costituite all’estero e gli atti di matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero che, a seguito della trascrizione, produrranno gli effetti dell’unione civile, gli atti di costituzione delle unioni civili avvenute in caso di imminente pericolo di vita di una delle parti dell’unione civile, a norma del codice della navigazione, le sentenze dalle quali risulti l’esistenza dell’unione civile, le sentenze di nullità o scioglimento di unioni civili pronunciate all’estero o di rettifica di unione civile già iscritta o trascritta, gli accordi di negoziazione assistita, conclusi tra le parti dell’unione civile al fine di una soluzione consensuale di scioglimento dell’unione o di modifica delle condizioni dello scioglimento. Nel caso le parti volessero costituire unione civile in altro comune, su delega dell’ufficiale dello stato civile al quale sia stata presentata apposita istanza, dovranno essere indicati i motivi di opportunità e convenienza che sono alla base della richiesta.
Alla stessa stregua delle annotazioni che vengono apposte sugli atti di matrimonio, sono previste una serie di annotazioni sugli atti di costituzione dell’unione civile: le convenzioni patrimoniali e le modifiche e gli aspetti collegati, la manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione civile, le sentenze anche straniere di scioglimento o di nullità dell’unione civile, le convenzioni di negoziazione assistita per lo scioglimento consensuale dell’unione civile, gli accordi di scioglimento dell’unione civile formati dinanzi all’ufficiale di stato civile, le sentenze che dispongono l’annullamento della trascrizione dell’atto di unione civile, le sentenze dichiarative di assenza o di morte presenta di una delle parti, i provvedimenti di cambiamento del nome o cognome o di entrambi, i provvedimenti di rettificazione. Particolarmente rilevante la previsione che l’ufficiale dello stato civile, al momento della costituzione dell’unione civile, debba indossare la fascia tricolore, elemento che contraddistingue l’ufficialità e cerimonialità della situazione che viene posta in essere. Si tratta di un requisito formale che, pur senza introdurre nessuna forma di “celebrazione” - termine ancora totalmente bandito dal legislatore in tutte le disposizioni relative alle unioni civili - tuttavia denota una timida apertura verso un minimo di solennità ad un evento che viene sicuramente vissuto dalle parti in maniera molto importante e coinvolgente.

La procedura di richiesta e di costituzione dell’unione civile

Le modifiche più rilevanti, soprattutto in rapporto alla procedura provvisoria di cui al D.p.c.m. 144/2016, riguardano la fase della richiesta di costituzione a cura delle parti ed il momento dell’atto di costituzione: lo schema delineato avvicina maggiormente la fase della richiesta alla procedura delle pubblicazioni di matrimonio e la fase della costituzione alla celebrazione, senza tuttavia confondere i due istituti che restano sostanzialmente distinti.
La richiesta di costituzione dell’unione civile viene presentata nel comune scelto dalle parti, dichiarando i propri dati anagrafici e l’insussistenza di impedimenti: l’ufficiale dello stato civile dovrà verificare quanto dichiarato, anche tramite acquisizione di documentazione necessaria per provare l’inesistenza di impedimenti. In base alla richiesta, l’ufficiale dello stato civile redige processo verbale contenente le dichiarazioni delle parti, che viene sottoscritto dagli interessati e dall’ufficiale dello stato civile. Viene richiamato l’art. 12 comma 7 del D.P.R. 396/2000 per evidenziare come, in questa fase, possa essere effettuata la nomina di un procuratore senza bisogno di particolari formalità: questo, ovviamente, agevola la parte che si trovasse nell’impossibilità di recarsi presso l’ufficio dello stato civile, in quanto è sufficiente che venga presentata la procura a favore di una terza persona od anche dell’altra parte, per poter procedere alla richiesta ed alla redazione del processo verbale. Tale indicazione fa venire meno la necessità che l’ufficiale dello stato civile debba uscire dall’ufficio e recarsi presso la sede dove si trova la parte impossibilitata, al fine di ricevere la richiesta e redigere il processo verbale, ipotesi prevista dall’art. 1 comma 4 del D.p.c.m. 144/2016 che, nella fase definitiva, non viene rinnovata, risultando sicuramente più agevole il ricorso alla procura.
Dalla data del processo verbale, l’ufficiale dello stato civile ha trenta giorni di tempo per effettuare accertamenti e verifiche relative alla insussistenza di impedimenti e per acquisire eventuali documenti che si rendessero necessari: decorso tale periodo di tempo, le parti possono presentarsi dall’ufficiale dello stato civile per procedere alla costituzione dell’unione. Se gli accertamenti sono stati completati prima dei trenta giorni, previa comunicazione alle parti dell’ufficiale dello stato civile, anche la costituzione potrà avvenire prima del termine suddetto. Qualora dovessero emergere degli impedimenti, l’ufficiale dello stato civile lo comunica alle parti e non procede alla costituzione. Le parti hanno un termine di centottanta giorni entro il quale deve avvenire la costituzione dell’unione civile, altrimenti l’intera procedura di considera come se non fosse mai avvenuta: tale termine decorre dalla scadenza dei trenta giorni previsti per gli accertamenti o dalla comunicazione dell’ufficiale di stato civile di avere effettuato le verifiche prima dei trenta giorni. È evidente come tale impostazione risenta del termine previsto dal codice civile per la celebrazione del matrimonio, una volta effettuate le pubblicazioni ma, soprattutto, come risulti giustamente rispettosa della volontà delle parti in merito alla data scelta per la costituzione dell’unione civile: appariva, infatti, privo di fondamento l’obbligo di dover indicare una data di costituzione già al momento della richiesta delle parti e, ancora di più, il fatto che la mancata comparizione alla data fissata fosse considerata come rinuncia, tanto da far venir meno la procedura eseguita fino a quel momento. Le modifiche introdotte dai decreti legislativi rendono più semplici sia la fase di richiesta che quella di costituzione dell’unione civile, riportandole nell’ambito di procedure ordinarie dello stato civile, eliminando limiti che non erano indicati nella legge 76/2016.
Viene prevista l’applicazione alle unioni civili dell’istituto della delega, in analogia alle indicazioni dell’art. 109 c.c.: se dopo la richiesta presentata in un comune liberamente scelto dalle parti, dovesse emergere necessità e convenienza di costituire unione civile in altro comune, previa motivata richiesta delle parti, l’ufficiale di stato civile rilascerà delega alla costituzione al comune indicato nell’istanza. In presenza di un impedimento che sia di ostacolo alla costituzione dell’unione civile, dovrà essere presentato all’ufficiale dello stato civile, a cura della parte interessata, il provvedimento che lo rimuova. La costituzione dell’unione civile avviene, decorso il termine dei trenta giorni o dopo comunicazione dell’ufficiale dello stato civile, nello stesso comune dove era stata presentata la richiesta (tranne che non sia stato utilizzato l’istituto della delega), con dichiarazione personale e congiunta delle parti ed alla presenza di due testimoni: viene data lettura dei commi 11 e 12 dell’art. 1 della legge 76/2016(3) e, di seguito, viene letto l’atto di unione civile che deve essere sottoscritto dalle parti, testimoni ed ufficiale dello stato civile.
Al momento della costituzione dell’unione civile, le parti possono scegliere di indicare il cognome comune e il regime della separazione dei beni: mentre riguardo al regime patrimoniale la fattispecie è analoga a quella matrimoniale, dato che il regime ordinario per le unioni civili è quello della comunione dei beni e la scelta che può essere fatta dinanzi all’ufficiale dello stato civile è solamente quella della separazione dei beni in luogo della comunione, ben diversa è la possibilità di scelta del cognome comune che le parti possono adottare per la durata dell’unione.
In tutti i casi in cui la costituzione riguardi persone residenti in altro comune, l’ufficiale dello stato civile dovrà inviare copia dell’atto ai comuni di residenza delle parti, a norma dell’art. 12 comma 8 del D.P.R. 396/2000, ai fini della trascrizione nel registro delle unioni civili.

La scelta del cognome

La scelta del cognome era stata espressamente prevista dall’art. 1 comma 10 della legge 76/2016 «Mediante dichiarazione all’ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all’ufficiale di stato civile», riaffermata nella fase provvisoria dall’art. 4 del Dpcm n. 144/2016 che, al secondo comma, aveva dato precise indicazioni procedurali conseguenti alla scelta delle parti: «A seguito della dichiarazione di cui al comma 1 i competenti uffici procedono alla annotazione nell’atto di nascita e all’aggiornamento della scheda anagrafica». È evidente che laddove la scelta del cognome venga annotata a margine dell’atto di nascita ed effettuato aggiornamento anagrafico, si attiva un vero e proprio cambiamento di cognome, con tutte le conseguenze e gli effetti che questo comporta: non solo variazione ed aggiornamento delle generalità in tutti i documenti dell’interessato (codice fiscale, carta identità, passaporto, patente guida, tessera sanitaria, posizioni pensionistiche, rapporti con enti pubblici e privati, ecc.), ma cambiamento del cognome di eventuali figli, a norma dell’art. 33 comma 2 del D.P.R. 396/2000(4) , i quali, se minorenni, subirebbero il cambiamento di cognome senza alcuna alternativa, mentre se maggiorenni, dopo averlo subito comunque, avrebbero un anno di tempo per rendere una dichiarazione di tutela del proprio cognome. Si tratta di fattispecie ben diversa da quella del cognome maritale di cui all’art. 143-bis c.c., che prevede che la donna possa aggiungere al proprio il cognome del marito, ma solamente nell’utilizzo quotidiano ed ordinario, senza che questo possa provocare un cambiamento di generalità della moglie, senza che sia prevista annotazione marginale né aggiornamento anagrafico: in sostanza, la donna maritata conserva le proprie generalità originare in tutti gli atti ed i documenti che la riguardano ed aggiunge il cognome del marito nell’uso ordinario, con una valenza ben limitata e ben diversa da quella riservata alle coppie unite civilmente secondo le chiare indicazione del D.p.c.m. n. 144/2016. Nei decreti legislativi approvati dal Consiglio dei Ministri, questo indirizzo viene totalmente rivisto, escludendo che la scelta del cognome debba essere annotata all’atto di nascita e provochi aggiornamento anagrafico, così da equiparare tale situazione a quella delle donna maritata, come viene chiaramente spiegato nella relazione illustrativa all’atto del Governo n. 344/2016 contenente “Schema di decreto legislativo recante disposizioni per l’adeguamento delle norme dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni alle previsioni della legge sulla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, nonché modifiche ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la medesima legge sulla regolamentazione delle unioni civili delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti”: «Quanto alla scelta del cognome di cui al comma 5 della disposizione in commento, l’opzione del testo proposto differisce da quella del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144, che, all’articolo 4, comma 2, stabilisce che, a seguito della dichiarazione relativa al cognome, gli ufficiali dello stato civile procedono all’annotazione dell’atto di nascita e all’aggiornamento della scheda anagrafica. Si è ritenuto, infatti, di interpretare il comma 10 della legge - che consente alle parti dell’unione civile di poter stabilire, mediante dichiarazione all’ufficiale di stato civile, di assumere, per la durata dell’unione civile, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi o di anteporre o posporre al cognome comune il proprio - in analogia a quanto previsto dall’articolo 143-bis c.c. per il cognome della moglie, che tale eventuale dichiarazione non determini una modifica anagrafica del cognome, ma abbia il solo effetto di consentirne l’uso, per la durata dell’unione civile. Tale opzione interpretativa è parsa la più convincente tenuto conto, non solo di quanto previsto per il matrimonio, ma anche del fatto che una vera e propria variazione anagrafica del cognome della parte dell’unione civile determinerebbe il mutamento anagrafico anche del cognome del figlio della medesima parte dell’unione civile ed eventualmente per il solo periodo di durata dell’unione, effetto questo che pare eccedere la volontà del legislatore primario».
In merito all’indicazione del cognome comune, sembra possibile che la parte che non ha originariamente il cognome comune, possa anteporlo o posporlo al proprio “se diverso”, come anche sostituirlo al proprio: se, ad esempio Rossi Luigi e Verdi Franco al momento della costituzione dell’unione civile dovessero scegliere Rossi come cognome comune, Verdi Franco potrebbe optare di chiamarsi Rossi Franco o Verdi Rossi Franco o Rossi Verdi Franco. Si tratta però, come detto, dell’uso che viene fatto dalle parti, senza alcuna variazione anagrafica, né annotazioni all’atto di nascita. Tale scelta potrà essere fatta anche in una fase successiva alla costituzione dell’unione civile e viene meno nel momento dello scioglimento dell’unione civile: trattandosi solamente dell’utilizzo che viene fatto dalle parti, non sono previste né necessarie, anche nella fase dello scioglimento, adempimenti od aggiornamenti in merito al cognome.

La rettificazione di sesso

Nell’ipotesi di rettificazione di sesso relativa ad uno dei coniugi, qualora i medesimi non volessero sciogliere il matrimonio ma costituire unione civile, secondo quanto previsto dall’art. 1 coma 27 della legge 76/2016, viene introdotta una procedura particolare che prevede che i coniugi dovranno rendere dichiarazione congiunta di voler costituire unione civile, in udienza, durante il processo di rettificazione di sesso, lasciando che sia il Tribunale, nel momento in cui deciderà sulla richiesta, a trasmetterla al comune di matrimonio, per l’iscrizione nel registro delle unioni civili. Al fine di evitare procedure che possano dare adito ad incertezze, viene modificato l’art. 31 del decreto legislativo 1/9/2011 n. 150, prevedendo che i coniugi che non vogliono sciogliere il matrimonio o farne cessare gli effetti civili, nel corso del giudizio di rettificazione di sesso, rendano manifestazione di volontà di costituire unione civile ed il giudice, una volta definito il procedimento, trasmetta all’ufficiale di stato civile del comune di celebrazione del matrimonio o di trascrizione se avvenuto all’estero, l’ordine di iscrivere l’unione civile nel registro delle unioni civili. In questo modo, al momento della definitività della sentenza di rettificazione di sesso, il matrimonio non verrà sciolto ma risulterà costituita unione civile senza alcuna interruzione temporale. Tutto questo, al fine di evitare che l’ufficiale dello stato civile, ricevuta la sentenza, provveda agli adempimenti di competenza, annotando lo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, senza che i coniugi siano messi in condizione di far valere la loro volontà di mantenimento del vincolo.

La costituzione fuori dalla casa comunale o in imminente pericolo di vita

In analogia a quanto previsto dagli artt. 101 e 110 c.c. per il matrimonio, anche la costituzione dell’unione civile può avvenire fuori dalla casa comunale od in imminente pericolo di vita.
La prima ipotesi riguarda l’infermità o grave impedimento che non consenta ad una od entrambe le parti di presentarsi presso l’ufficio di stato civile: siamo in presenza di una situazione nella quale, dopo aver fatto regolare richiesta di costituzione dell’unione civile, se necessario utilizzando anche l’istituto della delega, al momento della costituzione emerga l’impossibilità di recarsi presso la sede comunale, per una infermità (si pensi ad una persona che, per motivi di salute, non possa neanche essere trasportata) o per un diverso impedimento (si pensi ad una persona che si trova in carcere e non viene autorizzata ad uscire, neanche per motivi particolari). Previa specifica istanza delle parti, opportunamente documentata circa l’impedimento, sarà l’ufficiale dello stato civile che uscirà dal proprio ufficio per recarsi nel luogo (che, ovviamente, dovrà trovarsi nell’ambito territoriale del comune, entro il quale sussiste la competenza dell’ufficiale dello stato civile) dove si trovano le parti, recando con se gli atti del registro delle unioni civili, accompagnato dal segretario comunale, per procedere alla costituzione dell’unione civile, alla presenza di due testimoni. Anche nei decreti legislativi viene confermato l’orientamento del Consiglio di Stato sulla previsione di due soli testimoni, ma ricompare la presenza del segretario comunale che non era previsto nel D.p.c.m. n. 144/2016: non si hanno indicazioni sul ruolo ed i compiti che tale figura sia chiamata a svolgere, anche se presumibilmente sottoscriverà l’atto di unione civile per ultimo, così come avviene nel matrimonio fuori dalla casa comunale.
Nel caso di imminente pericolo di vita di una o di entrambe le parti, si prescinde dalla richiesta, dalla documentazione e dagli accertamenti: è sufficiente che le parti giurino che tra loro non esistono impedimenti. L’ufficiale dello stato civile dovrà indicare nell’atto le modalità con le quali sia stato accertato l’imminente pericolo di vita: non vi è dubbio che le parti dovranno presentare apposita certificazione medica dalla quale risulti che una delle parti (od entrambe) sia a rischio vita e l’ufficiale di stato civile si attiverà solamente in presenza di tale indispensabile certificazione. La procedura sarà la stessa prevista per la costituzione dell’unione fuori dalla casa comunale: l’ufficiale dello stato civile si recherà nella sede dove si trova la parte in imminente pericolo di vita ed effettuerà gli adempimenti di costituzione, alla presenza di due testimoni e del segretario comunale.

La certificazione

Viene confermato che la certificazione dell’unione civile avverrà secondo le indicazioni del comma 9 art. 1 legge 76/2016, cioè con documento che contiene anche i dati anagrafici e la residenza dei testimoni, aspetto che rappresenta sicuramente un’anomalia nelle certificazioni ma che non poteva essere evitato essendo previsto nella legge.
Lo stato civile variato dopo la costituzione dell’unione dovrà essere indicato come “unito/a civilmente”.

Il nulla osta per lo straniero e la trascrizione dei matrimoni avvenuti all’estero

L’art. 1 comma 19 della legge n. 76/2016 richiama l’art. 116 c.c. per lo straniero che volesse costituire unione civile in Italia: dovrà presentare un nulla osta rilasciato dalla competente autorità del suo Stato. È facile prevedere che alcuni Stati rilasceranno senza alcuna difficoltà tale documento, addirittura anche di portata più estesa fino ad arrivare a consentire il matrimonio se questo fosse disciplinato dall’ordinamento straniero, mentre altri Stati non potranno mai rilasciare tale documento, dato che l’unione tra persone dello stesso sesso risulterebbe semplicemente non prevista, se non vietata o addirittura ipotesi di reato: in tal caso, l’ufficiale dello stato civile dovrebbe opporre rifiuto. Tuttavia, già il Consiglio di Stato si era espresso con una interpretazione favorevole che richiamava le nostre norme di ordine pubblico(5) , ma tale orientamento viene ripreso ed ampliato nella relazione illustrativa ai decreti legislativi «Più adeguata ad una piena e immediata garanzia dei diritti fondamentali del singolo appare invece considerare contrario all’ordine pubblico (art. 16 legge 218/1995) il mancato rilascio del nulla osta da parte delle autorità straniere e di procedere comunque alla registrazione, essendosi in presenza di un diritto inviolabile il cui esercizio deve essere garantito a tutti. Il richiamo operato dalla legge n. 76 del 2016 (al comma 1) agli artt. 2 e 3 Cost., da un lato, e i vincoli che derivano dalle convenzioni internazionali a salvaguardia dei diritti umani (prima tra tutte la Convenzione europea, nella lettura fornitane dalla Corte europea) inducono a propendere per questa seconda soluzione. Il presente schema contiene pertanto una disposizione ai sensi della quale “ai fini del nulla osta di cui all’art. 116, primo comma, del codice civile, non rilevano gli impedimenti relativi al sesso delle parti” (articolo 32-ter, comma 2, secondo periodo)». Questo conferma la piena applicazione dell’art. 116 c.c. alle unioni civili, ma esclude che il mancato rilascio del nulla osta da parte dello Stato straniero, dovuto esclusivamente al sesso delle parti, possa costituire motivo di rifiuto per l’ufficiale dello stato civile. Si tratta di un’indicazione che dovrà essere tenuta ben presente dall’ufficiale dello stato civile che dovrà indagare e valutare le motivazioni del mancato rilascio del nulla osta da parte dello Stato di appartenenza dello straniero, al fine di comprendere se dipenda da ostacoli od impedimenti alla costituzione dell’unione dell’unione civile o da impedimenti derivanti esclusivamente dal sesso delle parti(6) .
In merito alla trascrizione dei matrimoni omosessuali avvenuti all’estero, viene riaffermato che produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana: si tratta di disposizione che rispetta pienamente il dettato della legge n. 76/2016 e che non presenta problematiche particolari. Ovviamente, una volta riconosciuti gli effetti dell’unione civile, gli stessi decorreranno dalla data di celebrazione all’estero, anche se l’evento fosse avvenuto molto tempo prima della stessa legge. La trascrizione potrà avvenire su richiesta della nostra autorità diplomatica o consolare ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. 396/2000, ma anche su istanza di parte a norma dell’art. 12 comma 11 dello stesso D.P.R. 396/2000.

Fase definitiva

Dopo l’approvazione, pubblicazione ed entrata in vigore dei decreti, dovranno essere emanate con apposito dm le formule per la redazione degli atti nel nuovo registro delle unioni civili che, come detto, sarà composta da una parte prima ed una parte seconda: da quel momento in avanti sarà completato l’iter normativo della disciplina delle unioni civili, superando anche la fase provvisoria. L’ufficiale dello stato civile sarà chiamato a svolgere un ruolo di primo piano, nel dare applicazione pratica alle nuove disposizioni secondo le intenzioni del legislatore: anche questa è la conferma di come gli uffici demografici svolgano una funzione fondamentale nel consentire ai cittadini l’esercizio dei propri diritti.

Le convivenze di fatto: la seconda parte della legge 76/2016

Mentre per le unioni civili è stata prevista dal legislatore una fase provvisoria ed una fase definitività, le convivenze di fatto, l’altro istituto disciplinato dalla legge 76/2016, dal comma 36 al comma 69 dell’art. 1, sono entrata in vigore a decorrere dal 5 giugno 2016: in questo caso, le disposizioni hanno interessato l’ufficio anagrafe, chiamato ad operare in base ad un testo legislativo che presenta numerose incongruenza ed aspetti critici, forse in misura maggiore che nella disciplina delle unioni civili. Il Ministero dell’Interno ha emanato la circolare n. 7 in data 1/6/2016 al fine di fornire le prime istruzioni operative agli ufficiali di anagrafe che, ovviamente, non ha affrontato le difficoltà operative emerse nel corso della prima fase di applicazione della normativa. Occorre anche premettere che le richieste dei cittadini di registrazione della convivenza di fatto, sono state sicuramente inferiori alle previsioni ed alle attese: in realtà, i numeri davvero esigui, hanno dimostrato che il nuovo istituto non ha ottenuto il successo che si ipotizzava e, in molti casi, dopo una fase informativa da parte dei cittadini interessati, non ha fatto seguito alcuna richiesta concreta. Ricordiamo, innanzitutto, che la convivenza di fatto può riguardare indistintamente coppie eterosessuali o dello stesso sesso, a condizione che si tratti di «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile». Questo significa che per poter procedere alla registrazione della convivenza di fatto, debbono essere presenti e sussistenti alcuni requisiti fondamentali che possono essere indicati come soggettivi ed oggettivi: i primi derivano dall’esistenza di legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale a materiale e dalla stabilità di tale unione, mentre i secondi derivano dalla mancanza dei rapporti di parentela, affinità, matrimonio unione civile. A questi ultimi, però, bisogna aggiungere quanto richiesto dal comma 37 dell’art. 1 della legge 76/2016, cioè l’accertamento della stabile convivenza per il quale occorre fare riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del D.P.R. 223/1989: si tratta di un chiaro elemento e presupposto oggettivo la cui sussistenza, in forza dei richiami al regolamento anagrafico (anche se non completamente pertinenti), dovrà essere accertata dall’ufficiale di anagrafe, in base agli stessi principi che disciplinano la famiglia anagrafica e le dichiarazioni anagrafiche.
Gli elementi soggettivi sono condizionanti, nel senso che in mancanza degli stessi non può costituirsi convivenza di fatto a norma della legge 76/2016 e sono rimessi esclusivamente alla dichiarazione delle parti, non potendosi effettuare alcun tipo di accertamento: pertanto la dichiarazione della stabilità dell’unione e dei legami di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, dovrà essere resa personalmente(7) e congiuntamente dalla parti, al fine di richiedere la registrazione come convivenza di fatto. Alla dichiarazione anagrafica, dovrà seguire l’accertamento dell’ufficiale di anagrafe sulla sussistenza dei requisiti oggettivi, cioè sulla mancanza dei rapporti di parentela, matrimonio o unione civile, in base alla documentazione presentata dagli interessati o acquisita o esistente presso l’ufficio, e l’accertamento della convivenza all’indirizzo dichiarato dagli interessati, come avviene per qualsiasi altra iscrizione anagrafica. Nulla vieta che la registrazione di una convivenza di fatto possa avvenire all’interno di una famiglia anagrafica già esistente, in quanto la convivenza di fatto si riferisce solo ed esclusivamente alla coppia unita dai legami indicati dalla legge: ad esempio, in una famiglia anagrafica composta da intestatario scheda, moglie, figlio, compagna del figlio, questi ultimi due potranno chiedere la registrazione della loro convivenza di fatto, che non cambierà i rapporti esistenti con gli altri componenti della famiglia, ma consentirà il rilascio di una specifica certificazione di “conviventi di fatto”. «In altri termini, all’interno di una famiglia anagrafica, composta da più di due persone, può esserci una coppia di conviventi di fatto, legati non da vincoli di parentela, affinità, adozione, tutela o da semplici vincoli affettivi, ma uniti stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale»(8) .
Il concetto di convivenza presuppone la coabitazione: tale aspetto è stato diversamente interpretato dalla recente giurisprudenza «Chiunque abbia avuto modo di leggere l’ordinanza del Tribunale di Milano, sezione nona, del 31 maggio 2016 (est. Giuseppe Buffone) si sarà reso conto immediatamente della logica applicata dal Tribunale, la quale tiene conto della nuova legge e riconosce un effetto rilevante alla registrazione anagrafica della dichiarazione dei conviventi ma, tuttavia, non vi attribuisce valore istitutivo di una nuova formazione famigliare che, al contrario, esisteva “di fatto” anche prima della legge n. 76. “In altri termini - afferma il Tribunale di Milano - il convivere è un “fatto” giuridicamente rilevante da cui discendono effetti giuridici ora oggetto di regolamentazione normativa”. Tant’è che la dichiarazione anagrafica è richiesta dalla legge 76 del 2016 «per l’accertamento della stabile convivenza», quanto a dire per la verifica di uno dei requisiti costitutivi ma non anche per appurarne l’effettiva esistenza fattuale. In pratica, con queste considerazioni intese a supportare la decisione sul singolo caso relativo a due conviventi non sposati e di cui uno addirittura già deceduto e nemmeno di stato libero ma solo legalmente separato, il giudice Giuseppe Buffone ha voluto affermare il diritto della Giurisprudenza di continuare ad applicare principi consolidati da tempo, anche dopo l’approvazione di una apposita legge considerata semplicemente regolatrice di un istituto famigliare già esistente. In pratica, secondo quanto affermato dal Tribunale di Milano, esiste una “mera convivenza” da tutelare anche al di fuori dei casi previsti dalla legge Cirinnà.
Se questa sarà la tesi prevalente o addirittura univoca elaborata dalla dottrina e dalla stessa Giurisprudenza, lo sapremo solo in futuro; al momento interessa capire se queste tesi siano applicabili, in concreto, anche alle funzioni assegnate dalla legge n. 76 del 2016 agli ufficiali d’anagrafe, chiamati in causa, per la prima volta, dai commi 36 e seguenti della legge.
Come ho già avuto modo di osservare, i Tribunali e gli ufficiali d’anagrafe si muovono in due mondi diversi, che hanno un unico vero punto di contatto: il reciproco rispetto delle rispettive competenze e prerogative. Da questo principio fondamentale ne deriva che:
- gli ufficiali d’anagrafe devono applicare la legge sulla base di una rigorosa interpretazione letterale, senza alcuna possibilità, nel caso si tratti di adottare provvedimenti che attengano a diritti soggettivi, di usufruire di alcuna discrezionalità decisionale;
- gli ufficiali d’anagrafe, come tutti gli organi della pubblica amministrazione, devono dare attuazione alle decisioni dei Giudici, che però riguardano il singolo caso sottoposto al loro giudizio, anche qualora la decisione si discostasse da quanto previsto dalla norma di carattere generale»(9) . In sostanza, si ritiene la convivenza stabile sia un elemento imprescindibile per la registrazione della convivenza di fatto: naturalmente, come detto, l’autorità giudiziaria potrà decidere diversamente il singolo caso, ma questo non fa venire meno gli obblighi e gli adempimenti dell’ufficiale di anagrafe.
Conclusa regolarmente la registrazione della convivenza di fatto, la stessa potrà essere oggetto di certificazione da parte dell’ufficiale di anagrafe: deve invece essere previsto un certificato di convivenza di fatto, di contenuto specifico, che potrebbe essere del seguente tenore:

CERTIFICATO DI CONVIVENZA DI FATTO

Comune di .............

CERTIFICATO DI CONVIVENZA DI FATTO
(Art. 1, comma 36, legge 20 maggio 2016, n. 76)

L’Ufficiale D’Anagrafe
Certifica
risultare da questa Anagrafe della Popolazione Residente la seguente
Convivenza di fatto
Nome, Cognome, Nato/a a ............. il ..../..../...., CF ...............................
e
Nome, Cognome, Nato/a a ............. il ..../..../...., CF .................................
costituiscono una convivenza di fatto ai sensi dell’art. 1, comma 36 della legge 20 maggio 2016, n. 76, a seguito di dichiarazione resa all’Ufficiale d’Anagrafe del Comune di .............. in data ..............
In caso di stipula di contratto di convivenza:
“Con atto in data ........... depositato presso il Notaio .......... del Distretto Notarile di ....... (oppure) dell’Avvocato ............ iscritto all’Ordine di ..............., i conviventi di fatto Sig./a ........... e Sig./a............ hanno disciplinato i propri rapporti patrimoniali sottoscrivendo contratto di convivenza ai sensi dell’art. 1 comma 50 e seguenti della legge 20 maggio 2016, n. 76”.
Luogo, ...................
L’ufficiale d’anagrafe
......................................…

Nella certificazione è già previsto che venga indicata la stipula di un contratto di convivenza che presuppone che la convivenza di fatto sia già avvenuta e registrata. In tale ambito emerge una delle più rilevanti incongruenza della legge 76/2016 che, al comma 52 dell’art. 1, prevede che ai fini dell’opponibilità ai terzi, copia del contratto di convivenza debba essere trasmesso al comune di residenza dei conviventi «per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7» del D.P.R. 223/1989: sappiamo che l’art. 5 disciplina le convivenze anagrafiche (ad esempio, la convivenza dei frati in un convento, o la convivenza degli anziani in una casa di riposo) e l’art. 7 disciplina i casi di iscrizione anagrafica (per nascita, per esistenza giudizialmente dichiarata, per trasferimento di residenza, ecc.), e cioè si tratta di richiami normativi completamente infondati e palesemente errati! Ovviamente, gli ufficiali di anagrafe non potranno che riportare nella scheda anagrafica gli estremi del contratto di convivenza e delle variazioni che verranno eventualmente apportate allo stesso, oltre a riportare nella certificazione le relative notizie, ma sarebbe sicuramente auspicabile un chiarimento in merito.


(1) Nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) adeguamento alle previsioni della presente legge delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni; b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l’applicazione della disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo; c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti.

(2) «Del resto, è prassi ampiamente consolidata già per i matrimoni che le funzioni dell’ufficiale di stato civile possano essere svolte da persona a ciò delegata dal sindaco, ad esempio tra i componenti del consiglio comunale, sicché il problema della “coscienza individuale” del singolo ufficiale di stato civile, ai fini degli adempimenti richiesti dalla legge n. 76/2016, può agevolmente risolversi senza porre in discussione - il che la legge non consentirebbe in alcun caso - il diritto fondamentale e assoluto della coppia omosessuale a costituirsi in unione civile». (Consiglio di Stato, Parere n. 01695/2016 del 21 luglio 2016).

(3) 11. Con la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni. 12. Le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato.

(4) «Il figlio maggiorenne che subisce il cambiamento o la modifica del proprio cognome a seguito della variazione di quello del genitore da cui il cognome deriva, … facoltà di scegliere, entro un anno dal giorno in cui ne vengono a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di anteporre ad esso, a loro scelta, quello del genitore».

(5) Consiglio di Stato, parere n. 01695/2016 del 21/7/2016, sullo specifico aspetto della presentazione del nulla osta: «La relazione ministeriale afferma poi che il comma 2 dell’articolo 8 è stato redatto sul modello dell’articolo 116, comma primo, del codice civile e che la disposizione - in attesa della riforma in parte qua del sistema italiano di diritto internazionale privato affidata ai decreti delegati di cui al più volte richiamato comma 28 dell’articolo 1 della legge - è ispirata al principio di non discriminazione degli stranieri e dei loro partner. L’affermazione è sicuramente condivisibile a condizione che la dichiarazione, resa dall’autorità competente dello Stato di appartenenza, di nulla osta all’unione civile, che lo straniero deve presentare all’ufficiale dello stato civile qualora intenda costituire in Italia un’unione civile, non venga interpretata nel senso di includere nelle “leggi cui è sottoposto” lo straniero medesimo anche quelle eventuali disposizioni dell’ordinamento dello Stato di appartenenza che vietino le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Difatti il diritto di costituire un’unione civile tra persone dello stesso sesso, in forza dell’entrata in vigore della legge, è divenuta una norma di ordine pubblico e, dunque, prevale, secondo l’articolo 16 della legge 31 maggio 1995, n. 218 sulle eventuali differenti previsioni di ordinamenti stranieri».

(6) In proposito, si rinvia a R. CALVIGIONI, «La costituzione dell’unione civile da parte del cittadino straniero in Italia», in I servizi demografici, 2016, 9.

(7) Si ritiene applicabile alla dichiarazione di parte l’istituto della rappresentanza previsto dall’art. 38 comma 3-bis del D.P.R. 445/2000.

(8) R. CALVIGIONI, L. PALMIERI, T. PIOLA, La nuova disciplina delle unioni civili e delle convivenze, Rimini, 2016, p. 123.

(9) R. MINARDI, «Le convivenze di fatto. Profili giuridici di un istituto nuovo per l’anagrafe ma non per la Giurisprudenza. Prima parte», in pubblicazione su I servizi demografici, 2017, 1-2.

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