Autotutela e autorizzazioni nell’ambito del contratto di affidamento fiduciario
Autotutela e autorizzazioni nell’ambito del contratto di affidamento fiduciario
di Giorgio Baralis
Notaio in pensione
Un necessario aspetto introduttivo
Maurizio Lupoi definisce il contratto di affidamento fiduciario come un contratto di gestione(1). Concordo, ma ritengo indispensabile aggiungere che il contratto ha natura gestoria-organizzativa.
Il profilo dell’organizzazione è indispensabile. Sul punto prendo a prestito il rilievo autorevole di Carlo Angelici che, a proposito della società unipersonale, esattamente sottolinea che la stessa è espressione di una «tecnica di organizzazione di attività»(2); questa tecnica, continua Angelici, può esprimersi in varietà di modi e di forme in qualche modo coincidenti e questo spiega il limitato interesse (o disinteresse) della cultura giuridica inglese per la società unipersonale, sostituita in quell’ambiente dallo strumento del trust «largamente equivalente in termini funzionali» alla prima(3).
Il rilievo descrive molto bene quella sorta di germinazione di istituti che si collega all’attività organizzata, collettiva o no, spiega la capacità dell’ordinamento di non fissare paletti e confini insuperabili, spiega la capacità del concetto di organizzazione di essere alla base di esperienze giuridiche diverse e i suoi adattamenti.
Nell’ambito del contratto di affidamento fiduciario questo concetto di organizzazione è fondamentale e peculiare perchè è la “ragione” - anche sotto l’aspetto anche causale - del contratto di affidamento fiduciario èd è la base della sua stabilità(4); una organizzazione, quindi, che esprime la sua forza nell’individuare in sè stessa i mezzi per la sua continuità e la sua «conservazione a oltranza».
Questo carattere fondamentale permette di esprimere i caratteri salienti della costruzione giuridica del nostro contratto; utilizzo un concetto caro alla dogmatica tradizionale(5), ma che mi sembra estremamente opportuno per indicare la sapienza di aspetti che deve dimostrare l’operatore giuridico quando voglia “costruire” un buon contratto di a.f. C’è di più. Lupoi nota(6)che il legislatore del “dopo di noi” ha affiancato al trust e alla fattispecie di cui all’art. 2645-ter il contratto di affidamento fiduciario, ma senza delineare un briciolo di contenuto individuante la fattispecie. Certo è una tecnica fuorviante, ma esalta ancora di più la funzione dell’autonomia privata alla “ricerca” di basi di diritto positivo, quasi frammenti per una costruzione giuridica. Da questo punto di vista, però, un senso minimale - ma fondamentale - ha il rilievo che (i) la fattispecie esprime in positivo una “parentela” con il trust e la destinazione ex art. 2645-ter a livello ricostruttivo-dogmatico e (ii) che è irragionevole pensare che l’affidamento fiduciario non esprima un grado di tutela e di protezione perlomeno “vicino” a quello delle due altre fattispecie(7). Dopodichè esprimo la mia ferma convinzione che l’”ibridazione” fra il contratto di affidamento fiduciario e la fattispecie di cui all’art. 2645-ter sia il mezzo tecnico per elezione che permette quella stabilità(8)di cui si è scritto. Del resto, seppur in maniera meno convinta, questo utilizzo è anche prefigurato da Lupoi, naturalmente nella versione attiva e dinamica della fattispecie di cui all’art. 2645-ter(9).
Da questo impianto particolare, alcune conseguenze qui espresse sinteticamente:
- Se la costruzione connessa all’organizzazione è stabile nel senso di cui sopra, non può ammettersi una contrapposizione di interessi tipica del contratto di scambio. Non può ammettersi, perchè contradditoria, alcuna forma di risoluzione per inadempienza o per eccessiva onerosità(10). Parrebbe contraddire con quanto sopra il contratto di cessione dei beni ai creditori che, in senso lato, ha natura fiduciaria; non è così: a parte il problema di appurare se sia sostituibile con un contratto di a.f., la fattispecie di cui all’art. 1977 c.c. esprime una forma di organizzazione debole, sostanzialmente correlata al mandato e quindi perfettamente compatibile con la risoluzione ex art. 1986 c.c.(11)
- Per una forma di simmetria rispetto a quanto sopra il recesso dell’affidante può ammettersi per casi estremi, sostanzialmente quando il programma destinatorio non può più raggiungersi per qualsivoglia ragione(12).
- L’organizzazione veicola una forma di interesse oggettivo - in un certo senso di natura istituzionale - per cui lo stesso affidante viene coinvolto in una gestione che non è più “cosa sua”(13), e medesimamente per l’affidatario(14), che, fra l’altro, non ha (e non può avere) alcun vantaggio proprio, salvo la lateralità dell’eventuale compenso(15). Questo aspetto è fondamentale: l’interesse oggettivo ed oggettivato è il pendant di una proprietà che spetta all’affidatario come proprietà conformata, lontana mille miglia dalla definizione di proprietà che compare nella celebre definizione di Portalis, immortalata dall’art. 544 code civil(16)e destinata poi ad un enorme successo(17).
- Come già scritto l’organizzazione dell’affidamento fiduciario è improntata ad una stabilità che rifugge da azioni risolutorie: in maniera efficace si è scritto che l’affidamento fiduciario aborre dal ricorrere ai rimedi giurisdizionali (fatte salve le pretese risarcitorie di cui si dirà infra)(18).
Questo significa che la “difesa” del programma destinatorio è affidata al meccanismo organizzativo a mezzo dell’autotutela. E qui ci si ferma per discutere in maniera appropriata di cosa sia l’autotutela nell’ambito dell’affidamento fiduciario.
L’autotutela
Nell’ambito del contratto di affidamento fiduciario il concetto di autotutela è equivoco. In primo luogo diciamo che cosa “non è” l’autotutela.
Per diritto comune il concetto esprime la possibilità per un soggetto di farsi giustizia da sè. Espressione di questa autotutela è il diritto di ritenzione (ad es. i casi di cui all’art. 2756, terzo comma, i crediti del vettore, mandatario, depositario, sequestratario ex art. 2761 c.c.), lo è (in maniera più forte) il caso della difesa del possesso finchè la violenza dell’aggressore è in atto (vim vi repellere licet), lo è la diffida ad adempiere e qualche altro caso(19). Questo concetto di autotutela affiora anche nel campo amministrativistico in maniera molto più corposa: la dottrina, tradizionale e non, nonchè la giurisprudenza amministrativa proclamano il diritto della P.A. di agire autonomamente a difesa dei beni pubblici(20).
Questo concetto di autotutela nella nostra materia appare rozzo e può essere solo (molto) scarsamente valorizzato nel nostro ambito.
Invece la dottrina amministrativistica offre altri spunti decisamente più interessanti; essa si avvale ancora del concetto di autotutela per esprimere «la capacità (della P.A.) di provvedere essa stessa a risolvere i conflitti eventualmente insorgenti con gli altri soggetti per effetto dell’attuazione dei propri provvedimenti»(21).
È quest’ultimo concetto, ben sviluppato dalla dottrina amministrativistica, che può funzionare - in certo modo - come metro di misura per l’autotutela nell’ambito dell’affidamento fiduciario. Ciò non solo per l’aspetto descrittivistico che indica molto bene la “difesa interna”, ma anche per gli aspetti valoristici. L’autotutela della P.A., infatti, si sostanzia in una forma di riesame di un provvedimento che viene valutato in funzione dell’interesse pubblico che esso esprime(22), sicchè l’autotutela non si realizza se l’atto, magari disforme dalla regola iuris, è tuttavia conforme all’interesse pubblico(23). A mio parere questo aspetto è in qualche modo utilizzabile nel contratto di affidamento, beninteso essendo il metro di misura non l’interesse pubblico, ma l’interesse “oggettivo” del programma destinatorio; quindi l’attività gestionale dell’affidatario fiduciario, che di per sè gode di larga discrezionalità ben superiore a quella del mandatario, può essere sì oggetto di scrutinio, ad esempio da parte del garante, ma la valutazione di quest’ultimo verrà compiuta privilegiando, nei limite del possibile, l’interesse concreto dell’organizzazione destinatoria(24).
Allargando il discorso, e sempre seguendo un filone amministrativistico, rientra nel concetto di autotutela tutto quanto è finalizzato, in maniera rimediale, anche previsionale, alla conservazione della stabilità, quindi anche un meccanismo sanzionatorio “interno” all’organizzazione; tutto quanto, insomma, si presenta rimediale anche a livello anticipatorio per evitare la “crisi” dell’organizzazione e quindi del programma(25).
Ciò detto, e in secondo luogo, va chiarito che l’aspetto più importante dell’autotutela è quello sopra descritto perchè è fondamentale la protezione dell’interesse oggettivo del programma destinatorio; ma può scriversi di autotutela anche in ragione e relazione alla difesa di ciascun soggetto protagonista dell’affidamento fiduciario che, a sua buona ragione, provvede in varia maniera a difendersi a fronte di pericoli vari conseguenti alla stipula del contratto.
Vediamo partitamente i due aspetti dell’autotutela.
Autotutela a difesa del programma destinatorio
L’aspetto fondante dell’autotutela nel primo senso è dato dall’insieme di meccanismi che servono a controllare i vari poteri, fiduciari e personali(26).
Credo che si possa esprimere al meglio questo concetto chiarendo che l’attività del gestore (affidatario/i fiduciari) è controllata preventivamente o successivamente:
- o da una serie di pesi e contrappesi che si sostanziano in autorizzazioni, approvazioni, pareri, linee di indirizzo, dispense(27);
- o da una pluralità di soggetti con unico compito che, però, graduano fra di loro lo stesso potere (gestione di più affidatari);
- o da una figura specifica (il garante).
Questo intreccio di controlli preventivi o finali non interessa dal punto di vista dogmatico(28), interessa assai, invece, dal punto di vista dell’esito finale e cioè per chiarire se la loro irregolarità (detto grossolanamente) dia luogo a invalidità o inefficacia, ma di ciò si tratterà più avanti. Invece sul punto va chiarito subito, anzi sottolineato, che il meccanismo dei controlli e delle limitazioni ai poteri gestori sia materia di delicato equilibrio in quanto, laddove i controlli e le limitazioni costituiscano una specie di rete che imbriglia e imprigiona l’affidatario, il meccanismo di autotutela si autodistrugge perchè fallisce sostanzialmente l’organizzazione gestoria, basata su libertà e discrezionalità dell’affidatario, sorvegliate sì, ma non eliminate(29).
Del garante non si dice qui molto salvo il ribadire - come è noto - che si tratta di una importantissima figura che agisce a protezione dell’affidante e dei beneficiari, ma, come detto più specificatamente e marcatamente a tutela dell’interesse oggettivo del programma destinatorio. Quindi una attività (quella del garante) che si esplica con sostituzioni (dell’affidatario), autorizzazioni (in particolare per alienazioni)(30). La conclusione è che il garante, pur se è una figura non indispensabile dal punto di vista della costruzione giuridica del contratto di affidamento fiduciario, lo è, invece, dal punto di vista pratico(31). La tutela, poi, connessa all’attività del garante può essere rafforzata, prevedendo una pluralità collegiale degli stessi(32).
Quanto al modo di operare di una pluralità di affidatari, va da sè che l’attenzione del costituente può saggiamente equilibrare fra di loro l’attività nel modo migliore e più vario, secondo maggioranze e, se del caso, in ipotesi di parità, prevedendo una primazia, prevedendo, se del caso, una distinzione fra titolarietà del potere di decisione e del potere di firma.
Quanto sopra suppone che il programma destinatorio - ai fini dei controlli e dell’attività del garante - indichi anche come si oggettiva l’interesse del programma e quindi anche la “gerarchia” degli interessi che mira a soddisfare. Ecco quindi, esemplificando, che un affidamento fiduciario a protezione dell’affidante e con residualità a favore dei beneficiari altri, supporrà la primazia di interesse del primo. Altri aspetti dell’autotutela.
Quanto sopra esposto già dice quanto l’uso intelligente dell’autonomia privata sia fondamentale per creare un meccanismo di autotutela veramente efficiente.
È sulla base di questa considerazione che le parti del contratto possono prevedere che nel caso di verificato comportamento dannoso dell’affidatario (a parte la sua sostituzione)(33), in luogo di un risarcimento del danno da accertarsi, sia già prevista una forma risarcitoria, che potrà realizzarsi o diminuendo o escludendo il suo compenso, in quanto previsto, oppure prevedendo una specifica sanzione pecuniaria; è quest’ultimo il tema delle cosiddette “pene private”(34)che, evidentemente,qui può essere solo accennato(35).
Un aspetto finale molto importante a cui prima si è accennato.
Quale la conseguenza dell’agire dell’affidatario che non si sia attenuto ad una autorizzazione, parere, veto, linea di indirizzo et similia?
Un uso saggio dell’autonomia privata prevederà quanto è materia per una eventuale sostituzione dell’affidatario e quanto, invece, incide sul “destino” dell’atto; ma incide sull’atto come? Importerà invalidità, inefficacia, inopponibilità?
Ritengo che sul punto l’intervento dell’autonomia privata sia possibile, ma in limiti precisi.
Sottolineo che le conseguenze sono decisamente importanti perchè ad un atto invalido dell’affidatario potrà seguire la sanatoria, laddove si sia ceduto un immobile, in forza della cosiddetta pubblicità sanante; conseguenza dubbia per il caso di inefficacia; sicuramente da scartarsi laddove vi sia inopponibilità. Alla luce queste conseguenze la scelta che si orienta per una certa autotutela potrà preferire una soluzione ad un’altra, ma, come scritto, l’autonomia privata esplica una forza solo relativa. Più precisamente: l’invalidità può seguire quando le parti abbiano fatto esplicito riferimento ad una diversa legge che la contempli(36); diversamente non sarei così sicuro dell’invalidità in luogo dell’inefficacia(37), mentre avrei seri dubbi per l’opponibilità, salvo ricorrere all’ibridazione con l’art. 2645-ter che gioca indiscutibilmente per l’opponibilità.
Ecco, quindi, il senso di un opportuno intervento dell’autonomia privata ai fini del raggiungimento di una autotutela “mirata”.
Ancora, a mio parere, il capitolo dell’autotutela comprende il controllo delle sopravvenienze e delle invalidità. Il problema delle sopravvenienze coinvolge tutti i contratti di durata, ma nel nostro caso è particolarmente significativo se non altro perchè mette a repentaglio tutta la complessità dell’organizzazione, se non addirittura la validità del contratto(38). Esemplificando: la previsione di “dotare” una convivente a mezzo di un contratto di affidamento fiduciario, che le assicuri una gestione correlata ai suoi bisogni nel tempo, può (ripeto può) oscillare fra una invalidità ex art. 1345 quando sia stato stipulato (con l’intervento della beneficiaria) per mere ragioni di fruizione sessuale e una sopravvenienza che ne tolga il senso laddove la convivente diventi coniuge. Una previsione “conservativa” che distingua il passato dal futuro (una rendita moralmente impegnativa per il passato ex art. 2034 c.c.) - indicando diverse fruizioni - riduce l’area della invalidità ex art. 1419 c.c.e “salva” il contratto, mentre la sopravvenienza può giustificare il recesso dell’affidante, se il programma destinatorio non è stato modulato tenendo conto delle varie evenienze.
Il programma, lo si è detto e ripetuto, deve essere stabile, il che sembra voler dire che deve rimanere immutato. Giova, però, ricordare che esiste un principio che grosso modo si può esprimere così: quanto più è lunga la durata del programma affidatorio, tanto più si corre il rischio di una sua obsolescenza prematura, non nel senso, si badi, che è terminato, ma nel senso che possa essere inadeguato. Una modifica quindi? Ovviamente il nostro caso nulla ha a che fare con le modifiche dell’impianto che riguardino segmenti del contratto, come il numero dei beneficiari, le loro qualità, l’esclusione di un beneficiario. Del resto l’affidatario può essere sostituito e ciò rientra nella fisiologia del contratto. Ma che dire quando il programma definitorio risulta inadeguato, tornando adeguato se rettificato? A me sembra, tenuto conto che una interpretazione teleologica ha cittadinanza sia in tema di interpretazione normativa sia nell’ambito contrattuale(39), che, individuato uno scopo destinatorio, abbia senso un atto non modificativo, ma esplicativo - rettificativo che tenga conto dell’inadeguatezza e, nel senso limitato di cui prima, addivenga ad una sorta di precisazione correlata allo scopo di partenza. È ovvio che si tratterà di una valutazione casuista che dovrà tenere conto di una grande congerie di elementi valutativi.
È anche chiaro che una precisazione di questo tipo potrà avvenire sulla base di una partecipazione ampia: ad esempio da parte dell’affidante e dell’affidatario o garante e affidatario.
Se quanto prima scritto è vero, anche questo aspetto contribuisce a definire il concetto di autotutela perchè evita (può evitare) l’innesco di liti o comunque eventi di crisi.
Autotutela a difesa del programma destinatorio e interpretazione
Una puntualizzazione - ritengo importante - in ordine al paragrafo precedente. Il punto merita almeno un accenno e non può essere eluso.
Credo che il contratto di affidamento fiduciario, proprio perché non si qualifica come contratto con comunione di scopo (esprime, lo si ripete ancora, uno scopo che trascende quello dei singoli protagonisti del contratto), proprio per le radici storiche della fiducia, in qualche modo goda di un favor ermeneutico. Intendo che l’interprete o l’operatore giuridico in genere debba accostarsi allo stesso, adottando una interpretazione “benigna”(40), nel senso, detto molto genericamente, di favorire il raggiungimento degli scopi meritevoli quanto più è possibile. Di ciò ne ho dato un esempio laddove si è scritto a proposito di rimedialità allorchè lo scopo - nel tempo - si riveli meno adeguato.
Il punto meriterebbe uno scavo maggiore, ma comunque è un percorso che la migliore dottrina ha realizzato in varia maniera, ad esempio estraendo da figure contrattuali storiche - come nel nostro caso il negozio fiduciario -, figure più complesse connesse ad un favor specifico(41).
Autotutela a difesa di soggetti specifici nell’ambito del contratto
Già si è scritto che autotutela è dizione ambigua perchè di autotutela può scriversi anche a riguardo delle singole posizioni dei protagonisti del contratto; qualche indicazione di massima al riguardo.
La posizione dell’affidante è difesa dal suo potere di sostituire a mezzo di revoca lo/gli/uno degli affidatari(42), dal suo potere di revoca nei confronti del garante(43)e dal potere di agire per danni nei confronti di ambedue(44).
La posizione dei beneficiari è difesa dall’azione risarcitoria per danno contrattuale o extracontrattuale nei confronti dell’affidatario(45)o del garante; oppure il contratto può prevedere l’intervento del garante che interviene a trasferire a loro favore quanto dovrebbe fare l’affidatario(46). Può anche essere che si dia un negozio autorizzativo che permetta loro di sostituire l’affidatario(47).
La posizione dell’affidatario è difesa dalla sua possibilità di rinuncia all’incarico, vigente il contratto(48), dalla condivisione di chi, protagonista, ha autorizzato o espresso parere favorevole(49); a fine incarico(50) può ritenere una parte del fondo affidato a garanzia di obbligazioni non ancora adempiute. Questa possibilità è collegata ad una previsione contrattuale scrive Lupoi(51); se, però, difettasse tale previsione, a mio parere, il meccanismo di difesa potrebbe (lo si scrive in maniera dubitativa) collegarsi al diritto di ritenzione di cui all’art. 2761 c.c. È vero che la disciplina dei privilegi ha natura eccezionale(52)ed è vero che l’affidatario non è un mandatario, ma forse qui ci si muove nell’ambito della interpretazione estensiva e, forse, la conclusione sopra esposta può seguirsi(53).
Per quanto concerne il garante la sua autodifesa è data sostanzialmente dalla possibilità di dimissionarsi(54), sempre dandosi meccanismi che permettano la sostituzione con altro garante in nome e ragione della stabilità dell’organizzazione(55).
Il significato delle autorizzazioni
L’autorizzazione è collegata ad un potere e su tale situazione soggettiva la dogmatica tradizionale era scesa in campo con sottili distinzioni(56)che qui non interessano. Preciso che non ha attinenza con il nostro argomento il concetto usuale (di diritto privato) di negozio autorizzativo come risulterà evidente più avanti. Ma già si chiarisce che ogni riferimento alla specificità delle autorizzazioni collegate al mandato (figura molto lontanamente rapportabile al contratto di affidamento fiduciario) non ha minima consistenza(57); senza scendere a rilevazioni più profonde, sottolineo che nell’ambito del mandato l’autorizzazione riflette l’interesse dell’autorizzante oppure dell’autorizzante e dell’autorizzato e quindi si tratta di una figura radicalmente diversa dalla autorizzazione fiduciaria che coinvolge, come già scritto, un interesse oggettivo e oggettivato nel programma destinatorio. Nell’ottica, poi, della prevalenza di questo interesse mi sembra che, al di là della lettera del programma destinatorio, sia proponibile l’ipotesi di una autorizzazione in sanatoria, cosa questa non possibile, almeno secondo la tesi più persuasiva, laddove l’autorizzazione svolga un ruolo di tutela, collegato ad un intervento giudiziale. Quanto alle modalità “operative” della sanatoria il discorso qui non può svilupparsi(58). Comunque anche l’argomento delle autorizzazioni merita distinzioni e approfondimenti.
a) I negozi autorizzativi fondamentali.
Scrive Lupoi(59)che a mezzo del negozio autorizzativo l’affidatario attribuisce ad altri il potere di compiere atti con effetti reali sul fondo affidato o di disporre della posizione contrattuale dell’affidatario o del potere di manifestare una volontà che comporta obbligazioni a carico dell’affidatario. Per la verità, a proposito di quest’ultimo potere, può essere che gli altri protagonisti del contratto abbiano “un po’ più” che il potere di obbligare l’affidatario perchè può essere loro concesso contrattualmente di sostituirlo(60).
Concordo e faccio seguire alcune precisazioni fondamentali.
Questo negozio autorizzativo ha una valenza centrale perché impinge nel meccanismo che è “il cuore” dell’affidamento fiduciario e cioè il fondo affidato e la posizione di quello che è il protagonista principale e cioè l’affidatario; il nostro contratto si regge sulla presenza continua di un affidatario fiduciario.
Come già scritto autorizzante e autorizzato non agiscono nel nostro caso per un interesse personale dell’uno o dell’altro, ma in ragione e in relazione ad un interesse oggettivo del programma affidatorio e con lo scopo precipuo di evitare che non rimanga mai vacante la fondamentale posizione fiduciaria dell’affidatario.
Ne consegue, proprio in ragione della qualità di tale interesse, che sia l’autorizzante che l’autorizzato hanno «il diritto di esercitare il proprio dovere o il dovere di esercitare il proprio diritto»(61).
Ne consegue ancora, proprio in forza degli ampi poteri in gioco, che autorizzante e autorizzato dovranno ponderare i vari interessi in gioco, “pesando” l’interesse preminente rispetto agli altri, esercitando sì una attività discrezionale, ma con l’intesa che l’uso della stessa vada misurato secondo criteri di diligenza e buona fede(62). Non solo: nel nostro caso si ha una ipotesi specifica di discrezionalità “dovuta” e non facoltativa, situazione tipica del diritto amministrativo(63).
Ne risulta che si tratta di una autorizzazione collegata ad un ufficio di diritto privato, senza riscontri con l’usuale concetto di autorizzazione del dir. privato, in particolare con procura e mandato(64).
Chi segue una lettura dogmatica vorrà in qualche modo “leggere” il contratto in armonia con le linee guida del diritto amministrativo(65), fecondo campo di autorizzazioni, e ragionerà in termini di autorizzazioni “costitutive”.
In buona sostanza l’autorizzazione di cui sopra rientra, grosso modo e in parte, in quelle che in diritto amministrativo si qualificano come figure organizzatorie(66). Ancora una volta il ricorso ad elaborazioni proprie del diritto amministrativo permette di dare conto in maniera più compiuta ed efficace della “rete” di interconnessioni che esistano fra i protagonisti del contratto di affidamento fiduciario; nell’ambito amministrativo esiste il concetto di “formula organizzativa”(67)per dare conto e descrivere i complessi rapporti fra uffici, primazie, coordinamenti; il tutto compendiato da ipotesi di controlli, pareri di diversa rilevanza, autorizzazioni, approvazioni e altro ancora(68); ovviamente non tutti gli affidamenti fiduciari richiedono una rete così complessa, ma certo il riferimento al campo amministrativo è utile per rappresentare tutte le potenzialità di un contratto che mira a realizzare uno scopo stabile nel tempo, equilibrato, calato in un contesto di autodifesa.
b) I Negozi autorizzativi secondari.
Va da sè che anche su questo punto è utile richiamarsi a quella rete di interconnessioni di cui si è scritto poco sopra.
La categoria riguarda quelle autorizzazioni relative ad aspetti solitamente meno centrali del programma destinatorio, diciamo i suoi contorni; così il garante può autorizzare l’affidatario a diminuire o incrementare la rendita di un beneficiario. Ma vi potranno essere casi in cui l’autorizzazione sfocia in un atto complesso di non poco conto: vale il caso dell’affidante che sostituisce il garante, autorizzato da quest’ultimo.
Si può, come sopra per l’ipotesi a), leggere dogmaticamente i nostri casi sulla scia del diritto amministrativo e quindi scrivere di autorizzazioni “permissive”(69)e in questo caso conglobare le autorizzazioni che incidono sulla legittimazione con quelle che esplicano una funzione di controllo(70). Ovviamente vi saranno casi in cui il potere relativo alle fattispecie del punto a) dovrà essere integrato da consensi e pareri di altro soggetto(71), con il solito problema dell’inefficacia o invalidità dell’atto privo di consenso o parere(72).
Quasi una conclusione
Alla luce delle considerazioni sopra fatte in tema di organizzazione, e nel senso e nei limiti di cui sopra, può dirsi che il meccanismo dei negozi di autorizzazione è un capitolo dell’autotutela.
E autotutela e negozi autorizzativi sono aspetti sconosciuti (e forse addirittura collidenti) rispetto alla figura storica e tradizionale del negozio fiduciario(73)perché esso, detto in estrema sintesi, difetta di organizzazione e di un interesse oggettivo diverso da quello dei singoli soggetti. Il negozio fiduciario in senso tradizionale non è un relitto storico, ma è semplicemente “altro” rispetto al contratto di affidamento fiduciario, salvo esprimere una lontana parentela.
(1) Istituzioni del diritto dei trust e affidamenti fiduciari, Padova, 2014, p.244.
(2) C. ANGELICI, Le società per azioni, principi e problemi, in Tratt. di dir.civ. e comm. diretto da Cicu-Messineo-Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, 2012, p. 88.
(3) C. ANGELICI, op. cit., p. 89.
(4) M. LUPOI, Il contratto di affidamento fiduciario, Milano, 2014, p. 329.
(5) V. proprio nell’ambito fiduciario e con ampia elaborazione G. MESSINA, Scritti giuridici. Negozi fiduciari, Milano, 1948, p. 97 e ss., v. pure modernamente F. MODUGNO, Interpretazione giuridica, Padova, 2012, p. 173-175, ma soprattutto si veda L. MENGONI, Diritto e valori, Bologna, 1985, p. 96, in tema di perdurante utilità del concetto se usato in funzione “ordinante”.
(6) Relazione al presente convegno.
(7) Questa conclusione mi sembra pacifica ragionando in termini di interpretazione sistematica in senso stretto - che mira a eliminare le incoerenze o la scarsa coerenza - (R. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, in Tratt. di dir.civ. e comm. diretto da Cicu-Messineo-Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, 2004, p. 172-173) o in termini del fondamentale criterio di ragionevolezza (citazioni superflue) o in termini di sensata probabilità di unità categoriale - cfr. F. MODUGNO, op. cit., p.173- 174 -. Esprimo anche l’idea che il tipo contratto di affidamento fiduciario, alla fin fine, sarà un istituto costruito dalla dottrina e dalla giurisprudenza, pur sulla base di considerazioni minime come quelle di cui sopra; sul contributo creativo giurisprudenziale v. bene A. BELVEDERE, Scritti giuridici, Padova, 2016, I, p. 569 e ss.
(8) La precauzione (il principio di) è anche ragione di stabilità; oltrettutto è un argomento “facile”, nel senso di immediata evidenza, ben utile nell’argomentazione, cfr. G. BONIOLO - P. VIDALI, Strumenti per ragionare, Milano, 2002, p. 73.
(9) Cfr. Istituzioni …, cit., p. 270-271; ancora più sfumata la convinzione espressa dall’autore in Il contratto …, cit., p. 426. Il discorso di cui al testo vale per il perimetro immobiliare e mobiliare registrato, preso atto che esistono opinioni - a mio parere non condivisibili - che estendono il perimetro al campo puramente mobiliare, cfr. per tutti M. CEOLIN, Destinazione e vincoli di destinazione nel diritto privato, Padova, 2010, p. 197 e ss.
(10) M. LUPOI, Il contratto …, loc. ult. cit.
(11) M. LUPOI, Istituzioni …, cit., p. 359, F. FILAURI, Il negozio fiduciario e la cessione dei beni ai creditori, in AA.VV., Il negozio di destinazione fiduciaria, Milano, 2016, p. 294-295.
(12) M. LUPOI, Istituzioni …, cit., p. 285. L’egregio autore scrive di un recesso “sconsigliabile”. Io sarei più drastico: se il programma destinatorio è “serio” - nel senso della stabilità di cui sopra - un recesso troppo lato esprimerebbe una forma di debolezza causale contraria alla “essenzialità” della stabilità. Del resto l’irrevocabilità del trust per diritto anglosassone e per il modello internazionale è la regola - cfr. M. LUPOI, Atti istitutivi di trust e affidamenti fiduciari, Milano, 2010, p. 97, che esattamente sottolinea la differenza con l’abbreviazione del termine, che è ben altra cosa e ben giustificabile - .
(13) Cfr. M. LUPOI, Atti istitutivi …, cit., p. 427, e 489, Il contratto …, cit., p. 484.
(14) M. LUPOI, Istituzioni …, cit., p. 254, Il contratto …, cit., p. 457.
(15) M. LUPOI, Il contratto …, cit., p.457.
(16) La propriètè est le droit de jouir et de disposer des choses de la manière la plus absolue, pourvu qu’on n’en fasse pas un usage prohibè par les lois ou per les règlemens.
(17) Cfr. E. DEZZA, Lezioni di storia della codificazione civile, Torino, 2000, p. 70-71.
(18) Qualche considerazione aggiuntiva si rende indispensabile. Questo profilo dell’organizzazione che tende a scindere la difesa della stabilità dal rimedio giuridizionale ha una portata più ampia rispetto al contratto di affidamento fiduciario, e la cosa è comprensibile se si ritiene che l’esigenza della stabilità sia “intrinseca” al concetto di organizzazione. Ecco quindi che anche nei contratti di collaborazione in genere i rimedi risolutori possono essere soppesati in relazione al “costo”, in ragione della perdita della collaborazione che può dar luogo ad una pesante ricaduta a causa del venir meno di conoscenze, esperienze, competenze e quindi declinare negativamente l’efficienza - cfr. per tutti P. IAMICELI, L’esclusione dal contratto, Torino, 2012, p. 203-205 -. Proprio sotto questo profilo anche nell’ambito del contratto di collaborazione ha senso la considerazione di rimedi alternativi a quelli risolutori volti a graduare genericamente le sanzioni al fine di preservare l’efficienza dell’organizzazione, cfr. P. IAMICELI, op. cit., p. 220 e ss. Tecnicamente quanto sopra si può realizzare anche nei contratti con comunione di scopo; potrebbe essere, esemplificando, il caso delle società di persone nelle quali si può prefigurare un meccanismo di difesa interna basato sull’applicazione dell’art. 2264 e 1349, secondo comma c.c., ove la valutazione dell’arbitratore potrebbe tenere conto di diligenze e negligenze specie in rapporto ad apporti di opera; il tutto, si badi, rapportando il giudizio dell’arbitratore anche ad un solo socio - v. P. GRECO, Le società nel sistema legisaltivo italiano, Roma, s.d., ma 1959, p. 146-147 -. Ma nei contratti con comunione di scopo si tratterebbe quasi sempre di casi di scuola - v. con ampie citazioni conformi, M. MARULLI, in AA.VV., Le società in generale, le società di persone, le società tra professionisti, a cura di G. Cottino, Torino, 2014, p. 419 - poiché non est de hoc mundo una contrattazione sociale ove un socio accetti - mi riferisco all’esempio di cui sopra - una disciplina così limitante nei suoi confronti. In realtà - ma il problema non può essere approfondito - i contratti con comunione di scopo possono dirsi tali solo nella fase costitutiva, poiché, salvo ipocrisie, la fase organizzativa nel suo svolgimento crea vere situazioni di anitesi; ha, poi, perfettamente ragione F. DENOZZA, Norme efficienti, Milano, 2002, p. 48-49 - quando scrive di un “ossessivo” atteggiamento giurisprudenziale nel tutelare l’interesse alla “sopravvivenza” delle società per azioni, sopravvalutando il divieto di imposizione di quorum nell’assemblea di seconda convocazione, essendo tale sopravvivenza “sostanzialmente” un problema di confronto antitetico meglio risolvibile secondo criteri di analisi economica del diritto.
(19) V. per tutti nella manualistica, A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, Manuale di dir. priv., Milano, 2007, p. 218, paragrafo 118.
(20) M. SANDULLI, Manuale di dir. amministrativo, Napoli, 1973, p. 487-488
(21) F. BENVENUTI, Appunti di dir.amministrativo, Padova, 1987, p. 145, V. CERULLI IRELLI, Corso di dir. amministrativo, Torino, 1997, p. 633.
(22) Cfr. V. CERULLI IRELLI, op. cit., loc. cit.
(23) V. per tutti V. CERULLI IRELLI, op. cit., p. 634, G. NAPOLITANO, La logica del diritto amministrativo, Bologna, 2014, p. 149.
(24) Mi sembra che condivida questo riscontro M. LUPOI, Il contratto …, cit., p. 337.
(25) È questo un concetto estensivo di autotutela, non accolto, però, in maniera unanime dalla dottrina amministrativistica, cfr. per tutti M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1970, II. p. 1318-1320.
(26) Per questa distinzione M. LUPOI, Il contratto …, cit., p. 329-334.
(27) Significativamente il lessico del diritto amministrativo può essere assunto come base per l’individuazione dell’intervento “aggiuntivo” all’attività negoziale e non dell’affidatario.
(28) Atti complessi, atti collettivi? Sulla distinzione v. per tutti F. MESSINEO, voce Contratto, in Enc. dir., Milano, 1961, IX, p. 906-908.
(29) Cfr. M. LUPOI, Istituzioni …, cit., p. 291, ID., Il contratto …, cit., p. 337.
(30) V. più diffusamente M. LUPOI, Il contratto …, cit., p. 335-339.
(31) Conforme M. LUPOI, Il contratto …, cit., p. 339.
(32) M. LUPOI, Il contratto …, cit., p. 336.
(33) Ma potrebbe anche immaginarsi la sospensione dello stesso, sospensione che può avere non solo un valore teorico, ma pratico quando l’affidatario, pur carente per qualche suo comportamento, sia, però, particolarmente dotato in termini di capacità e competenze. Siamo sempre nell’ambito di quei rimedi alternativi al rimedio giurisdizionale, volti a savaguardare la stabilità (e l’efficienza) dell’organizzazione, cfr. P. IAMICELI, op. cit., p. 220 e ss.
(34) Cfr. sul punto C.M. BIANCA, Istituzioni di dir. priv., Milano, 2014, p. 528 e ss.
(35) Salvo scriversi che mentre è agevole, e non presenta difficoltà, agire negativamente sul compenso di affidatari e garanti, laddove, invece, si preveda una sofferenza risarcitoria, la soluzione diventa più problematica specie per quanto concerne il collegamento con l’art. 1384 c.c., cfr. amplius P. IAMICELI, op. cit., p. 234 e ss. A questo proposito, infine, solo un accenno all’importante obiter dell’ordinanza della Corte Cost., 2 aprile 2014, n. 77 che crea problematicità in tema di pene private, ma v. i condivisibili rilievi critici di C. CASTRONOVO, Eclissi del diritto civile, Milano, 2015, p. 48-52.
(36) Ad esempio la legge sanmarinese, V. M. LUPOI, Atti istitutivi …, cit., p. 477-478.
(37) Contra per l’invalidità senz’altro M. LUPOI, Il contratto …, cit., p. 361, ma lo stesso autore in Atti istitutivi …, cit., p. 475, oscilla fra invalidità e opponibilità (o inefficacia?).
(38) È quindi, in un certo senso, simile al problema che coinvolge la società di persone in caso di invalidità dell’atto costitutivo, ma qui la valutazione deve compiersi sul piano squisitamente contrattuale, v. invece in materia di società personale C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975, p. 384 e ss.
(39) V.bene A. GENTILI, Senso e consenso, Torino, II, 2015, p. 534; l’approccio teleologico individua delle potenzialità in nuce; non sarebbe così per l’approccio evolutivo che esprimerebbe una volontà addizionale, seppur come espressione di coerenza interna.
(40) Mi sembra che questo risultato ermeneutico sia rappresentato al meglio, nel nostro caso, facendo appello romanisticamente al concetto di benignitas, v. con ampia panoramica e approfondimento A. PALMA, Benignior interpretatio, benignitas nella giurisprudenza e nella normazione da Adriano ai Severi, Torino, 1997, p. 16 e ss. Nel linguaggio della dogmatica moderna può scriversi di una interpretazione che «massimizza sotto vincolo» gli aspetti consequenzialisti legati all’ottimizzazione del programma fiduciario dal punto di vista teleologico (tutte le migliori conseguenze possibili); l’inciso «sotto vincolo» rappresenta la cornice sopportabile di coerenza dogmatica, cfr. F. DENOZZA, «La struttura dell’interpretazione», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1995, p.65-66.
(41) V ad es.in tema di contratti ad effetti protettivi per i terzi, cfr. L. MENGONI, Diritto e valori, cit., p. 94.
(42) Cfr. M. LUPOI, Istituzioni …, cit., p. 316-317.
(43) Cfr. M. LUPOI, Atti istitutivi …, cit., p. 522.
(44) Cfr. M. LUPOI, Atti istitutivi …, cit., p. 493 e 524.
(45) Cfr. M. LUPOI, op. ult. cit., loc. ult. cit.
(46) M. LUPOI, Istituzioni …, cit., p. 320.
(47) M. LUPOI, Atti istitutivi …, cit., p. 486.
(48) M. LUPOI, Istituzioni …, cit., p. 329-330.
(49) M. LUPOI, Il contratto …, cit., p. 481 -, ma l’autore fa leva su autorizzazioni e pareri richiesti come da contratto, mentre, a mio parere,una richiesta di parere - espressa favorevolmente - al di fuori del contratto, ben può già mettere il soggetto interessato al riparo da richieste risarcitorie.
(50) Cfr. M. LUPOI, Atti istitutivi …, cit., p. 440-441.
(51) Op. ult. cit., loc. ult. cit.
(52) Cfr. per tutti S. PATTI, I privilegi, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu-Messineo-Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, 2003, p. 18.
(53) Nell’ambito della vastissima letteratura che riguarda la distinzione fra analogia e interpretazione estensiva, trovo sempre più convincente la proposizione - autorevole - di Letizia Gianformaggio per la quale «Credo che si possa concludere che un criterio teoricamente valido non è dato di trovarlo. La distinzione è di grado, e non di sostanza - come ormai viene frequentemente ammesso -: l’interpretazione estensiva è un’analogia “facile” ... accettabile dal senso comune dei giuristi» - Filosofia del diritto e ragionamento giuridico, Torino, 2008, p. 144 -. In quest’ottica è difficile negare all’affidatario questa difesa (molto) ragionevole, almeno per quanto riguarda la parte mobiliare del fondo affidato.
(54) Cfr. M. LUPOI, Atti istitutivi …, cit., p. 524.
(55) Cfr. M. LUPOI, Il contratto …, cit., p. 383-384.
(56) Poteri liberi nell’interesse, poteri limitati nell’interesse, poteri vincolati nell’interesse..., così G. GUARINO, Potere giuridico e diritto soggettivo, Napoli, 1949, p. 22.
(57) Richiami e approfondimenti ricchissimi in A. LUMINOSO, Mandato commissione spedizione, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu-Messineo e continuato da Mengoni, Milano,1984, p. 81 e ss.
(58) Alcuni spunti interessanti in G. GABRIELLI, «Le autorizzazioni giudiziali nella disicplina dei rapporti patrimoniali fra coniugi», in Riv. dir. civ.,1981, I, p. 35.
(59) Il contratto ..., cit., p. 322.
(60) Cfr. M. LUPOI, Il contratto …, cit., p. 361,486.
(61) L’espressione efficace, seppur impressionistica, è riportata da G. G. GUARINO, Potere giuridico …, cit., p. 84. L’autore la critica sul piano teorico, ma non sul piano pratico; in realtà illustra molto bene la situazione del diritto-dovere.
(62) Cfr. M. LUPOI, Istituzioni …, cit., p. 312-313.
(63) V., seppur in senso critico, S. CASSARINO, Le situazioni giuridiche e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 1956, p. 74.
(64) Cfr. M. LUPOI, Il contratto …, cit., p. 324.
(65) Cfr. R. GALLI, Corso di dir. amministrativo, Padova, 1991, p. 310.
(66) Cfr. M.S. GIANNINI, Lezioni di dir. amministrativo, Milano, 1950, p. 193-195.
(67) Cfr. F.G. SCOCA, Diritto amministrativo, Torino, 2014, p. 111.
(68) V. molto bene F.G. SCOCA, op. cit., p. 111-124.
(69) Cfr. R. GALLI, op. cit., p. 310-311.
(70) Cfr. R. GALLI, op. cit. loc. ult. cit.
(71) Cfr. M. LUPOI, Il contratto …, cit., p. 361.
(72) Invalidità per M. LUPOI, Il contratto …, loc. ult. cit. A mio parere non può esistere una soluzione uniforme; la casistica comunque è amplissima, v. ad esempio, per un caso particolare, Cass., 17 giugno 1995, n. 6865, in Giust. civ., 1995, 1, p. 2655 con nota di Vidiri.
(73) V. per tutti la descrizione e la messa a punto di F. GALGANO, Il negozio giuridico, in Tratt. di dir. civ. e comm. diretto da Cicu-Messineo-Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, 1988, p. 421 e ss.
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