Atti di destinazione e negozio fiduciario comparati con l’affidamento fiduciario
Atti di destinazione e negozio fiduciario comparati con l’affidamento fiduciario
di Aurelio Gentili
Ordinario di Diritto civile, Università di Roma Tre
I modelli giuridici di potere sui beni per la realizzazione di interessi altrui
È comune esperienza che per valutare una costruzione complessa si debba osservarla da una certa distanza, e compararla con quelle contigue. Per questo - credo - chi volge l’attenzione alla costruzione dottrinale del contratto di affidamento fiduciario(1) fa bene ad intrattenersi prima su un antico artefatto quasi dismesso, come il negozio fiduciario(2), e su uno moderno poco riuscito, come l’atto di destinazione(3).
Essendo a priori evidenti le differenze, la prima cosa da dire è in che senso essi possano dirsi contigui. Ma la risposta non è difficile: in tutti e tre emerge uno stesso fenomeno, che vale a caratterizzarli come genere comune, ma vale anche a problematizzarli: lo scopo di porre in essere un ‘ufficio di diritto privato’ dotato di pieno potere sui beni. Di costruire cioè un ruolo giuridico stabile, non legato all’intuitus (fiducia) verso un particolare soggetto, non legato alle caratteristiche di un particolare bene (vincolo destinatorio), che assicuri una piena capacità gestionale, anche trasmissibile, di un complesso patrimoniale anche modificabile, e giuridicamente funzionalizzata all’interesse altrui.
Questa è appunto l’ambizione della proposta dottrinale del contratto di affidamento fiduciario: su base negoziale l’affidante attribuisce all’affidatario un fondo, composto di beni di cui questi potrà disporre pienamente ma solo strumentalmente allo scopo, venendo sostituito ove rinunzi, abusi, non operi, ad iniziativa dello stesso affidante o di un terzo che agisce come garante. Non entro più analiticamente nel merito, non essendo il compito di queste pagine.
Mi limito a segnalare che un potere di gestione pieno come quello del proprietario, ma limitato internamente dalla finalizzazione all’interesse altrui per il quale è attribuito, è anche l’anima del contratto fiduciario e, almeno laddove la gestione del bene destinato sia confidata ad un gestore, del negozio di destinazione patrimoniale atipica. Ma proprio qui si è rivelata la difficoltà che ha minato il successo di queste figure. Un pieno potere sui beni presuppone da noi la proprietà. Ma il nostro sistema è per tradizione basato sulla proprietà come diritto soggettivo, e il diritto soggettivo vuole coincidenza nello stesso soggetto dell’interesse e del potere: proprio ciò che lo scopo fiduciario o destinatorio - legato ad un interesse altrui - esclude. Possiamo considerare il fiduciario un proprietario (formale), e quindi dotato di pieni poteri, ma allora non giuridicamente funzionalizzati. Possiamo considerare il gestore della destinazione (sia il destinante o un terzo da lui officiato) titolare solo di un potere limitato dal vincolo, ma allora non capace di ogni atto gestionale eventualmente utile. Pieno potere e piena funzionalizzazione non sembrano coniugabili, né nella fiducia né nella destinazione. Per attingere per quanto possibile questa coniugazione, fiducia e destinazione creano modelli - non sempre felici - in cui il potere su dei beni di chi non ha l’interesse deve e può realizzare interessi altrui. Esse tendono cioè a replicare più o meno ampiamente aspetti del modello del trust(4), per porre in essere un ‘ufficio di diritto privato’ suscettibile di sopravvivere alla persona investitane, dotato di pieno potere di impiego e disposizione dei beni, e fornito di rimedi contro l’inerzia e gli abusi. Un modello di cui il nostro ordinamento sente come gli altri il bisogno, ma non possiede lo strumento(5).
Ma - come vedremo - l’imitazione è rimasta lontana dall’originale.
In questa chiave è possibile esaminare in rapporto al contratto di affidamento fiduciario il negozio fiduciario e l’atto di destinazione, e poi compararli.
Il negozio fiduciario
Denominazioni di uno stesso dato metagiuridico, come “Fiducia”, “Fiducie”, “Treuhand”, sono divenute espressioni tecniche che individuano un patto inteso a trasformare in una funzione la titolarità(6), per consentire al fiduciario di impiegare a vantaggio altrui (un terzo o lo stesso fiduciante), e poi fargli pervenire, beni per lo più ricevuti dal fiduciante. In mancanza di norme regolatrici, la fiducia è - almeno in origine - una creazione della prassi, e un concetto della dottrina e della giurisprudenza. Se ne distinguono più generi, secondo lo scopo o secondo la struttura, statica e dinamica, cum creditore e cum amico. Ma qui sorvoleremo(7), per fermarci sulle caratteristiche generali.
Anzitutto, è pacifico che la fiducia possa investire qualsiasi tipo di situazione giuridica(8). Quanto poi alla meritevolezza di tutela è affermazione comune la liceità del fenomeno fiduciario in sé, se non volto a scopi fraudolenti. Ma in esso è in gioco non tanto la liceità degli scopi(9)quanto, come ora vedremo, la legittimità delle forme giuridiche finalizzate alla dissociazione del diritto dall’interesse(10).
Così non è, per la verità, nella prospettiva più risalente, in cui veramente “fiduciari” sarebbero solo i negozi che i contraenti affidino esclusivamente a forze metagiuridiche: onestà, rispetto, lealtà(11). Ma dal punto di vista giuridico ciò è insoddisfacente, perché lascia scoperto il problema dell’abuso, e insufficiente, perché non esaurisce la categoria. Di qui, nella visione classica, detta fiducia romanistica e intesa alla completa emersione giuridica dell’operazione, una struttura dualistica, in cui un negozio traslativo di diritti è corretto da un patto obbligatorio, solitamente segreto, che impegna l’avente causa ad usare le piene facoltà trasmessegli solo in modo conforme alle istruzioni del fiduciante.
In questa costruzione è stata rilevata una duplice fallacia.
Anzitutto l’astrattezza causale del trasferimento: si è osservato che il trasferimento a favore del fiduciario ha solo la funzione di legittimarlo esternamente ad operare, e la “compravendita”, o la “donazione” formalmente stipulate non realizzano davvero uno scambio o un intento liberale. Pertanto, sono in realtà negozi astratti, da noi non ammessi fuor dai casi di legge, e quindi invalidi(12). L’invalidità del trasferimento sarà superata solo laddove, come per la circolazione dei titoli di credito, sia stralciata la causa del trasferimento o, come per i mobili, laddove il possesso in buona fede conseguito surroghi un valido titolo o, - infine - come in Germania, laddove siano invece ammessi negozi traslativi astratti(13). Poi l’efficacia meramente obbligatoria del patto e quindi la possibilità di rimediare all’abuso del fiduciario solo in via risarcitoria. Anche ammesso (da vedere però come) il valido trasferimento della titolarità, questa è giuridicamente piena, e nulla impedisce al fiduciario acquirente di valersene in modo difforme dal patto fiduciario, anche se l’introduzione in taluni ordinamenti di norme che (come, nel codice civile italiano l’art. 2932), rendono coercibile l’impegno del fiduciario(14)fino al limite sempre insuperabile della tutela dei terzi, può rimediarvi nel mero caso di inerzia.
La difficoltà costruttiva sottesa alla concezione dualista sarebbe superata se si aderisse all’idea, monista, del negozio fiduciario come unitario contratto traslativo atipico caratterizzato dalla causa fiduciae: ammessa la sua meritevolezza sarebbe lo scopo fiduciario stesso a sorreggere causalmente l’operazione e conformare il potere(15). La tesi, che risolve il problema della astrattezza causale del trasferimento, a giudizio dei più non supera però l’obiezione che se il novero delle cause idonee al trasferimento della proprietà non è numerus clausus, lo è negli ordinamenti europei quello dei diritti reali: ciò che non si può ammettere è proprio una proprietà temporanea e funzionale(16), salvo quando essa sia prevista dalla legge, come nella disciplina delle società fiduciarie e del mercato finanziario.
Di qui il tentativo di importare da noi un diverso modello di fiducia, definito fiducia germanistica, ma considerato in Germania unechte Treuhand, che trae fondamento da una particolarità dell’ordinamento tedesco. In deroga alla regola del § 137 B.G.B., espressiva del diffuso principio di inammissibilità di divieti negoziali di alienazione, la regola contenuta nel § 185 B.G.B. consente che anche il non titolare (Nichtberechtigter) possa compiere validamente atti di disposizione sul bene se ottenga l’autorizzazione (Ermächtigung) o il consenso (Einwilligung) del titolare(17).
Tale modello - inapplicabile in via diretta e relativamente a beni immobili e altri mobili -, è spesso invocato da noi per le operazioni fiduciarie su titoli di credito, rispetto ai quali la legge di circolazione del diritto incorporato nella chartula, consente l’attribuzione astratta del diritto al fiduciario, purché siano rispettate le forme richieste per ciascun tipo di titolo di credito. Ma l’interno rapporto può vincolare l’attributario ad un esercizio limitato dei diritti incorporati nel titolo, finalizzato all’interesse del fiduciante, come avviene nella girata piena destinata al mero incasso, nell’attribuzione della partecipazione sociale al fine del mero esercizio di alcune prerogative del socio, e via dicendo. Di qui, si sostiene, un modello di fiducia consistente nella scissione tra legittimazione e appartenenza.
Ma taluno respinge l’idea che questa sia vera “legittimazione”: la semplice legittimazione passiva a ricevere che consente al debitore di liberarsi se paga al legittimato, viene trasformata in una legittimazione attiva, che non è più mera presunzione di titolarità del diritto, ma vera titolarità(18). Altri invece nega che la proprietà (fiduciaria) si trasferisca al “legittimato” ed osserva che nel rapporto interno questi non ha alcun diritto da opporre ed il suo ruolo è quello di un mandatario(19).
Oltreché nei contratti di scambio e di finanziamento, la fiducia trova nella prassi applicazione anche nei rapporti familiari e successori (fiducie-liberalitè). Ma qui i limiti al patto fiduciario sono anche più stretti. Il principale problema è la compatibilità di incarichi fiduciari da attuare post mortem, con il sistema successorio(20)ed in specie con il divieto di patti sulla propria successione, come tali nulli(21). L’obbligo di ritrasferimento del fiduciario d’altronde, realizzando un mandato post mortem, incapperebbe (secondo alcuni(22)) nei limiti frapposti dal codice con l’art. 1722, n. 4, per il quale la morte del mandante estingue il mandato, e quindi gli obblighi che ne conseguono; sicché qui l’incarico sarebbe comunque nullo per impossibilità giuridica.
Il legislatore italiano è intervenuto inoltre per restringere nelle successioni la potenziale rilevanza del patto fiduciario, che così attinge i suoi effetti solo grazie allo spontaneo adempimento del fiduciario. L’art. 627 c.c., infatti, nega azione a chi voglia far risultare che l’attribuzione per via testamentaria della titolarità di beni è solo “apparente” (il che la dice lunga su come il legislatore considerava la situazione di titolarità del fiduciario) e riguarda in realtà altra persona (a meno che si tratti di un incapace a ricevere); e ciò anche quando le espressioni usate lascino presumere un caso di interposizione. L’incarico fiduciario trova dunque tutela solo come obbligazione “naturale”: il secondo comma dell’art 627 cit. infatti applica all’esecuzione spontanea la stessa regola di divieto di ripetizione che è comminata per l’esecuzione di doveri morali e sociali (art. 2034 c.c.). Salvo per gli incapaci, che invece possono ripetere.
Scevre da dubbi restano così solo le ipotesi di fiducia ‘legale’ per le operazioni che trovano diretta considerazione nella legge, spesso in deroga ai principi comuni(23).
Caso preminente quello dei fiduciari professionali, che si incontra nell’attribuzione a società fiduciarie di valori mobiliari per fini di amministrazione o gestione, e nell’attività di intermediazione nel mercato mobiliare(24).
Nelle situazioni “fiduciarie” della tradizione, vale a dire le consuete ipotesi di fiducia, dinamica e statica, ai dubbi sulla tenuta della costruzione si aggiungono quelli sulla disciplina. Ci si domanda che accada allorché il fiduciario, tanto che abbia conseguito il bene oggetto dell’operazione dal fiduciante, quanto che lo abbia ricevuto aliunde, o già lo detenesse, ne disponga - secondo i casi - secondo o contro il patto fiduciario, magari coinvolgendo i terzi.
Viene in considerazione anzitutto il problema del rapporto tra fiduciante e fiduciario. La tradizione limitava la tutela del fiduciante al risarcimento del danno, tanto nel caso di inerzia che nel caso di attività estranea all’incarico fiduciario. Di qui la possibilità dell’abuso e la persistente rilevanza pratica della fiducia per la realizzazione degli scopi. La situazione è in parte coercibile per effetto degli artt. 1706 e 2932 c.c. Il primo, che legittima il mandante a rivendicare i beni mobili e a chiedere il trasferimento coattivo degli immobili, acquistati per suo conto dal mandatario, grazie alla riconduzione a un mandato del patto fiduciario può essere esteso al fiduciante(25). Il secondo, che consente l’esecuzione forzata dell’obbligo di spendere una volontà negoziale di contenuto predeterminato, attraverso la sua sostituzione con una sentenza costitutiva, permette al fiduciante di ottenere il trasferimento coattivo del bene a sé (non invece l’accertamento della sua proprietà)(26), e si tende a non escludere che possa - con il concorso del terzo beneficiario nell’azione - ottenere anche il pattuito ritrasferimento a questo(27). Va poi notato che la protezione del fiduciante in caso di alienazione a terzi non conosce(28)altro rimedio che il risarcimento per equivalente monetario da parte del fiduciario(29). Sono infatti da escludere effetti esterni del patto fiduciario, che se anche cognito determina al massimo una partecipazione del terzo all’abuso ma non l’inefficacia della cessione abusiva (ma la giurisprudenza sull’abuso del diritto si va evolvendo). Cosicché contro i terzi il fiduciante non avrebbe né azione reale (rivendicazione), né possibilità di contestare l’acquisto come avvenuto a non domino (se in mala fede), né (se il patto è incognito) azione personale (risarcimento)(30).
Quanto al concorso del fiduciante che voglia recuperare i beni dati in fiducia con i creditori del fiduciario che pretendono di soddisfarsi sul patrimonio di questo, e quindi anche sui beni a lui intestati in fiducia, la regola basilare (sempre prescindendo qui da norme speciali di forme di fiducia legale) non può che essere quella del concorso paritario; salve ovviamente cause legittime di prelazione e salvo il beneficio che il fiduciante ottiene in questo senso dalla previa trascrizione della domanda di ritrasferimento coattivo.
Per converso, ai creditori del fiduciante sono offerte azioni revocatorie contro il negozio fiduciario che ne depauperi la garanzia e surrogatorie contro gli abusi del fiduciario che il fiduciante non provi a reprimere.
Facile la conclusione: gli strumenti fiduciari non consentono la piena emersione e l’efficacia reale del vincolo. Come scriveva Regelsberger il mezzo (la proprietà) eccede lo scopo (il programma), con quel che ne consegue. E solo la personale fiducia, non il diritto, può assicurare il risultato.
Ma se bastasse la fiducia il diritto non sarebbe stato inventato.
La destinazione patrimoniale atipica
Una innovazione legislativa di dodici anni fa ha introdotto nel codice, tra le disposizioni dedicate alla trascrizione, una nuova fattispecie. Il sistema già conosceva fattispecie speciali di vincolo di destinazione: la fondazione, il fondo patrimoniale familiare, il patrimonio della SpA dedicato ad uno specifico affare, il fondo pensioni. L’art. 2645-ter c.c. introduce la figura generale: la possibilità della destinazione patrimoniale atipica di beni soggetti a pubblicità, istituita e conformata dall’autonomia privata ed opponibile erga omnes se il negozio istitutivo è trascritto(31).
Ciò colma una lacuna: la destinazione infatti altro non è che una delle due forme, con l’alienazione(32), del disporre. Strumenti normali l’uno e l’altro dell’autonomia privata; ma il primo da sempre ampiamente riconosciuto, ed il secondo invece da noi fino a questa innovazione confinato ad ipotesi speciali. Sorvolando qui, per brevità, sugli aspetti non specificamente attinenti al discorso, i punti da considerare ai fini di un raffronto sono la costituzione e l’attuazione del vincolo.
La specificità della fattispecie è che in essa l’autonomia privata opera, in relazione a fini di qualsiasi natura non - come nella fiducia - vincolando (ma solo obbligatoriamente) l’altrui comportamento, ma imprimendo uno specifico regime giuridico dei beni, che vale e circola con essi.
Occorre sottolineare l’atipicità della destinazione: qualunque vantaggio lecito di uno o più soggetti o di una collettività (determinata) che materialmente possa essere perseguito destinando loro un bene o le sue utilità è motivo possibile di destinazione atipica. Né va sopravvalutata la scoria di lavorazione del drafting legislativo che ha fatto residuare il riferimento a disabili e P.A. dopo l’estensione a qualsiasi persona o ente(33).
I limiti all’impiego di uno strumento che - altrimenti - potrebbe risolvere almeno alcuni casi di gestione nell’interesse altrui derivano da una restrizione e da una omissione, diffuse in dottrina.
La restrizione è in ciò, che si intende da molti il richiamo legale alla meritevolezza di tutela come esclusione di qualsiasi scopo che non si connoti per un particolare valore etico-sociale. In questo discorso il punto (che disattenderei) non è però di concreto rilievo, anche se è ovvio che possano esservi molti casi di destinazione per leciti scopi privati che non sono però anche scopi di particolare valore sociale.
Più rilevante l’omissione. Che ci porta ad analizzare l’attuazione della destinazione: il profilo sotto il quale la destinazione più si allinea all’affidamento fiduciario.
La dottrina trascura di approfondire la possibilità che il destinante affidi a terzi (cedendo o conservando la titolarità di un bene che comunque sente il vincolo) le attività di gestione necessarie alla realizzazione dello scopo. È questa, come è facile intendere, la casistica che rileva per la comparazione con la fiducia e con l’affidamento fiduciario, perché riproduce l’affidamento a terzi di una attività nell’interesse altrui che connota entrambe queste figure.
Questa possibilità esiste, ma entro limiti assai più circoscritti di quelli perseguiti (ma spesso non raggiunti) con il negozio fiduciario e oggi con l’affidamento fiduciario.
Un ‘ufficio di diritto privato’ del terzo gestore può nella destinazione derivare da un mandato (ma anche da altri rapporti con il destinante). Di esso però sconta almeno in parte i limiti consueti. I suoi tradizionali limiti quanto al potere di disporre dei beni sono evidentemente superati dalla destinazione che su essi si imprime. Il gestore però potrà solo impiegarli (ad es. metterli a reddito e utilizzare le rendite a vantaggio del beneficiario), non consumarli, né sostituirli, neppure quando ciò sarebbe utile per gli scopi. Il vincolo tuttavia protegge almeno i beni dalle azioni esecutive dei creditori del destinante che non siano tali in rapporto agli scopi della destinazione (creditori generali).
È discutibile se ciò faccia dei beni destinati un vero patrimonio separato e segregato. I fautori della tesi corrente ritengono che tale separazione patrimoniale sarebbe scritta nel codice laddove prescrive che con la trascrizione del vincolo i beni destinati sfuggano alla responsabilità e alla garanzia a favore dei creditori generali e rispondano solo ai creditori tali per lo scopo di destinazione. Per questo i beni destinati creerebbero un patrimonio separato per unilaterale volontà del destinante.
A me non pare che sia così. Nella lettera del codice non è affatto scritta la limitazione della responsabilità patrimoniale, ma piuttosto che, purché trascritti prima, «i beni conferiti … possono costituire oggetto di esecuzione … solo per debiti contratti per tale scopo» cioè per lo scopo di destinazione. Si scambia dunque una cosa per un’altra: la esenzione da responsabilità che è essenza della separazione con l’esenzione dall’esecuzione. E questa è secondo le regole, che distinguono i modi della conservazione della garanzia patrimoniale secondo che i beni siano presenti o futuri. La titolarità del destinante è bene presente. Il recupero del bene e del valore destinato è bene futuro. Il bene destinato soggiace interamente alla responsabilità ed alla garanzia, ma nelle forme usuali per l’uno e l’altro tipo di beni: come ogni bene “futuro” (tale è il recupero al destinante) sarà insuscettibile di esecuzione quando recuperato, ma è soggetto a surrogatoria (e quindi “respinto”) se il destinante è inerte. Sui beni destinati da recuperare le azioni conservative sono sempre possibili(34), e impossibili sono solo, finché il bene non rientra, come sempre sui beni futuri, solo le azioni esecutive e satisfattive(35).
Per converso, il contratto di affidamento fiduciario intende fare dei beni affidati proprio un patrimonio separato.
Altri limiti alla configurazione nella destinazione di un ufficio di diritto privato sono nel fatto che l’ufficio del terzo gestore non sopravvivrà - trasferendosi ad altri - né alla sua sopravvenuta morte o incapacità, né alla morte del destinante-mandante. Al contrario di quanto persegue l’affidamento fiduciario.
Inoltre, l’inerzia o l’abuso, grazie alla previsione legale della legittimazione di qualunque interessato ad agire per la realizzazione dello scopo, sono largamente reprimibili, anche senza iniziativa del destinante; ma ancora una volta non trovano rimedio altro che nella risoluzione del mandato, e nelle azioni risarcitorie, lasciando insoddisfatto il compito gestionale. E anche questo è un effetto frustrante, che l’affidamento fiduciario vuole evitare.
Ne segue la constatazione della possibilità, ma molto limitata, di impiego della destinazione atipica allo scopo di conferire un ampio potere su dei beni per realizzare interessi altrui. Forse non così limitata come le diffidenze ed ideologie della dottrina dominante vorrebbero. Ma comunque ontologicamente incapace di porsi, se non in pochi casi, come strumento universale allo scopo.
Il busillis
Il quadro delineato si completa con una domanda ed una risposta.
La domanda è: dov’è la radice delle insufficienze che affossano negozio fiduciario e destinazione atipica come strumenti di efficiente attribuzione a terzi di potere su beni per la realizzazione di interessi altrui? Mi pare che la risposta sia: il negozio fiduciario per sua natura vincola, e debolmente, la specifica persona del fiduciario, non il suo potere; la destinazione atipica vincola uno specifico bene, non consumabile o sostituibile, e non l’attività gestoria. Mentre quel che si richiede è proprio un vincolo forte del ruolo, o ufficio, ma sostenuto da pieni poteri sui beni, a prescindere dalla persona o dal bene. Quelle figure dunque riescono solo in piccola parte e male a darci ciò che serve.
Un vincolo forte del ruolo o ufficio, sostenuto da pieni poteri sui beni, a prescindere dalla persona o dal bene è - se intendo bene - proprio il novum cui tende il modello dell’affidamento fiduciario.
Possiamo e dobbiamo verificare se esso soddisfi tutte le condizioni. Ma - mi pare - orientati finché possibile a favorirne il successo. Sarebbe un modo di colmare una lacuna del nostro ordinamento rispetto agli altri dell’area occidentale. E sarebbe la logica conclusione di un percorso storico.
Un percorso iniziato quando la fiducia ha tentato di forgiare lo strumento per lo scopo che fosse buono per il diritto, e che si concluderà quando il diritto forgerà lo strumento per lo scopo che sia buono per la fiducia.
(1) M. LUPOI, Il contratto di affidamento fiduciario, Milano, 2014.
(2) F. REGELSBERGER, «Zwei Beiträge zur Lehre von der Zession», in Arch. f. d. civ. Prax., LXIII, 1890, p. 172 e ss., p. 173; E. GIANTURCO, Delle fiducie nel diritto civile italiano (1882), in Opere giuridiche, I, Roma, 1947, p. 20 e ss.; F. FERRARA, I negozi fiduciari, in Scritti in onore di Scialoja, 1905, p. 745 e ss.; G. MESSINA, I negozi fiduciari, (1910), in Scritti giuridici, Milano, 1948; A. GRAZIANI, «Negozi indiretti e negozi fiduciari», in Riv. dir. comm., 1933, p. 414 e ss.; L. CARIOTA FERRARA, I negozi fiduciari, Padova, 1933; C. GRASSETTI, «Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico», in Riv. dir. comm., 1936, I, p. 945; S. PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto civile - Metodo, Teoria, Pratica, Saggi, Milano, 1951, p. 201 e ss.; N. LIPARI, Il negozio fiduciario, Milano, 1964; V.M. TRIMARCHI, Negozio fiduciario, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 33 e ss.; U. CARNEVALI, Intestazione fiduciaria, in Diz. dir. priv., a cura di N. Irti, Dir. civ., 1, 1980, p. 455 e ss.; ID., Negozio giuridico. III) Negozio fiduciario, in Enc. giur., XX, Roma, 1990; G. CRISCUOLI, «Fiducia e Fides in diritto privato», in Riv. dir. civ., 1983, I, p. 136 e ss.; M. GRAZIADEI, «Proprietà fiduciaria e proprietà del mandatario», in Quadr., 1990, I, p. 1 e ss.; U. MORELLO, «Fiducia e trust, due esperienze a confronto», ivi, 1990, p. 239 e ss.; A. GENTILI, Società fiduciarie e negozio fiduciario, Milano, 1978; ID., La fiducia, in Manuale di dir. priv. eur., II, Proprietà. Obbligazioni. Contratti, Milano, 2007, p. 607 e ss.; L. SANTORO, Il negozio fiduciario, Torino, 2002; da ultimo E. GINEVRA, La partecipazione fiduciaria in SpA, Torino, 2012, spec. nei, cap. II e III. Per la sua nozione in diritto romano V. ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Napoli, 1934, p. 297; V. O. CARRELLI, Fiducia, in Nuovo Dig. it., V, Torino, 1938, p. 1131 e ss.; G. GROSSO, Fiducia (diritto romano), in Enc. dir., XVII, Milano, 1978, p. 384 e ss.; F. BERTOLDI, Il negozio fiduciario nel diritto romano classico, Modena, 2012.
(3) F. ALCARO, Unità del patrimonio e destinazione di beni, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, a cura di Mir. Bianca, Milano, 2007, p. 105 e ss.; G. BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art 2645-ter c.c.», Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, in questa rivista, 2007, p. 145 e ss.; M. BIANCA, «L’atto di destinazione: problemi applicativi», in Riv. not., 2006, p. 1175 e ss.; G. CIAN, Riflessioni intorno ad un nuovo istituto del diritto civile: per una lettura analitica dell’art. 2645- ter c.c., in Studi Mazzarolli, Padova, 2007, I, p. 81 e ss.; R. CLARIZIA, L’art. 2645-ter c.c. e gli interessi meritevoli di tutela, in Studi Cian, Padova, 2010, p. 548 e ss.; A. DI MAJO, Il vincolo di destinazione tra atto e effetto, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 111 e ss.; R. DI RAIMO, Considerazioni sull’art. 2645-ter c.c.: destinazione di patrimoni e categorie dell’iniziativa privata, in Studi Comporti, Milano, 2008, II, p. 1147 e ss.; A. FUSARO, «La posizione dell’accademia nei primi commenti all’art. 2645-ter c.c.», in Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, cit., p. 30 e ss.; G. GABRIELLI, «Vincoli di destinazione importanti separazione patrimoniale e pubblicità nei registri immobiliari», in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 321 e ss.; M. IEVA, «La trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o a altri enti o persone fisiche (art. 2645-ter c.c.) in funzione parasuccessoria», in Riv. not., 2009, p. 1289 e ss.; U. LA PORTA, «L’atto di destinazione di beni allo scopo trascrivibile ai sensi dell’art. 2645- ter c.c.», ivi, 2007, p. 1067 e ss.; A. LUMINOSO, «Contratto fiduciario, trust e atti di destinazione ex art. 2645-ter c.c.», ivi, 2008, p. 993 e ss.; M. LUPOI, «Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645-ter c.c. quale frammento di trust», ivi, 2006, p. 467 e ss.; M. NUZZO, Atti di destinazione e interessi meritevoli di tutela, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 60 e ss.; G. OPPO, «Brevi note sulla trascrizione dell’atto di destinazione (art. 2645-ter c.c.)», in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 1 e ss.; G. PALERMO, La destinazione di beni allo scopo, in La proprietà e il possesso. Dir. civ., dir. da N. Lipari e P. Rescigno, II, Milano, 2009, p. 388 e ss.; R. QUADRI, «L’art. 2645- ter c.c. e la nuova disciplina degli atti di destinazione», in Contr. impr., 2006, p. 1717 e ss.; F. ROSELLI, «Atti di destinazione del patrimonio e tutela del creditore nell’art. 2645-ter c.c.», in Giur. mer., Suppl., 2007, p. 41 e ss.; C. SCOGNAMIGLIO, Negozi di destinazione, trust e negozi fiduciari, in Studi Cian, cit., 2, p. 2313 e ss.; P. SPADA, Conclusioni, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 201 e ss.; G. VETTORI, «Atto di destinazione e trust: prima lettura dell’art. 2645-ter c.c.», in Obbl. e contr., 2006, p. 775 e ss.; ID., Atto di destinazione e trascrizione. L’art. 2645-ter c.c., in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 171 e ss.; Atti di destinazione e trust. Art. 2645-ter c.c., a cura di G. Vettori, Padova, 2008; A. ZOPPINI, «Destinazione patrimoniale e trust: raffronti e linee per una ricostruzione sistematica», in Riv. dir. priv., 2007, p. 721 e ss.
(4) M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001; Atti di destinazione e trusts, a cura di G. Vettori, Padova, 2008; D. ZANCHI, Teoria e pratica dei trusts. Profili civilistici, Torino, 2008; L. GATT, Dal trust al trust. Storia di una chimera, Napoli, 2009; A. GALLARATI, La pubblicità del diritto del trustee, Torino, 2012; Dal trust all’atto di destinazione, a cura di Mir. Bianca e A. de Donato, Milano, 2013; A.C. DI LANDRO, Trusts e separazione patrimoniale nei rapporti personali e familiari, Napoli, 2010.
(5) Sono noti i limiti alla penetrazione da noi incontrati dal trust pur dopo il recepimento della Convenzione dell’Aja.
(6) Nelle leggi italiane la fiducia è ricordata in una sola disposizione successoria (art. 627 c.c.). Per la visione più classica rinvio, oltre gli AA. cit., a G. CRISCUOLI, «Fiducia e fiducie in diritto privato: dai negozi fiduciari ai contratti uberrimae fidei», in Riv. dir. civ., 1983, I, p. 136 e ss.; A. DE MARTINI, «Negozio fiduciario, negozio indiretto e negozio simulato», in Giur. compl. Cass. civ., XXII, 1946, 2, p. 705 e ss.; U. MORELLO, Fiducia e negozio fiduciario: dalla “riservatezza” alla “trasparenza”, in I Trusts in Italia oggi, a cura di Beneventi, Milano, 1966. In Francia per l’impostazione precedente v. Cl. WITZ, La fiducie en droit privé français, ed. ec., 1984; E. M. MASTROPAOLO, «La fiducie nel diritto positivo francese», in Riv. dir. civ., 2000, I, p. 35 e ss.; M. GRIMALDI, «Riflessioni sulla fiducia nel diritto francese», in Quadrimestre, 1990, p. 273 e ss.; C. LARROUMET, «La fiducie- Une revolution dans notre droit», in Banque & Droit, I parte,1990, p. 239 e ss., II parte, 1991, p. 1 e ss.) il fenomeno è oggi regolato dalla L. n. 2007/211 del 19 febbraio 2007. Quanto alla Germania, norme particolari (il § 185 del B.G.B.) regolano casi speciali di cui si dirà, ma la figura generale (Fiduzie), del tutto analoga a quella della tradizione romanistica, trova anche qui definizione e disciplina nell’elaborazione scientifica (G. NICKEL SCHWEIZER, Rechtsvergleichender Beitrag zum fiduziarischen Eigentum in Deutschland und in der Schweiz, Basel und Stüttgart, 1977; R. REINHARDT, P. ERLINGHAGEN, Die Rechtsgeschäftliche Treuhand - ein Problem der Rechtsfortbildung, in Juristische Schulung, München - Frankfurt a.M., 1962, p. 41 e ss.; A. SCHULTZE, Treuhänder im geltenden bürgerlichen Recht, in Jherings Jahrb, LXIII, 1901, p. 1 e ss.; G. WALTER, Das Unmittelbarkeitsprinzip bei der fiduziarischen Treuhand, Tübingen, 1974; R. MARTUCCI, «Proposte per una considerazione del negozio fiduciario alla luce del diritto tedesco vigente e della rei vindicatio utilis romana», in Riv. dir. comm., 1991, p. 479 e ss.). I Principi del diritto contrattuale europeo contengono una disposizione (art. 4:109, primo comma) in base alla quale può essere chiesto l’annullamento del contratto concluso con un altro contraente cui si era legati da rapporto di fiducia, se questi ne ha approfittato consapevolmente: la norma, visibilmente pensata per altre fattispecie, potrebbe esser estesa interpretativamente o applicata per analogia agli abusi del fiduciario. Dissimile è invece la soluzione del diritto inglese, organizzata intorno all’istituto di Equity del Trust (M. LUPOI, op. ult. cit.), che - quando necessario - riesce a realizzare un sistema intersoggettivo di rapporti e tutele che concilia la legal ownership del trustee, vista dall’Equity come non piena perché funzionale, con l’equitable ownership del beneficiario: il risultato cui tendono senza pervenirvi del tutto le forme correnti di negozi fiduciari. Per queste ragioni il trust in passato tendeva a riprodursi in forme surrettizie ad iniziativa di operatori specializzati in altri Paesi, e tende ora a diffondersi grazie alla Convenzione dell’Aja. Potrebbero quindi essere realizzate per questa via, ma con altri problemi, operazioni tradizionalmente qualificate come fiduciarie. Per un quadro generale v. Cl. WITZ, La fiducie en europe: France, Suisse, Luxembourg, Allemagne, Liechtenstein. Analyse des lois existantes et des projets en cours, Bruxelles, 1997.
(7) Guardando agli scopi la fiducia cum amico, detta in Germania Verwaltungstreuhand e in Francia fiducie-gestion, o fiducie-pure, è contraddistinta dalla finalizzazione alla soddisfazione di interessi del fiduciante, e sostanzialmente consiste in un’attività gestoria del fiduciario nell’interesse del fiduciante, su beni sui quali si riconosce il preminente interesse di quest’ultimo; attività che può andare dalla mera interposizione nell’intestazione, al deposito, ad attività amministrativa, fino ad atti di disposizione, ma con finale restituzione del patrimonio fiduciario al fiduciante o alla persona da questo indicata. La fiducia cum creditore, anche detta Sicherungstreuhand o fiducie-sureté, o fiducie-mixte, è invece caratterizzata dallo scopo di soddisfare interessi del fiduciario, quale creditore del fiduciante, attribuendogli la titolarità di un bene con il quale il fiduciario garantisce il proprio credito in caso di inadempimento. Accanto a questi si incontra la fiducie-liberalité, perlopiù ritenuta riconducibile alla fiducia gestione di cui è specie da noi la fiducia testamentaria dell’art. 627 c.c.; nonché plurime forme di fiducia legale: un ossimoro in cui si possono ricomprendere tanto il paragrafo 185, I Abs, del B.G.B. che prevede l’efficacia degli atti di disposizione compiuti da chi non sia titolare del diritto con il consenso del titolare, quanto le leggi speciali che regolano ovunque le attività patrimoniali “fiduciarie” di professionisti (società fiduciarie, intermediari di valori mobiliari, organismi di investimento collettivo, e simili). Guardando invece alla struttura, si distingue la fiducia cum amico in dinamica, detta echte (o eigentliche) Treuhand, e statica, o unechte (o uneigentliche) Treuhand. Nella prima il fiduciante riceve per trasferimento dal fiduciario i beni oggetto dell’operazione, e perciò si avrebbe “vera” fiducia, mentre nella seconda li possiede già o li acquista direttamente da terzi, con mezzi somministrati dal fiduciante o propri, ma come nella dinamica si obbliga non soltanto a servirsene secondo le direttive e nell’interesse del fiduciante, ma anche a disporne, dopo tali operazioni, in favore del fiduciante stesso o di un terzo beneficiario da lui indicato. Si distingue, in aggiunta, la offene Treuhand, allorché l’attribuzione fiduciaria della titolarità di un diritto è nota ai terzi, dalla verdeckte Treuhand, in cui è tenuta celata.
(8) Cass., 5 febbraio 2000, n. 1289, in Giur. it., 2000, I, 1, 2258.
(9) Quanto alla liceità degli scopi, questa dipende dai fini specifici delle parti, che potrebbero anche voler così frodare le leggi (per esempio sul divieto di patti successori, o sul controllo o collegamento societario, o sulla concorrenza e la disciplina del mercato, o dei mezzi di comunicazione di massa, e simili); si riconosce in questi come in tutti i casi di contrasto con norme imperative la nullità del trasferimento fiduciario.
(10) M. GRIMALDI, op. cit., p. 283
(11) N. LIPARI, Il negozio fiduciario, cit.
(12) Così principalmente S. PUGLIATTI, op. cit., p. 201 e ss.
(13) Cfr. il § 929 B.G.B, su cui G. NICKEL SCHWEIZER, op. cit., p. 17. Anche nel diritto tedesco la fiducia romanistica, realizzando una Vollrechtstreuhand in cui il diritto del Treuhändere quale unico effettivo proprietario è necessariamente un diritto pieno, assegna al patto fiduciario solo effetti obbligatori. Cosicché il terzo, ricevendo dal titolare, acquista anche in caso di abuso, quand’anche conosca la relazione fiduciaria, data l’inefficacia dei vincoli di disposizione imposta dal § 137 B.G.B. Si è parlato per questo di eccedenza del mezzo rispetto allo scopo (F. REGELSBERGER, op. cit., p. 173). Dottrina e giurisprudenza hanno cercato temperamenti all’abuso (J.Ph. DUNAND, Le transfert fiduciaire: «donner pour reprendre»: Mancipio dare ut remancipetur. Analyse historique et comparatiste de la fiducie-gestion, Bâle - Genève - Munich, 2000, p. 57 e ss.). La giurisprudenza riconosce nel fiduciante del fiduciario fallito un creditore con diritto di distrazione (ma, in applicazione del Unmittelbarkeitsprinzip ossia principio di immediatezza della derivazione del diritto del fiduciario dal fiduciante, non in caso di fiducia statica), e imputa al cliente la giacenza dei conti correnti aperti per lui da un professionista, o le somme pagate al fiduciario da un terzo per un credito cedutogli dal fiduciante. In dottrina, è stata di recente ripresa l’idea che il subacquisto quando il rapporto fiduciario sia noto, sia nullo per contrarietà ai Gute Sitten ai sensi del § 138 B.G.B.
(14) A. GAMBARO, La proprietà, Milano, 1995, p. 611.
(15) Così C. GRASSETTI, op. cit., passim.
(16) S. PUGLIATTI, op. cit., p. 232 e ss.
(17) U. LEPTIEN, in Soergel B.G.B. Commentar, Band I, Stuttgart - Berlin - Köln - Mainz, 1987, p. 1273 e ss., p. 1281. Alla tipologia viene anche ricondotta la tecnica di rafforzare le tutele del fiduciante offerte dal modello romanistico, attraverso l’inserzione ai sensi del § 158, 2 abs., B.G.B di una apposita clausola (Resolutivbedingung) (A. SCHULTZE, op. cit., p. 6 e ss.), intesa a condizionare risolutivamente il negozio traslativo ad eventi quali l’abuso del fiduciario, o la sua morte, o il raggiungimento o anche il venir meno dello scopo, e simili.
(18) G. OPPO, Titoli di credito I) in generale, in Enc. giur., XXXI, Roma, 1994, p. 2
(19) A. GAMBARO, op. cit., p. 616.
(20) U. CARNEVALI, Negozio giuridico III, Negozio fiduciario, in Enc. giur., XX, Roma, 1990, p. 6; G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2000, p. 202.
(21) Cfr. gli artt. 458 e 627 c.c.; in Francia art. 896, secondo comma, c.c.; diversamente nel B.G.B, ove il § 2274 e ss. ammettono contratti successori. Si è affermato che la violazione del divieto di patti sulle successioni future non si avrebbe quando il ritrasferimento sia a titolo oneroso, tenuto oltretutto conto del fatto che il bene è uscito dal patrimonio del de cuius quando questi era in vita. E che il mandato potrebbe avere nella morte del fiduciante un termine di esecuzione, se il ritrasferimento fosse già avvenuto in vita del fiduciante e solo la consegna fosse dilazionata al momento della morte. Ma sono evidenti i limiti di queste costruzioni, che poggiano sull’accentuazione di quella stessa vera titolarità del fiduciario che invece si sminuisce quando il problema è tutelare il recupero del fiduciante contro l’abuso; e comunque si tratta di casi marginali.
(22) Ma, per altri, se le parti abbiano trasferito in vita la proprietà, si tratterebbe invece di donazione al fiduciario con l’onere, in base ad una clausola a favor di terzo, del ritrasferimento al terzo al momento (da intendere come termine ad adempiere) della morte del fiduciante. Per l’identificazione caso per caso della fattispecie, rilevano ovviamente le specifiche circostanze.
(23) Le ipotesi di fiducia legale trovano per lo più la loro regolamentazione nella legislazione speciale. Essa determina i poteri del fiduciario, e la protezione del fiduciante. Il principio universalmente adottato della separazione patrimoniale consente al fiduciante - sempreché i beni siano individuabili, e quindi nella amministrazione statica, ma non nella dinamica - tutele dirette nel fallimento, e (se non la rivendica Trib. Torino, 7 luglio 1988, in Dir. fall., 1989, II, 869) poteri di coercizione al ritrasferimento, ma lo espone verso i suoi creditori anche relativamente ai beni dati in fiducia. Il suo svolgimento logico ha indotto, in Germania, a superare in questi casi il principio di immediatezza (Unmittelbarkeitsprinzip) dell’acquisto del fiduciario dal fiduciante attraverso il quale si limitava alla fiducia dinamica la tutela rafforzata del fiduciante, e ad estenderla nella fiducia legale anche ai beni che la società di investimento abbia acquisito da terzi in una gestione dinamica del capitale affidatole.
(24) L’ipotesi più risalente di fiducia legale è in Italia l’attività delle società fiduciarie (A. BORGIOLI, Società fiduciaria I) diritto commerciale, in Enc. giur., XXIX, Roma, 1993, p. 1 e ss.; A. GENTILI, Società fiduciarie e negozio fiduciario, Milano, 1979, p. 19 e ss.) di amministrazione “statica” o “dinamica” di beni. L’amministrazione statica di beni si traduce nella loro intestazione fiduciaria e nell’esercizio da parte della società fiduciaria dei diritti ad essi inerenti, nell’interesse del fiduciante ed in conformità alle sue istruzioni (o, in mancanza, nel modo ravvisato meglio rispondente al suo interesse), ma uti dominus: i beni restano intestati alla società fiduciaria finché il fiduciante non disponga altrimenti a favore proprio o di terzi. L’amministrazione dinamica presenta il connotato ulteriore della facoltà attribuita alla società fiduciaria di modificare discrezionalmente la composizione del patrimonio fiduciato, mediante operazioni di investimento e di disinvestimento programmate dalla società fiduciaria; in tal modo essa assume i caratteri dell’attività di gestione patrimoniale. La nostra giurisprudenza considera le società fiduciarie intestatarie solo formali (legittimazione) di beni appartenenti ai clienti, e riconduce l’ipotesi alla fiducia germanistica (Trib. Trani, 29 settembre 2003, in I contratti, 2004, p. 586). Del resto, è ormai pacifica in ambito comunitario, anche se spesso inefficace per difetto di concreta individuazione, la regola che nell’intermediazione finanziaria i beni del cliente costituiscano una massa patrimoniale distinta dal patrimonio dell’intermediario (patrimonio separato) (Mir. BIANCA, La fiducia attributiva, Torino, 2002, p. 136). Per queste ragioni i legislatori dettano alle fiduciarie minuziose regole di trasparenza patrimoniale. Anche nella Kapitalanlagegeselschaft tedesca il denaro ricevuto costituisce un Sondervermögen (§ 6 KAAG, Gesetz über Kapitalanlagegeselschaften del 16 aprile 1957) di cui la società secondo l’opinione prevalente dispone in forza di una Ermächtigung, mentre i certificati di partecipazione emessi in cambio creano (prevalentemente) una proprietà collettiva dei clienti.
(25) Trib. Cagliari, 10 dicembre 1999, in Riv. giur. sarda, 2001, p. 661.
(26) Cass., 1 aprile 2003, n. 4886, in Corr. giur., 2003, p. 1041. Naturalmente, sempreché il bene acquistato per suo conto dal mandatario sia individuato e di esso il fiduciante non abbia disposto coinvolgendo i terzi, dovendosi in tal caso il rimedio arrestare di fronte alle tutele di costoro.
(27) U. CARNEVALI, op. cit., p. 6 Va aggiunto poi, che se il rapporto è stato atteggiato come patto traslativo subordinato ad una condizione risolutiva operante in caso di abuso, è da ritenere che qualsiasi forma di abuso determini l’operare della condizione, e quindi legittimi il fiduciante a rivendicare il bene dal fiduciario (N. LIPARI, op. cit., p. 420). L’azione restitutoria si estende in tal caso, in base al principio resoluto jure dantis resolvitur et jus accipientis comune ai sistemi continentali, anche nei confronti dei terzi, nei limiti però in cui la condizione apposta al titolo del loro dante causa sia loro opponibile in quanto potevano e dovevano conoscerla.
(28) In realtà, nelle ipotesi più tradizionali di fiducia romanistica è proprio la debolezza del profilo reale della costruzione - ed è strano che ciò sia così poco avvertito - a consentire la piena tutela del fiduciante. Se infatti le parti hanno fatto ricorso secondo il modello romanistico ad un atto astratto non ammesso dalla legge, il contratto traslativo fiduciae causa sarà nullo, e il fiduciante potrà pretendere la restituzione del bene e il riconoscimento della circostanza che la proprietà non è mai da lui stata realmente perduta, opponendola anche ai terzi di buona fede.
(29) Cass., 29 novembre 1985, n. 5958, in Rep. Foro it., 1985, “Contratto in genere”, n. 191.
(30) Conclusioni analoghe si ritrovano nella letteratura tedesca classica. Ma nella più moderna, in via di costruzione giuridica si propone, almeno limitatamente ai casi di alienazioni fraudolente e contro il fiduciario e i suoi aventi causa, di ravvisare nel fiduciario uno speciale diritto reale limitato (R. REINHARDT, P. ERLINGHAGEN, op. cit.. p. 46 e ss.), o di riconoscere al fiduciante in via di equità (Billigkeit) un potere di rivendicazione (G. WALTER, op. cit., p. 52 e ss.), o comunque l’opponibilità ai terzi della convenzione fiduciaria (S. GRUNDMANN, Der Treuhandvertrag insbesondere die werbende Treuhand, München, 1997, p. 318 e ss.). Certa dottrina italiana la segue, proponendo di fondare l’opponibilità del patto fiduciario sulla sua trascrizione (G. PALERMO, Autonomia negoziale e fiducia (Breve saggio sulla libertà delle forme), in Studi Rescigno, V, Milano, 1998, p. 347 e ss.).
(31) Oltre agli AA. citt. supra, di recente, in tema, v. R.S. BONINI, Destinazione di beni ad uno scopo. Contributo all’interpretazione dell’art. 2645-ter c.c., Napoli, 2015; L. BALLERINI, Patrimoni separati e surrogazione reale, Napoli, 2016, spec. p. 78 e ss.; B. MASTROPIETRO, Destinazione di beni ad uno scopo e rapporti gestori, Napoli, 2011. Ulteriori indicazioni nelle note che seguono. Il punto di vista di chi scrive era stato parzialmente anticipato in A. GENTILI, «Le destinazioni patrimoniali atipiche. Esegesi dell’art. 2645-ter c.c.», in Rass. dir. civ., 2007, p. 1 e ss.; «La destinazione patrimoniale. Un contributo della categoria generale allo studio delle fattispecie», in Riv. dir. priv., 2010, p. 49 e ss.
(32) E.I. BEKKER, Zur Lehre vom Rechtssubject. Genuß und Verfügung: Zwecksatzungen, Zweckvermögen und juristische Personen, in Jehr. Jahrb. f. d. Dogmatik, 12, Jena, 1873, p. 62 e ss. L’idea si trova ora confermata, proprio a proposito di destinazione patrimoniale, in giurisprudenza: cfr. Trib. Genova, 23 gennaio 2014, n. 223, inedita, cit. da R.S. BONINI, Destinazione di beni ad uno scopo. Contributo all’interpretazione dell’art. 2645-ter c.c., Napoli, 2015, p. 155, nt. 31.
(33) Si è discusso se beneficiario possa essere lo stesso destinante (in tal senso F. SANTAMARIA, Il negozio di destinazione, Milano, 2009, p. 83; G. PETRELLI, op. cit., p. 177). Va da sé che il problema si pone solo per le destinazioni patrimoniali atipiche. Ma a giudizio di chi scrive deve per lo più escludersi la validità del negozio di autodestinazione (contrario all’autodestinazione P. SPADA, «Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta», in Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, cit., p. 120 e ss., p. 124). Non, come ha sostenuto per lo più la dottrina, per l’intento fraudolento che caratterizzerebbe questi casi (cfr. F. GAZZONI, «Osservazioni sull’art. 2645-ter c.c.», in Giust. civ., 2006, II, p. 165 e ss.; contra G. PETRELLI, op. cit., p. 177) : anzitutto perché la frode non è cagione di invalidità e soprattutto perché fornirebbe eccezione non juris et de jure in ogni caso di autodestinazione, ma solo in quelli in cui l’intento fraudolento fosse provato dal creditore eluso. Bensì perché la destinazione a sé stesso delle utilità di un bene proprio che il dominus percepirebbe comunque anche senza destinazione non realizza nulla di diverso dall’esercizio delle comuni facoltà dominicali (in tal senso E. RUSSO, «Il negozio di destinazione di beni immobili o mobili registrati (art. 2645-ter c.c.)», in Vita not., 2006, p. 1243 e ss., p. 1256). Rende perciò del tutto privo di causa il negozio di destinazione: come lo sarebbe un negozio giuridico con cui il proprietario stabilisse di esercitare una delle sue tante facoltà dominicali. Un negozio ha una causa se innova la situazione giuridica. L’autodestinazione traducendosi nella vacua formalizzazione di ciò che il proprietario già può, non vincolandolo perché egli può sempre validamente derogare, è del tutto priva di causa. Altro è che - e qui si ritorna alla frode ai creditori - la sua “causa” voglia essere la limitazione della propria responsabilità. Ma anche qui si torna alla assoluta inconsistenza dell’atto. L’effetto di limitazione della responsabilità è infatti solo effetto, condizione per la funzione, e non funzione esso stesso. E se è effetto non può allora divenire esso stesso causa di destinazione. Se dunque, magari dissimulata sotto apparenze, la destinazione si riveli autodestinazione allo scopo fraudolento, sarà anzitutto nulla per mancanza di causa.
(34) Al creditore generale che constatasse che il patrimonio del destinante, capiente al momento della destinazione, è divenuto incapiente in seguito, e poi anche scoprisse che quest’ultimo si accinge a cedere ad estranei la titolarità del bene destinato - così come si vende la nuda proprietà - cosicché il bene non rientrerà, frustrando definitivamente le ragioni creditorie, negheremmo la revocatoria della cessione? o il sequestro della titolarità del bene? Io penso di no. E se invece si accorgesse che, scaduta la destinazione, il destinante è inerte nel recuperare, gli negheremmo la surrogatoria? Neppure, direi.
(35) Oggi probabilmente non è più vero nemmeno che i beni destinati sfuggano all’esecuzione. Il nuovo art. 2929- bis c.c., introdotto dall’art. 12 del D.l. 27 giugno 2015, n. 83, e convertito con L. 6 agosto 2015, n. 132, abilita infatti il creditore pregiudicato da «un atto del debitore di costituzione di vincolo di indisponibilità» (o di alienazione) avente ad oggetto immobili o mobili registrati e compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, a procedere - munito di titolo esecutivo - ad esecuzione forzata, anche senza aver ottenuto una previa sentenza dichiarativa dell’inefficacia dell’atto, purché trascriva il pignoramento entro un anno dalla trascrizione dell’atto. È quanto meno verosimile che la dizione legale, forse tecnicamente un po’ imprecisa, si riferisca proprio ai beni oggetto di trust, di fondo patrimoniale, di patrimonio destinato ad uno specifico affare della società e di atto di destinazione atipico.
|
|
|