Unioni civili e contratti di convivenza - Profili fiscali
Unioni civili e contratti di convivenza - Profili fiscali
di Adriano Pischetola
Notaio in Perugia
1. Unioni civili
Nell’unico articolo composto di ben 69 commi della legge ‘Cirinnà’ (come si indicherà anche in modo breviloquente nel prosieguo la legge 20 maggio 2016 n.76 pubblicata sulla G.U. n.118 del 21 maggio 2016 e in vigore al 5 giugno 2016) risulta delineata la disciplina di tre fattispecie affatto diverse, vale a dire le ‘unioni civili’ (commi da 1 a 35), le convivenze ‘di fatto’ (commi da 36 a 49, e comma 65) ed i contratti di convivenza (commi da 50 a 64 con esclusione del solo comma 55 afferente alla materia del trattamento dei dati personali).
Muovendo le mosse pertanto dalla prima delle tre fattispecie (e cioè dalle ‘unioni civili’ e riservando al paragrafo successivo la riflessione sulle altre due), va qui subito rilevato il dettato del comma 20 a tenore del quale “ Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.
Inoltre, si precisa che tale previsione non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella legge nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983 n.184 (in materia di adozione).
L’equiparazione o, rectius, la ‘sovrapposizione’ dei concetti e dei lemmi ‘coniuge’ e ‘coniugi, da un lato, con quelli di ‘parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso’ , dall’altro, e ciò con riferimento a leggi, atti aventi di forza di legge, regolamenti, ecc.. appare, per così dire’, ‘funzionale’’. Essa opera – dovrebbe operare – con la finalità di rendere effettiva la tutela dei diritti ed assicurare l’adempimento degli obblighi derivanti dalla unione civile tra le parti della stessa.(1)
Di fatto la ricaduta sul piano pratico di tale equiparazione finisce per essere ampia e di vasta portata, e ciò in quanto, anche attraverso una lettura in filigrana della ‘ratio legis’ e dei lavori preparatori, appare chiaro che il legislatore della novella – salvo quanto ha espressamente individuato con riferimento alle norme del codice civile non richiamate e alla legge n.184/83 – intende rendere ad ampio spettro la tutela dei diritti e l’adempimento degli obblighi legati alla status di ‘parte della unione civile’.
Ed infatti prevedendo la esclusione di tale equiparazione con riferimento solo alle norme del codice civile non espressamente richiamate dalla legge Cirinnà stessa e alle norme della legge n.184/83, indirettamente ne legittima l’applicazione a tutte le norme del codice civile richiamate e a tutte le altre norme previste da testi legislativi e normativi diversi dal codice civile stesso, segnatamente in ambito fiscale, con consequenziale applicazione delle riflessioni già maturate in tale ambito.
Si può così ritenere estensibile alle ‘unioni civili’ tutto il patrimonio ideologico, in verità ragguardevole, contenuto in documenti della prassi amministrativa e in arresti e sentenze giurisprudenziali in ordine alla rilevanza della residenza ‘del nucleo familiare’ ai fini della spettanza delle agevolazioni fiscali in materia di acquisto della 'prima casa'
Si possono d’altra parte ritenere operanti, sempre nella stessa materia, gli impedimenti collegati con lo stato di ‘coniuge’ comproprietario di altro immobile nel medesimo Comune ove è posto quello da acquistare con le dette agevolazioni (salvo poi verificare se le parti della unione civile abbiano espresso o meno opzione diversa da quella del regime di comunione legale in apposita convenzione stipulata con atto pubblico).
Riflettiamo sul fatto che ora è normativamente sancito dalla legge Cirinnà (comma 12 art.1) un diritto di ciascuna delle parti della unione civile a concordare l’indirizzo della vita familiare e a fissare la residenza comune, spettando a ciascuna di esse di attuare l’indirizzo concordato, proprio così come avviene per i coniugi. Sicché pare logico estendere anche alle parti della unione civile gli stessi ‘caveat’ e gli stessi benefici già esistenti nel vigente sistema giuridico (fiscale in particolare) in relazione ai benefici/agevolazioni di cui s’è detto per gli acquisti fatti da coniugi, in particolare se versino in regime di comunione legale. Se infatti un sistema (fatto da limitazioni ma anche da benefici, sul piano fiscale) deve operare, deve poter operare, appunto, nella sua complessità, senza lacune e sbavature, ma anzi realizzando in sé, in tal modo, la più ampia coerenza interna e attuando quella ragionevolezza del sistema stesso che è anche un principio di rango costituzionale.
La detta equiparazione parimenti, in questa prospettiva, consentirebbe la detraibilità degli interessi passivi corrisposti a fronte di mutui contratti per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale dell’altra parte dell’unione civile (diversa - per ipotesi - da quella che ha contratto il mutuo stesso): ciò in quanto l’art. 15 del TUIR prevede appunto che per abitazione principale, ai fini della detraibilità,, si intende quella nella quale il contribuente o ‘i suoi familiari’ dimorano abitualmente.
Inoltre dovrebbero operare a favore dell’altra parte dell’unione civile – stante la totale applicazione dei meccanismi successori, in materia di successione legittima e necessaria ai sensi del comma 21 art. 1 della legge in commento e stante la necessità di rendere 'effettiva' la tutela dei diritti di spettanza di ciascuna parte - anche le disposizioni circa le particolari esenzioni fiscali operanti in detta materia (pensiamo a titolo solo esemplificativo alla esenzione da imposta di successione e donazione dei trasferimenti di compendi aziendali o quote di partecipazione societaria alle condizioni stabilite dal comma 4-ter dell’art. 3 del decreto leg.vo n.346/90) o alla franchigia di cui al detto ultimo Testo unico, Così come scatterà, a carico della parte dell’unione civile sopravvissuta all’altra parte venuta a mancare e a cui la prima succede, l’obbligo della presentazione della dichiarazione di successione ex art. 28 TU n.346 (e quindi anche la particolare causa di esenzione prevista dal comma 7 se l'eredità devoluta alla parte sopravvissuta ha un valore non superiore a euro centomila e non comprende beni immobili o diritti reali immobiliari). Troverà applicazione anche la presunzione di liberalità prevista dall’art. 26 del TUR e quindi l’obbligo di dichiarare negli atti ove tale presunzione possa operare gli estremi delle eventuali donazioni anteriormente fatte dal donante al donatario (parte dell’unione civile) e i relativi valori alla data degli atti stessi, a norma dell’art. 57 2° co. del TU n.346/90.
Inoltre, in caso di scioglimento dell’unione civile la legge ‘Cirinnà’ al comma 25 ritiene applicabili molte delle disposizioni sullo scioglimento del matrimonio recate dalla legge 1° dicembre 1970 n. 898. Ora, stante il disposto dell’art. 19 della legge 6 marzo 1987 n. 74 che stabilisce l’esenzione dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa di ‘tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio..’ tale regime esentativo dovrebbe trovare applicazione ‘de plano’ anche a tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento delle unioni civili. Pertanto gli orientamenti più permissivi espressi dall’A.F. e dalla giurisprudenza in materia – sopra menzionati - dovrebbero agevolmente ritenersi estensibili anche alle unioni civili.
2. La convivenza e i relativi contratti.
La rilevanza del rapporto di convivenza more uxorio o, come si esprime la legge n. ro 76/2016, ‘di fatto’, va ben intesa.(2)
Qui ci troviamo di fronte ad una unione che deve essere stabile e caratterizzata da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, tra due persone maggiorenni non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile (comma 36) .
Inoltre la nuova legge prevede solo come ‘possibilità’ che i conviventi di fatto disciplinino i loro rapporti patrimoniali con un ‘contratto di convivenza’ redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata (come si preciserà nel prosieguo). Ma in mancanza di tale contratto il legame ‘di fatto’ sussiste ugualmente e comporta parimenti la produzione di una griglia di situazioni giuridiche previste dai commi 38 (diritti stabiliti dall’ordinamento penitenziario), 39 (diritto reciproco di visita, di assistenza morale e di accesso alle informazioni personali in caso di malattia o di ricovero), 40 (facoltà di designazione dell’altro convivente quale rappresentante dell’altro per le fattispecie ivi indicate), 42 e 44 (diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza di proprietario del convivente deceduto per il tempo e nelle circostanze stabilite dal comma stesso o di succedere nel contratto di locazione già stipulato dal convivente conduttore, poi deceduto), 45 (godimento di titolo o causa di prelazione nelle graduatorie per assegnazione di alloggi di edilizia popolare derivante dalla situazione di convivenza di fatto), 46 ( diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa familiare, ai beni acquistati con essi e agli incrementi dell’azienda), 48 (possibilità per un convivente di essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno dell’altro convivente dichiarato interdetto, inabilitato o sia beneficiario dell’amministrazione di sostegno; 49 (diritto al risarcimento del danno per il fatto illecito consumato da terzi nei confronti dell’altro convivente), 65 (diritto del convivente a ricevere dall’altro gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento in caso di cessazione della convivenza di fatto e sempre in base ad un provvedimento giudiziale).
Ma sul piano fiscale tale rapporto di ‘convivenza’ non risulta significativo né rilevante, se si fa qualche rara eccezione, anche sul piano della prassi perseguita dall’A.F.
Così nella Ris. n. 64/E del 28 luglio 2016 è stato precisato che il convivente more uxorio che sostenga , nel rispetto delle condizioni previste dal richiamato art. 16- bis del TUIR, le spese di recupero del patrimonio edilizio per una delle abitazioni nelle quali si esplica il rapporto di convivenza anche se diversa dall’abitazione principale della coppia, può fruire della detrazione alla stregua dei familiari conviventi.
Invece non è più in vigore - stante l'attuale legge di Bilancio per il 2017 ( LEGGE 11 dicembre 2016, n. 232) - quanto era stato già previsto nella legge di Stabilità per il 2016 (n.208/2015) al comma 75 art. 1 ove si stabiliva che " Le giovani coppie costituenti un nucleo familiare composto da coniugi o da conviventi more uxorio che abbiano costituito nucleo da almeno tre anni, in cui almeno uno dei due componenti non abbia superato i trentacinque anni, acquirenti di unita' immobiliare da adibire ad abitazione principale, possono beneficiare di una detrazione Irpef del 50 per cento delle spese documentate sostenute, dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016, per l'acquisto di mobili ad arredo della stessa unita' abitativa” (detrazione calcolata su un ammontare complessivo non superiore a 16.000 euro e non cumulabile con l'ordinario bonus arredi). "
Inoltre, in una circolare di qualche tempo fa (n.6/E dell’11 marzo 2014) l’Amministrazione Finanziaria già aveva dato opportune istruzioni ai suoi uffici affinchè, nella valutazione della ‘capacità contributiva’ di ogni singolo contribuente per addivenire ad eventuale accertamenti sintetici del reddito complessivo delle persone fisiche, venga presa in considerazione quella che è la reale produttività reddituale di tutto il suo nucleo familiare (dal punto di vista anagrafico), anche laddove in esso figurino solo conviventi di fatto e non anche o non solo soggetti legati da rapporto di coniugio o parentela.(3)
In ogni caso - oltre quanto detto - non emerge una particolare attenzione del legislatore fiscale al rapporto di convivenza, e di fatti non è emersa nemmeno nella stesura del testo di legge qui in commento.
Ciò - è da sottolineare - sia pure a dispetto del rilievo che tale condizione di convivenza sta assumendo progressivamente nella elaborazione giurisprudenziale e in parte, prima ancora della emanazione della novella al vaglio, aveva già assunto in talune norme del sistema positivo. (4)
2.1 Il regime fiscale dei ‘contratti di convivenza'
Nella legge 20 maggio 2016 n.76 non emerge alcuna disciplina del profilo fiscale delle 'convivenze'; sicché - quanto alle imposte indirette e quindi con riferimento agli atti e ai negozi giuridici ad esse afferenti, e segnatamente ai cd. 'contratti di convivenza'(5) destinati a disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla vita in comune dei conviventi, come recita il comma 50 dell’unico articolo della legge - è l'interprete che soggiace all'onere di individuare l'applicazione del relativo regime e di eventuali norme di esenzione e/o di agevolazione in ambito fiscale.
Ma una premessa è ineludibile.
L'analisi da cui prendono le mosse le presenti note suppone per acquisito un concetto: si può parlare di rilevanza fiscale nell'ambito delle dette imposte solo in presenza di:
- 'atti soggetti a registrazione e di quelli volontariamente presentati per la registrazione' (ai sensi dell'art. 1 del TUR approvato con DPR n.131/86 per l'applicazione dell'imposta di registro);
- o di atti dai quali emergano "trasferimenti di beni e diritti per donazione o altre liberalità tra vivi" o "costituzione di vincoli di destinazione" di cui all'’art. 2645 - ter c.c. (ai sensi dell’ art. 2 commi 47 ss. del d.l. 3 ottobre 2006 n.262 convertito in legge 24 novembre 2006 n.286 e ai sensi dell’art. 1 TU n.346/90, per l'applicazione eventuale dell'imposta di donazione);
- di atti che siano espressamente previsti nella Tariffa annessa al DPR n.642/72 (per quanto attiene all'imposta di bollo),
e/o infine
- di atti che comportino esecuzione di formalità pubblicitarie (ai sensi degli artt. 1 e 10 del TU n.347/90, per quanto attiene alle imposte ipotecaria e catastale).
Non assumono pertanto rilievo, nella prospettiva che qui ci occupa, quelle condotte comportamentali, sia pure espressione di diritti e facoltà riconosciuti ai conviventi dalla novella di cui alla legge n.76 (ad es. nell'esercizio del diritto di visita, di assistenza, di accesso alle informazioni personali, di continuazione all'abitazione, ecc..), ma non indicative di alcuna 'capacità contributiva' o almeno non trasfuse in alcun atto rilevante con riguardo alle imposte di cui sopra. Analogamente talora (ad es. per l'atto di designazione da parte di un convivente nei confronti dell'altro quale suo 'rappresentante con poteri pieni o limitati', così come recita il comma 40 dell'unico articolo della legge n.76 in caso di malattia o in caso di morte) è prevista - per quanto è dato comprendere dalla formulazione letterale del testo di legge - una modalità semplificata di perfezionamento dell'atto stesso (sia pure in forma scritta e autografa o, in caso di impedimento alla sottoscrizione, alla presenza di un testimone); tale che - se non si ricorra volontariamente ad una forma più solenne: atto pubblico o scrittura privata autenticata - la fattispecie sembra non assumere alcuna rilevanza sul piano fiscale, e ciò in sintonia con la 'ratio' sottesa alla legge stessa finalizzata a consentire più agevolmente ai conviventi l'esercizio di talune facoltà o diritti (di regola spettanti a soggetti uniti da vincolo coniugale o 'parti' di una unione civile).
Infine, nell'ambito delle presenti premesse, è bene collocare la precisazione che - segnatamente per il trattamento fiscale delle fattispecie contrattuali, espressione della cd. 'contrattualizzazione' dei rapporti tra conviventi, ai sensi del ricordato comma 50 dell'unico articolo della legge in commento - assume capitale importanza la valorizzazione del profilo causale delle fattispecie così perfezionate. Ed invero la individuazione della discriminante tra gratuità, da un lato, ed onerosità o contrattazione comunque non (necessariamente) gratuita dall'altro, è il necessario presupposto dell'attività (talora non agevole), rimessa all'interprete, finalizzata all'applicazione del corretto trattamento fiscale della singola concreta fattispecie contrattuale o comunque documentale. Il ricorso allo strumento contrattuale da parte dei conviventi - ora legittimato dall' espresso dettato legislativo - può infatti giustificarsi non solo per finalità le più diverse (da quelle programmatiche e compilative a quelle destinative ed attributive), ma anche con colorazioni causali assolutamente differenziate a seconda dei soggetti protagonisti della 'convivenza' e delle situazioni concrete che i medesimi, proprio mercé la stipula del regolamento pattizio, intendono talora 'normalizzare' o altre volte 'definire', magari con riferimento a tempi trascorsi o, al contrario, futuri. Per ipotesi, è lecito chiedersi: la costituzione di un diritto di abitazione da parte di un convivente a favore dell'altro su di un immobile di proprietà del primo, magari a titolo di riconoscimento o di rimunerazione degli apporti arrecati da quest'ultimo al ménage familiare (e al di fuori pertanto delle ipotesi 'legali' di diritto alla 'continuazione' dell'abitazione ai sensi del comma 42 dell'unico articolo della legge Cirinnà) è atto sicuramente 'gratuito' (soggetto al regime impositivo del TU n.346/90 in materia di imposta di successione e donazione) o è atto (in qualche modo) oneroso, in quanto indirettamente compensativo delle prestazioni (di ampio respiro) rese dal convivente beneficiario in quello stesso ambito familiare? E, soprattutto, ponendosi nell'ottica dell'Erario, potrà essere apertamente propugnata in contratto dai conviventi/contribuenti una colorazione della causa 'concreta' dell'atto così stipulato (magari invocando il trattamento fiscale previsto per gli atti a titolo oneroso, talora più docile rispetto a quello previsto per gli atti 'gratuiti', data l'assenza di una qualche franchigia), pur in assenza di un corrispettivo pecuniario o di una controprestazione 'immediata' posta su di un piano di percepibile ed incontestabile sinallagmaticità rispetto a quella resa dal convivente 'costituente' o 'destinante'? e allargando la prospettiva, la 'giuridicizzazione' di eventuali obbligazioni 'naturali' a carico dell'uno o dell'altro convivente, attraverso il rimedio contrattuale, può avere una rilevanza anche sul piano fiscale o deve solo arretrare, relegata nella sfera dei motivi e della intenzionalità soggettiva, senza alcun 'riverbero' su quel piano medesimo?
Si tratta di interrogativi doverosi per chi vuole, senza pretesa di formulare inscalfibili verità giuridiche, tentare un approccio, sia pure esplorativo, della materia al vaglio, sotto la lente d'ingrandimento del relativo regime fiscale applicabile.
2.2 Limiti applicativi della legge n.74/87.
Il primo banco di prova, quello, per così dire, 'naturalmente' più immediato, in cui l'interprete è chiamato a verificare l'applicazione, anche se solo in via analogica o estensiva, di un regime di esenzione da ogni imposta e/o tassa, è quello offerto dalla legge n.74/87 (recante norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimoni), il cui art. 19 - come noto - recita: "Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli articoli 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 , sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa ".
La norma, oggetto di applicazione estensiva agli atti afferenti al procedimento di separazione tra coniugi in forza di una 'storica' sentenza della Corte Costituzionale(7) che soggetti astretti dal vincolo coniugale abbiano intrapreso per definire materie e questioni attinenti al loro rapporto nell'ambito di un procedimento, appunto, di separazione o divorzile e per consentire - come la medesima Corte ebbe a precisare nella sentenza 11 giugno 2003, n. 202 - di soddisfare "l'esigenza di agevolare, e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l'adempimento delle obbligazioni che gravano, ad esempio, sul coniuge non affidatario della prole".
E' lecito chiedersi: questa medesima 'ratio' attiene anche alle dichiarazioni di volontà negoziali poste a fondamento delle vicende contrattuali perfezionate dai 'conviventi' per regolare i loro rapporti patrimoniali? E, peraltro, quale sarebbe il 'procedimento' nell'ambito del quale queste vicende contrattuali, per ipotesi, vanno a collocarsi, per fruire del regime di esenzione ai sensi dell'art. 19 citato?
Risulta evidente che lo scenario di patologia procedimentale presupposto per il trattamento fiscale di favore dall'art. 19 qui difetta, perché non esiste alcuna procedura della quale si debba semplificare l'articolazione o lo svolgimento.
Da un’altra prospettiva, peraltro, è pur vero che, soprattutto in riferimento a materie che abbiamo formato oggetto di espressa disciplina nel contratto di 'convivenza', si potrebbe porre la necessità di una tutela giurisdizionale più agile e snella , soprattutto se si ha riguardo al rapporto di 'convivenza' come costitutivo di una “formazione sociale” ove si svolge la personalità dei conviventi ex art.2 Cost.(8)
Potrebbe ad esempio verificarsi l’esigenza di ricorrere alla tutela giurisdizionale per l'adempimento di obblighi cui siano tenuti entrambi i conviventi, con riferimento alla prole, di cui , secondo il nuovo dettato dell’art. 316 c.c., essi abbiano la ‘responsabilità genitoriale’ (essendo ormai andato in soffitta il concetto di ‘potestà’). All'uopo, proprio nella citata sentenza della Corte Cost. n.202/2003 si è dichiarata legittima l'applicazione del regime tributario di favore anche in 'mancanza del rapporto di coniugio fra le parti' per un provvedimento di condanna al contributo di mantenimento a favore della prole. Secondo la Corte infatti "ciò che rileva è che si è in presenza di...provvedimento di quantificazione del contributo di mantenimento a favore della prole, in relazione al quale ricorrono le stesse considerazioni che militano a favore dell'esenzione tributaria qualora lo stesso sia assunto in tema di separazione e di divorzio".
Ma, appunto, nell'ipotesi di contratto di convivenza ipotizzato dal legislatore della novella, oggetto di disciplina sono di regola le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno dei conviventi e alla capacità di lavoro professionale o casalingo, che - deve intendersi - vengano convenute ad hoc con riferimento ai rapporti reciproci fra di essi e che non siano già recepite in un provvedimento di condanna emesso dall'autorità giudiziaria: quelle per il concorso al mantenimento della prole, ad esempio, ex art. 316-bis c.c., potrebbero semmai formare oggetto di un provvedimento giurisdizionale cui forse potrebbe applicarsi la esenzione tributaria in conformità con il ragionamento svolto dalla Corte Costituzionale nella ricordata sentenza n.202/2003. Di certo le pattuizioni di contenuto patrimoniale, recate dai contratti stipulati tra i conviventi, avendo generalmente un contenuto programmatico o organizzativo, attengono ad un rapporto che non nasce di regola già patologico, o comunque attengono a situazioni che potrebbero innescare un procedimento contenzioso semmai solo in una fase successiva, ma non in quella genetica. Ragione per la quale, al momento in cui quelle pattuizioni vengono convenute, non ricorre la eventuale esigenza - collegata alla relativa tutela giurisdizionale - di un alleggerimento dell'onere fiscale indotto dalla loro stipula.
Pertanto l'applicazione in via estensiva o analogica del regime tributario di favore al vaglio ai contratti di convivenza non pare operazione, allo stato attuale, concettualmente possibile, in assenza di un espresso intervento legislativo in tal senso, e soprattutto a fronte della formulazione letterale del regime di esenzione di cui all’art. 19 più volte citato.(9)
3. La imposizione indiretta dei contratti di convivenza.
Una prima constatazione appare propedeutica a quanto si andrà esponendo nel prosieguo.
Il legislatore della novella non ha indicato i contenuti ‘obbligatori’ degli stipulandi contratti di convivenza, ma quelli ‘possibili’. Il comma 53 dell’unico articolo della legge usa la locuzione “il contratto può contenere”, ed indica solo tre dei molteplici ambiti in cui si può articolare la fitta rete di rapporti patrimoniali intercorrenti tra i conviventi, ambiti riferiti solo:
a) alla indicazione della residenza
b) alle modalità di contribuzione
c) al regime patrimoniale della comunione.
E’ giocoforza pensare allora che i soggetti dell’ordinamento, interessati a consacrare in un contratto, gli accordi, le intese e gli impegni che attengano ai loro rapporti patrimoniali quali conviventi, addivengano alla disciplina anche di molti altri profili che non sono stati menzionati tra quelli ritenuti solo ‘possibili’ dal legislatore della novella e diano vita a regolamenti dei reciproci interessi ben più incisivi e dettagliati rispetto a quelli che il legislatore stesso non abbia potuto pensare; il che ancora una volta evidenza l’importanza dell’inquadramento fiscale di questi contratti.
Orbene, dinanzi alla situazione di anomia fiscale dell'istituto in parola (contratto di convivenza) e a fronte della implausibile applicazione del regime di esenzione di cui si è ampiamente detto nel paragrafo che precede, è giocoforza procedere all'analisi della 'intrinseca natura e degli effetti giuridici' (10)del singolo contratto e delle clausole di cui esso consta, per argomentare in ordine al suo trattamento fiscale.
E all'uopo una prima fondamentale distinzione va operata tra fattispecie contrattuali che non espongano alcun riferimento e non deducano a proprio oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, e quelle che al contrario facciano emergere un profilo di patrimonialità di siffatte prestazioni ( o se si vuole di effettiva 'capacità contributiva' dei contraenti), dovendo poi operare un ulteriore distinguo nell'ambito delle seconde tra quelle che costituiscono o meno oggetto (mediato o immediato) di un regolamento contrattuale con o senza efficacia traslativa.
3.1 Convenzioni (e clausole) non aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale
Orbene, per le dette convenzioni e clausole non aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, risulterà applicabile (ed una sola volta, qualunque sia il numero delle convenzioni e clausole riportate nell’unico documento sottoposto alla registrazione(11)) l’imposta di registro in misura fissa. Così pertanto dicasi - e a solo scopo esemplificativo - per quelle convenzioni con cui i contraenti/conviventi facciano riferimento ad un inventario dei beni e stabiliscano una presunzione di titolarità, precisino il significato da attribuire alle attribuzioni patrimoniali, concordino l’instaurazione di un regime di comunione o esplicitino che resta in vigore il regime di separazione per tuti gli acquisti che ciascuno di essi andrà a perfezionare in costanza di convivenza; o ancora siglino un accordo preventivo sulla cessazione della convivenza o si accordino per la regolamentazione dei rapporti parentali di un figlio minorenne di un ex-convivente more uxorio riconosciuto o infine dettino norme ‘programmatiche’ circa le modalità di assistenza in caso di malattia o circa la durata del contratto di convivenza. Segnatamente potrebbero rientrare tra tali fattispecie contrattuali tutte quelle convenzioni che (se, fossimo nell’ambito delle categorie concettuali della famiglia originata da una unione coniugale, potremmo dire) attengano al regime primario (e quindi al profilo ‘contributivo’ piuttosto che a quello ‘distributivo) della unione fra conviventi.
Esempi tipici di siffatte clausole potrebbero essere quello in cui i conviventi Tizio e Caia, in riguardo e a causa del rapporto di convivenza tra i medesimi intercorrente, convengano di provvedere ai bisogni del loro rapporto, e quindi alle spese comuni, in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale [o casalingo] oppure di provvedere ai bisogni del loro rapporto, e quindi alle spese comuni, in percentuali uguali o diversificate in considerazione anche dell'apporto di tipo morale e affettivo recato da ciascuno; o ancora convengano di provvedere ai bisogni del loro rapporto, e quindi alle spese comuni, in una misura fissa o in misura percentuale magari diversificandone l’entità tra i conviventi in considerazione anche dell'apporto di tipo morale e affettivo di entrambi o di uno di essi in particolare.
3.2 Convenzioni (e clausole) aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale
Per le dette convenzioni (e clausole) invece aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (diverse da quelle con efficacia attributiva di cui si dirà nel prosieguo), l’interprete – al fine di individuare il corretto trattamento fiscale – dovrà di volta in volta verificare ‘quale’ prestazione a contenuto patrimoniale la convenzione ( o la clausola) pattuita comporti e quale ne sia il ‘titolo’ (se oneroso o gratuito), in modo da stabilire in via preliminare e pregiudiziale in quale ambito la statuizione o pattuizione negoziale si colloca, se in quello inciso con imposta di registro o con imposta di donazione.
Così, ed a scopo solo esemplificativo, in tutti i casi in cui uno o entrambi i conviventi s’impegnino ad una contribuzione in danaro o in natura per sopperire alle necessità del menage, sarà giocoforza discriminare le ipotesi in cui tali impegni siano unilaterali da quelle in cui essi si pongano su di un piano di corrispettività e di sostanziale parità economico-finanziaria, in quanto nelle prime (se assimilabili in un certo qual modo ad una sorta di ‘rendita’ o di ‘pensione’) potrebbe trovare applicazione il sistema impositivo previsto dalla normativa fiscale vigente (ex art. 2 commi 47 ss. del d.l. 3 ottobre 2006 n.262 convertito in legge 24 novembre 2006 n.286 ed ex TU n.346/90) per gli atti a titolo ‘gratuito’ (e quindi non necessariamente donativi o liberali) e nelle altre ipotesi invece potrebbe trovare applicazione il sistema impositivo previsto dalla normativa fiscale vigente per gli atti a titolo oneroso (e quindi applicando un’imposta di registro ad una base imponibile commisurata al valore della ‘prestazione che dà luogo all’applicazione della maggiore imposta’ ex lettera c) art. 43 del TUR).
Se infatti in questi tipi di contratti si ritiene di regola assente l’intento donativo, ciò non vuol dire che non possa trovare ingresso anche la normativa fiscale di cui al TU n.346/90 (in assenza di ogni corrispettività tra le prestazioni cui s’impegnano i contraenti) applicabile (per effetto delle disposizioni contenute nel richiamato d.l. n.262/2006) anche agli atti a titolo gratuito non donativi. D’altra parte la detta ultima normativa fiscale dovrebbe trovare ingresso anche a fronte di prestazioni poste dai contraenti su di un piano di (apparente) corrispettività, ma del tutto ‘squilibrate’ e sproporzionate tra di esse.
Analogamente, e per converso, se tra le prestazioni dedotte nel contratto di convivenza si profila una sostanziale parità o corrispondenza sinallagmatica sotto il profilo economico, si dovrebbe coerentemente uscire fuori dall’alveo del sistema impositivo segnato dal TU n.346/90 per rientrare in quello del TUR (DPR n.131/86).
Va peraltro precisato che, seppure venga convenuto che certe spese debbano essere sostenute in misura paritaria (od anche non paritaria), ciò non fa nascere subito un’attribuzione imponibile, essendo questa legata all’effettivo verificarsi dell’evento; con il che non pare potersi andare oltre la debenza dell’imposta fissa che è dovuta per tutti gli atti assimilabili a quelli sottoposti a condizione sospensiva.
Da altro punto di vista, non si può escludere, peraltro, a proposito delle clausole riguardanti la suddivisione delle spese della convivenza (con assunzione reciproca di obblighi di sostenere le spese stesse), che una loro natura di mandato, con o senza rappresentanza, rispetto al quale o l’imputazione diretta degli effetti giuridici con il congegno della rappresentanza o l’imputazione di quelli economici con quello dell’ agire per conto altrui (ma non in nome altrui), porti ad una rendicontazione tra le Parti che nulla abbia a che vedere con uno “scambio” cui far risalire la natura onerosa.
► C’è solo da chiarire che l’imposta di donazione (applicata anche come detto anche ad atti gratuiti non donativi) presuppone che via sia un trasferimento di beni o diritti o che si ponga in essere la costituzione di una vera e propria rendita (consistente nella dazione di una somma di danaro o di una certa quantità di altre cose fungibili) o la costituzione di una pensione (ex art. 1 del TU n.346/90).
Ciò è particolarmente importante per stabilire quale rilievo fiscale abbia quella fattispecie in cui uno dei conviventi, in riguardo e a causa del rapporto di convivenza intercorrente con l’altro, si obblighi nei suoi confronti a provvedere al suo mantenimento e a prestare qualunque tipo di assistenza morale e materiale qualora, per avventura, questi fosse in stato di bisogno e non fosse in grado di provvedervi con proprie disponibilità finanziarie o si trovasse comunque in condizioni soggettive e/o oggettive tali da non potervi provvedere. In effetti in tal caso non si trasferisce (da subito) alcun bene o diritto, né si costituisce una rendita o una pensione, ma si assume solo l’obbligo della prestazione di un ‘facere’ che può avere ampio e diversificato contenuto.
Ci si può chiedere se un'obbligazione siffatta (non già di un 'dare' ma di un 'facere'), possa formare oggetto di una donazione obbligatoria, quella cioè in cui il donante assuma verso il donatario appunto un'obbligazione, così come recita e prevede espressamente l'ultimo inciso dell'art. 769 c.c., e quindi per questa via far approdare la fattispecie al vaglio nell'ambito applicativo del sistema impositivo di cui al TU n.346/90. Epperò - come è noto - la dottrina più avveduta e prevalente esclude che oggetto di una donazione sia pure obbligatoria possa consistere in un 'facere'(13)
Sta di fatto che l'attuale struttura dell'imposta di donazione (e successione) si fonda sulla necessità di un effettivo, tangibile accrescimento patrimoniale del destinatario(14), laddove per 'accrescimento' si suole intendere tutto ciò che a livello patrimoniale è corrispettivo e speculare ad un 'trasferimento di un bene o di un diritto', effettuato dal donante e quindi ad un 'distacco' di un'entità economicamente valutabile dal patrimonio di questi. Non a caso il secondo comma dell'art. 1 del TU n.346/90 stabilendo in modo espresso che si 'considera' trasferimento (imponibile) anche la costituzione di rendite e pensioni, sembra limitare solo a questa fattispecie negoziale (appunto espressamente prevista) diversa da un reale trasferimento l'applicazione dell'imposta di donazione e non ad altre.
E’ allora possibile che una convenzione come quella sopra descritta (di obbligazione al mantenimento e all'assistenza morale e materiale a carico di uno solo dei conviventi e a favore dell'altro, se non ritenuta mera sottospecie di una sorta di rendita o di pensione(16), peraltro di ardua individuazione al momento della stipula dell’atto. Potrebbe soccorrere in tal caso la tecnica della tassazione con i criteri dell’art. 35 del TUR, ossia applicare l’imposta su di un valore solo provvisoriamente determinato, salvo successiva più esatta quantificazione quando si saranno verificati altri fatti o circostanze specificative di quel valore, grazie ad una successiva denuncia effettuata dal contribuente all’Ufficio ai sensi dell’art. 19 del TUR. D’altra parte l’esistenza di una circostanza condizionante (e cioè lo ‘stato di bisogno’ del convivente beneficiario) potrebbe giustificare l’applicazione per intanto della imposta di registro nella sola misura fissa, salvo anche stavolta l’obbligo della denuncia successiva ex art. 19 al verificarsi della condizione stessa.
► Ci si può ancora chiedere quale possa essere il trattamento fiscale di una eventuale donazione liberatoria che uno dei conviventi – creditore dell’altro per una causa estranea al loro legame affettivo - intenda stipulare a favore dell’altro, magari alla scopo di porre in essere in tale modo una condotta negoziale direttamente o indirettamente estintiva del debito a sua volta gravante sul convivente donante per le prestazioni rese dall’altro convivente-donatario nell’ambito del ménage dai medesimi intrattenuto.
La donazione liberatoria, come è noto, pur non essendo espressamente disciplinata dal codice all’art. 769 c.c., è ritenuto istituto sicuramente ammissibile, se anche la Relazione al Codice precisa che nel concetto di ‘disposizione di un diritto’ rientra sia la donazione reale che quella liberatoria.(18) ha ritenuto al contrario che la cd. donazione liberatoria in effetti non esiste, esaurendosi di fatto in una remissione del debito (in considerazione anche della ritenuta superfluità dell’accettazione del beneficiario della remissione stessa): semmai, continua questa dottrina, si tratterebbe di una donazione indiretta.
La questione, a fini fiscali, comporta altre specifiche valutazioni.
Come si è accennato il TU n.346/90 in materia di imposta di successione e donazione, richiede una vicenda traslativa di un diritto e di un bene perché possa trovare pratica applicazione. Nella donazione liberatoria non c’è trasferimento: indubbiamente c’è un arricchimento del beneficiario (non più tenuto alla esecuzione della prestazione oggetto della pretesa creditoria del donante remittente), ma non si verifica alcun evento traslativo. D’altra parte è innegabile che se il debitore più non è tenuto ad una prestazione la cui esecuzione avrebbe comportato un depauperamento patrimoniale, abbia comunque, in via indiretta, acquisito un beneficio economicamente apprezzabile. E tra l’altro c’è da considerare che l’art. 1 del predetto TU n.346 qualifica ‘trasferimento’ anche la rinunzia a diritti di credito.
Ciò fa ritenere che – a prescindere dall’intuito realmente liberale o meno che lo connoti – il negozio estintivo di una situazione debitoria posto in essere da un convivente – con accettazione o meno dell’altro convivente beneficiario – sia soggetto a fini fiscali di volta in volta al regime impositivo del TU n.346/90 (quindi imposta di donazione) laddove risulti che la ‘donazione’ liberatoria sia stata conclusa con un congegno negoziale che ne esalti e ne sottolinei la natura ‘gratuita’ (in assenza cioè di totale corrispettività e di alcun sacrificio economico, anche pregresso, da parte del donatario-beneficiario), e al contrario sia soggetto al regime impositivo stabilito dall’art. 6 della tariffa Parte Prima allegata al TUR n.131/86, e quindi imposta di registro con aliquota dello 0,50%, laddove, dalle medesime precisazioni opportunamente riportate nel contesto dell’atto remissivo, si evidenzi il contrario: tanto più se ad esso si accompagni – e si evidenzi – una concorrente funzione compensativa di eventuali posizioni (da ritenersi o qualificate espressamente in atto come) debitorie già a carico del medesimo convivente donante-remittente.
► Diversa ancora è la incidenza sul piano fiscale della deduzione nel contratto di convivenza di una obbligazione ‘naturale’ che uno dei conviventi intenda adempiere nei confronti dell’altro, per ragione e titolo della convivenza stessa tra gli stessi intercorrente. Come è noto quella delle obbligazioni naturali è un’area a cui consuetudinariamente sono stati ritenuti appartenere i doveri morali e sociali, come tali non coercibili e dal cui spontaneo adempimento da parte del debitore scaturisce il solo e limitato effetto della cd. soluti retentio a vantaggio del beneficiario della prestazione eseguita, ai sensi dell'art. 2034 c.c. E spesso non è mancata in Giurisprudenza la evocazione di siffatta area proprio per evidenziare una qualche identità giuridicamente rilevante dei doveri (appunto morali e sociali) a carico dei conviventi: doveri che, per il fatto stesso della convivenza foriera di situazioni giuridiche ritenute apprezzabili, si riteneva scaturissero dalla medesima.(19)
Orbene, sul piano fiscale, una siffatta opzione contrattuale – se non caratterizzata da un espresso animus donandi né da un generico profilo di gratuità – potrebbe ritenersi estromessa dal TU n.346/90 in quanto l’assenza dell’intento liberale e della connotazione di gratuità, sia pure generica, sembrerebbe orientare in tal senso.
Del resto è da rilevare che la deduzione in contratto di una obbligazione (già ‘naturale’) ne comporta – in qualche modo – la ‘giuridicizzazione’, in quanto conferisce alla medesima quella peculiare caratteristica di cogenza e di eseguibilità anche coattiva che ad essa, per l’appunto, mancava(20).
E se tale ‘deduzione’ avviene nella consapevolezza, magari resa rilevante su di un piano causale (i.e.: come causa ‘concreta’), che in tal modo si intenda adempiere un “dovere cui non è possibile sottrarsi” di guisa che “l’accadimento assuma…i connotati propri del negozio oneroso”(21), si dovrebbe coerentemente rifluire solo nell’ambito dell’imposta prevista dal TU n.131/86.
► Inoltre per determinate clausole (come quella ‘penale’ e per eventuali dichiarazioni di ‘debito’) bisognerà valutarne l’incidenza fiscale specifica, soprattutto se la loro imposizione non possa essere considerata ricompresa in quella della convenzione ‘principale’ cui accedano.
Esempio della prima potrebbe essere quella in cui un convivente, inadempiente agli obblighi derivanti da un determinata clausola del contratto di convivenza, dovesse corrispondere all’altro, a titolo di penale, una determinata somma salvo l’eventuale maggior danno, che il convivente non inadempiente fosse comunque ammesso a provare.
Anche qui, peraltro, dal momento che la penale raggiunge l’effettività con l’inadempimento e solo a partire da questo assume rilevanza fiscale, analogamente all’atto sottoposto a condizione sospensiva, esso farà scattare l’obbligo di denuncia ex art. 19 TUR.
Esempio della seconda clausola (della dichiarazione di debito), utilizzata nella prassi d’Oltralpe, potrebbe essere quella per cui si stabilisca che al momento dell’apertura della successione di uno dei conviventi, l’altro possa assumere la posizione di creditore per un determinato ammontare o per una certa prestazione nei confronti del compendio ereditario dal quale risulti per ipotesi escluso come erede.
Qui ci troveremmo di fronte ad un riconoscimento di debito,(22) anch’esso peraltro sottoposto alla condizione sospensiva della premorienza del convivente in relazione alla cui futura eredità l’altro convivente potrebbe vantare la veste di creditore nei confronti dell’asse ereditario. Peraltro è discutibile la validità di una siffatta clausola che è destinata di fatto a costituire una situazione giuridica di vantaggio economico (una sorta di ‘legato di credito’) a favore del convivente sopravvissuto, al di fuori e con forme diverse dal testamento.
► Infine, quanto alle convenzioni in cui uno dei conviventi si obbliga a far sì e/o consente che l’altro convivente disponga di un diritto di abitazione (personale o reale) sulla casa di proprietà del primo o magari condotta solo a titolo locativo, è bene rilevare che potrà trovare applicazione l’imposta di donazione (TU n.346/90) solo a fronte della costituzione di un vero e proprio diritto reale di godimento, non prevedendo il TU n.346/90 l’imposizione di atti di concessione del diritto ‘personale’ di godimento di un immobile. In effetti, a ben vedere, la concessione di tale facoltà soggettiva (priva - ripetesi - di ogni colorazione in senso reale e di regola riconosciuta in assenza di qualunque corrispettivo), di fatto si raccorda 'de plano' con la medesima situazione giuridica scaturente da un vero e proprio rapporto di comodato (art. 1803 c.c.) che, come noto, è 'essenzialmente gratuito'. Ma per esso, se ha per oggetto immobili, non scatta di certo l'imposta di donazione, pur a fronte della sua naturale gratuità, in quanto difetta qualsiasi arricchimento patrimoniale definitivo e stabile a favore del comodatario e in quanto, tra l'altro, è la legge stessa all'art. 5 n.4 della Tariffa Parte Prima del TUR n.131/86 a prevederne la tassazione con la sola imposta di registro e nella misura fissa.(23)
4. La imposizione indiretta dei contratti di convivenza portanti convenzioni (e clausole) con efficacia traslativa.
Discorso a parte (e più specifico) deve essere poi articolato in relazione alle convenzioni intercorse tra conviventi (e quindi anche alle relative clausole contrattuali) che abbiano un profilo sicuramente rilevante sul piano patrimoniale, comportando, specificamente, un trasferimento di beni e diritti.
In questa sede (a fronte delle innumerevoli forme in cui si può produrre l'effetto traslativo e/o costitutivo) si può solo tentare di ipotizzare qualcuna delle forme canoniche attraverso le quali di regola quell'effetto si produce per argomentare in relazione al relativo trattamento fiscale.
E così si può dire che in linea di massima quell'effetto:
1) non sia altro che l’effetto di un contratto ‘tipico’ di donazione o vendita, nel qual caso non si profilerà criticità alcuna circa il relativo trattamento fiscale applicandosi i principi generali in materia;
2) o avvenga nell’ambito di un contratto traslativo posto in essere nell’adempimento di una pregressa obbligazione contrattuale assunta dal disponente o di un’obbligazione ‘naturale’ (connessa come tale al legame di convivenza in sé);
3) o si articoli come ‘corrispettivo’ di una prestazione assistenziale, magari vitalizia, cui per ipotesi si possa obbligare anche un terzo ‘vitaliziante’: prestazione da eseguire a favore di un primo beneficiario (vitaliziato) e, laddove opportuno o richiesto, anche a favore di ulteriore beneficiario, dopo la morte del primo (nella formula del contratto a favore del terzo - beneficiario - da eseguire dopa la morte dello stipulante ex art. 1412 c.c.);
4) o derivi dalla costituzione di un vincolo di destinazione ex art. 2645 – ter c.c.;
5) o infine sia connesso con la stipula di un trust.
Quanto alla ipotesi sub 2), esclusa, di regola, la causa donativa o liberale, il trasferimento può non essere considerato semplicisticamente ‘a titolo gratuito’ (circostanza che ovviamente renderebbe operativa l’applicabilità delle disposizioni di cui al TU n.346/90) qualora si ritenga che l’atto traslativo o attributivo (anche per ipotesi divisorio, allorché si tratti di uno di quegli atti che hanno per effetto lo scioglimento della comunione) possa essere qualificato al contrario come ‘oneroso’, in quanto perfezionato in esecuzione di un obbligo (atto quindi ‘dovuto’) già assunto tra i conviventi in tempi antecedenti al trasferimento stesso o da ritenersi connesso con il tipo di particolare legame di convivenza. Neanche rileverebbe sotto questo profilo, per ascrivere le fattispecie in esame all’area della onerosità, la circostanza che non vi sia il pagamento di un corrispettivo in senso tecnico.
Al riguardo si ricorda come attenta dottrina(24) abbia rilevato come “nel caso dell’obbligazione di dare e del pagamento traslativo, il corrispettivo – quale ordinaria giustificazione del trasferimento – è sostituito dalla presenza di un’obbligazione specifica, di fonte legale o convenzionale, di cui il negozio dispositivo è attuazione. Sicché può senz’altro dirsi che la gratuità del trasferimento è meramente apparente, nel senso che è soltanto una caratteristica strutturale e non funzionale del negozio, con il quale il debitore adempie la propria obbligazione. In tal senso può ancora dirsi che la costruzione negoziale di obbligazioni di dare seguite da un pagamento traslativo tende a collocarsi nell’alveo delle operazioni contrattuali a titolo oneroso, ancorché l’onerosità non appaia dalla struttura negoziale specifica come corrispettività/reciprocità delle prestazioni, ma possa tuttavia ricostruirsi dalla lettura complessiva di tutti gli atti, fatti e rapporti giuridici di cui l’operazione economica si compone”.
Il concetto ora esposto appare rimarcato anche in un arresto della Giurisprudenza di legittimità a sezioni unite(25) in ordine alla gratuità od onerosità di un atto solutorio di adempimento di un’obbligazione, e secondo il quale “…la valutazione di gratuità od onerosità di un negozio va compiuta con esclusivo riguardo alla causa concreta, costituita dalla sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello astratto utilizzato, e non può quindi fondarsi sull'esistenza, o meno, di un rapporto sinallagmatico e corrispettivo tra le prestazioni sul piano tipico ed astratto, ma dipende necessariamente dall'apprezzamento dell'interesse sotteso all'intera operazione da parte del "solvens", quale emerge dall'entità dell'attribuzione, dalla durata del rapporto, dalla qualità dei soggetti e soprattutto dalla prospettiva di subire un depauperamento, collegato o meno ad un sia pur indiretto guadagno.”
A fortiori – e stavolta anche in sintonia con la definizione strutturale della fattispecie – si deve ritenere che l’opzione negoziale di cui supra sub 3) comporti assoggettamento ai criteri impositivi di cui al TUR n.131/86, e segnatamente alla individuazione di una base imponibile ragguagliata – ai sensi dell’art. 43 lett. c) – al valore del bene ceduto o al valore della prestazione che dà luogo all’applicazione della maggiore imposta(26), con avvertenza che in ipotesi di ulteriore prestazione assistenziale (oltre che a favore del disponente dell’immobile, vitaliziato originario) anche a favore di terzi da eseguire dopo la morte del vitaliziato originario, dovrà essere valutata – a fini impositivi e stavolta con riferimento alle disposizioni del TU n.346/90 – il trasferimento di ricchezza che da essa derivi a favore di quest’ultimi a titolo gratuito.
Infine quanto all’imposizione delle fattispecie sopra individuate sub 4) e sub 5), troveranno applicazione i criteri già esposti dalla stessa A.F. nella circolare n.3/E del 22 gennaio 2008(27).
In estrema sintesi si può dire che:
- se il trasferimento scaturisce da un vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. va tenuta in debita considerazione la posizione dell’A.F. espressa nella menzionata ultima circolare che discrimina tra vincoli senza o con effetti traslativi, riservando solo ai primi le imposte (registro e ipotecaria) in misura fissa e ai secondi le imposte (di successione/donazione, ipotecaria e catastale) in misura proporzionale)(28);
- se il trasferimento scaturisce da un trust, sempre in base a quanto ritenuto dall’A.F. nella ricordata circolare, rileva un' “unica causa fiduciaria” e ciò giustificherebbe l’applicazione dell’imposta sulle donazioni anche qualora l’atto istitutivo non comporti trasferimento di alcun bene o diritto, come ad es. nel cd. trust ‘autodichiarato’, e prendendo a riferimento l'eventuale rapporto di parentela tra settlor e 'beneficiari' finali';
in relazione invece alle imposte ipotecaria e catastale, anche in caso di trust, secondo l'A.F. esse sarebbero dovute in misura proporzionale con esclusivo riferimento agli atti con efficacia traslativa
Qui va solo ricordato per completezza – per quanto attiene alla tassazione dei vincoli di destinazione – che di recente la Suprema Corte in alcuni arresti giurisprudenziali (sentenze n.ro 3735 e n.ro 3737, del 24 febbraio 2015 e altra sentenza n.ro 3886 del 25 febbraio 2015), formulate dal medesimo collegio giudicante (presieduto dal Dott. Mario Cicala), ha affermato la diretta imponibilità degli atti portanti costituzione di vincoli di destinazione e della loro attrazione nell'ambito dell'imposta di successione e donazione, pur in assenza di trasferimenti di beni e diritti (e cioè di quella circostanza che a buon diritto, come innanzi si notava, è ritenuta elemento determinante e qualificante dell'imposta disciplinata dal T.U. 31 ottobre 1990 n. 346). Ciò significherebbe che anche un vincolo di destinazione ‘autodichiarato’ dovrebbe scontare l’imposta di donazione per di più con l’aliquota massima dell’8%; e lo stesso trattamento fiscale si potrebbe applicare, in questo ordine di idee portato alle estreme conseguenze, ai patrimoni destinati ad uno specifico affare ex art. 2447 bis c.c., ad ogni tipologia di fondo patrimoniale ex art. 167 c.c., al fondo comune della rete-contratto.
L'imposta re-introdotta dall’art. 2 commi 47 e ss del d.l. 3 ottobre 2006 n. 262 convertito in legge 24 novembre 2006 n. 286, secondo i giudici, sarebbe un'imposta "nuova, accomunata solo per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali, altrimenti gratuite e successorie" e riceverebbe disciplina mediante un rinvio, di natura recettizio-materiale, alle disposizioni del T.U. n. 346, ma conserverebbe "connotati peculiari e disomogenei rispetto a quelli dell'imposta classica sulle successioni e sulle donazioni" … Presupposto di detta 'nuova' imposta sarebbe non già un 'trasferimento', bensì “la predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti” e quindi la 'utilità' che da siffatto programma ne derivi al beneficiario (si ripete, pur non risultando destinatario di alcun effetto traslativo).
Ma è stato bene rilevato dai primi commentatori di queste sentenze(29) che esso sono in totale controtendenza rispetto ai prevalenti orientamenti interpretativi, elaborati da dottrina, giurisprudenza e prassi amministrativa; e che soprattutto i principi ivi espressi sono inaccettabili in quanto:
1) in primo luogo ignorano che tutta l’impalcatura dell’imposta di cui al TU n.346/90 (cui pure si richiama l’art. 2 del d.l. 262/2006) è fondata sulla necessità di un trasferimento di beni e diritti da un soggetto a ad altra soggetto distinto e separato rispetto al disponente che è il ‘beneficiario’; e che ai fini dell’applicazione dell’imposta ciò che conta è la gradualità dell’eventuale rapporto di coniugio, di parentela o di affinità che esiste tra disponente e beneficiario; di guisa che se non c’è distinzione tra disponente e beneficiario perché non c’è appunto alterità (come nel vincolo autodichiarato), l’imposta di cui si discute non può trovare ingresso, dovendo optarsi per l’applicazione della sola imposta di registro in misura fissa.
2) in secondo luogo ipotizzano l’applicazione dell’imposta ‘de qua’ pur in assenza di qualsiasi capacità contributiva fiscalmente rilevante ai sensi dell’art. 53 Cost.,; pertanto una interpretazione costituzionalmente orientata della norma impositiva dei vincoli di destinazione non può fondarsi sui convincimenti espressi dalla Suprema Corte nelle ricordate sentenze, pena appunto la sua contrarietà a principi costituzionali fondanti del nostro ordinamento giuridico e quindi anche tributario.
Soprattutto con altra recente sentenza n.21614/16 dep. il 26 ottobre 2016 la Suprema Corte ha corretto il tiro, rilevando che - al contrario di quanto già sostenuto nelle citate sentenze- presupposto dell'imposta di donazione è l'effettivo arricchimento patrimoniale del soggetto e dei soggetti destinatari del programma negoziale innescato con trust o con un vincolo di destinazione autodichiarati (i cd. Beneficiari finali): mancando questo elemento al momento del perfezionamento di tale programma non è a dar luogo ad applicazione di alcuna imposta proporzionale (nella fattispecie si discuteva circa l'applicazione di siffatta imposta ex TU n.347/90, e quindi dell'imposta ipotecaria e catastale). Unica possibile imposta al programma negoziale così concepito - prosegue la Corte nel citato ultimo arresto - è semmai una mera imposta d'atto, quindi di registro, nella misura fissa. A tanto conducono anche una interpretazione della 'voluntas legis' ex art. 12 disp. prel. e la stretta connessione che intercorre tra l'imposta sui vincoli di destinazione ex art. 2 commi 47 ss. del d.l. n.262/2006 e l'art. 1 del TU n.346/90, ove appunto si ribadisce che solo il trasferimento di beni e diritti giustifica l'applicazione dell'imposta di successione e donazione.
(1) Interessanti le riflessioni sul punto rinvenibili nel recente saggio a firma di MASTROIACOVO VALERIA, Considerazioni a margine della legge sulle unioni civili: il concorso alle pubbliche spese nella prospettiva dell'effettiva attuazione dei diritti, in Riv. Dir. Trib. n. 4/2016, Parte prima, p.511 ss.
(2) In generale sul tema della 'convivenza' v. ROPPO, Convivenza more uxorio e autonomia privata (ancora sui presupposti e modalità di rilevanza della famiglia senza matrimonio), in Giur. it., 1980, I, 543; GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Giuffrè, 1983, 143 ss.; OBERTO, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Giuffrè, 1991, 151 ss.; DORIA, Autonomia privata e causa familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, Giuffrè, 1996; ANGELONI, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Cedam, 1997, 495.
(3) In sede di selezione viene attribuito ad ogni contribuente il lifestage risultante dalla c.d. “famiglia fiscale” presente nell’anagrafe tributaria, determinata in base ai dati delle dichiarazioni presentate dai contribuenti e, pertanto, costituita dal contribuente, dal coniuge (anche se non fiscalmente a carico), dai figli e/o dagli altri familiari fiscalmente a carico.
La famiglia anagrafica, invece, comprende anche i figli maggiorenni e gli altri familiari conviventi, nonché i conviventi di fatto, non fiscalmente a carico.
E’ possibile, quindi, riscontrare la non coincidenza della “Famiglia fiscale” rispetto alla “Famiglia Anagrafica”.
Pertanto, il competente Ufficio dell’Agenzia delle entrate, una volta selezionato il soggetto nei cui confronti intraprendere le attività di controllo…, prima ancora di inviare formale invito ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, effettuerà i necessari riscontri sulla situazione familiare del contribuente, aggiornando la composizione del nucleo familiare. Ciò consentirà di evitare la selezione di coloro che, con il reddito complessivo dichiarato dalla famiglia, giustificano l’apparente scostamento individuale.
(4) Per la elaborazione giurisprudenziale basti pensare ai recenti arresti della Cassazione n.7/2014 (che ha sancito la spettanza della tutela possessoria a favore del convivente non proprietario rispetto al convivente proprietario che voglia estromettere con violenza il primo dall'abitazione comune, di proprietà solo del secondo) oppure alla sentenza n.3548/2013 (che ha dichiarato il diritto del convivente a subentrare nel contratto di locazione in caso di decesso del convivente conduttore originario e ciò anche se a questi sia subentrato per successione la figlia, poi a sua volta deceduta e che di fatto abbia lasciato la detenzione della casa al convivente sopravvissuto): al riguardo come è noto già la Corte Costituzionale con sentenza 24 marzo -7 aprile 1988, n. 404 aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 6 ella legge n.392/78 nella parte in cui non prevede tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio; così pure nella giurisprudenza di merito sono già emersi orientamenti che hanno riconosciuto al convivente superstite la qualifica di detentore qualificato (Trib. Milano 8 gennaio 2003) e che hanno esteso a suo favore il diritto di subentrare nel contratto di locazione in caso di morte (ma non per altra causa di cessazione della convivenza) dell’altro convivente conduttore.
Nello stesso ordine di idee si collocano quegli arresti giurisprudenziali per cui la tutela possessoria del convivente viene estesa nei confronti dei terzi: anche chi eredita la casa non può ad esempio escludere e mettere alla porta il convivente del defunto (Cassazione, sentenza n.ro 19423/14). E in caso di separazione, è indiscussa l’assegnazione del tetto familiare al genitore affidatario dei figli minori o non autonomi (Cassazione, sentenza n.ro 17971/15).
La giurisprudenza di merito ha anche riconosciuto il diritto del convivente a ricevere assistenza morale dall’altro: i versamenti sul conto del partner sono ritenuti obbligazioni naturali non ripetibili (Tribunale di Treviso, sentenza 258/15).
Il convivente è anche tutelato come vittima di maltrattamenti familiari, considerata, a prescindere dall’effettiva durata del rapporto, la prospettiva di vita comune con la quale aveva instaurato la convivenza (Tribunale di Bari, sentenza 3289/15).
Mentre per le norme di diritto positivo che fondano la rilevanza della relazione di convivenza a titolo solo di esempio si può qui ricordare tra le altre la legge n.154/2001 che ha esteso ai conviventi l'applicabilità delle misure contro la violenza nelle relazioni familiari, l’art. 30 L. 354/1975, che nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, consente ai condannati e agli internati l’ottenimento da parte del magistrato di sorveglianza di un permesso di recarsi a visitare, con le cautele previste dal regolamento penitenziario, l'infermo oppure l’art. 337-sexies c.c., in base al quale il godimento casa familiare viene meno se l’affidatario del figlio conviva more uxorio, o ancora l’art. 408 c.c. che ricomprende la persona stabilmente convivente tra i soggetti che il giudice deve preferire nella nomina dell’amministratore di sostegno.
(5) Contratti consacrati come validi e legittimi proprio dalla legge Cirinnà, forse sulla scia di una datata Raccomandazione del Consiglio d’Europa già del 1988 diretta a impedire che i contratti di convivenza vengano considerati nulli dalle relative disposizioni nazionali per il solo fatto di essere stati stipulati tra persone “living together as an unmarried couple”. Sia consentito con riferimento alla problematica al vaglio il richiamo a MURITANO-PISCHETOLA, Accordi patrimoniali tra conviventi ed attività notarile, op. cit.
In generale in dottrina in ordine alla materia dei contratti di convivenza FRANZONI, I contratti tra conviventi «more uxorio», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1994, 737 ss.; ZOPPINI, Tentativo d’inventario per il «nuovo» diritto di famiglia: il contratto di convivenza, in Riv. crit. dir. priv., 2001, 335 ss.;PALMERI, Il contenuto atipico dei negozi familiari, Franco Angeli, 2001, 66 ss.; SPADAFORA, Rapporto di convivenza more uxorio e autonomia privata, Giuffrè, 2001, 163 ss.; BERNARDINI DE PACE, Convivenza e famiglia di fatto. Ricognizione del tema nella dottrina e nella giurisprudenza, in I contratti di convivenza, a cura di Moscati e Zoppini, Giappichelli, 2002, 303; FERRANDO, Le contribuzioni tra i conviventi fra obbligazioni naturali e contratto, in Fam. e dir., 2003, 601; BALESTRA, I contratti di convivenza, in Fam., pers. e succ., 2006, 43 ss.; MURITANO-PISCHETOLA, Accordi patrimoniali tra conviventi ed attività notarile, Ipsoa, Milano, 2009;FERRANDO, Contratto di convivenza, contribuzione e mantenimento, in Contratti, 2015, 722 ss.; SENIGALLIA, Convivenza more uxorio e contratto, Nuova Giur. Civ., 2015, 11, 20671
(6) n. 154 del 1999, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, nella parte in cui non estende l'esenzione in esso prevista a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi; in tale ultima sentenza la suprema Corte - richiamando la sentenza n. 176 del 1992 che aveva a sua volta dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 19 della citata legge n. 74 del 1987 nella parte in cui non comprende nell'esenzione dal tributo anche le iscrizioni di ipoteca effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione - ha testualmente affermato che "il parallelismo, le analogie e la complementarietà funzionale dei procedimenti di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e del procedimento di separazione dei coniugi sotto i profili che rilevano ai presenti fini, già sottolineati da questa Corte nella decisione richiamata, portano anche in questo caso a concludere che il profilo tributario non può ragionevolmente riflettere un momento di diversificazione delle due procedure, atteso che l'esigenza di agevolare l'accesso alla tutela giurisdizionale, che motiva e giustifica il beneficio fiscale con riguardo agli atti del giudizio divorzile, è con ancor più accentuata evidenza presente nel giudizio di separazione", anche "in considerazione dell'esigenza di agevolare, e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l'adempimento delle obbligazioni che gravano, ad esempio, sul coniuge non affidatario della prole"
(7) 'ratio' così come desumibile anche dai lavori preparatori della legge n.74/87, preordinata alla riduzione dei costi necessari "per ripristinare con il divorzio la libertà di stato o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge n. 898 del 1970"
(8) Basti pensare al riguardo a tutte quelle ipotesi di riconoscimento della rilevanza del rapporto di convivenza more uxorio spesso operato dalla Giurisprudenza, per le quali si potrebbe porre la necessità di una tutela giurisdizionale più agile e snella.
Nella recente legge Cirinnà, poi, emergono altre situazioni giuridiche rilevanti riguardo alle quali si potrebbe porre la necessità di una rapida ed efficace tutela su di un piano giurisdizionale, così in materia di obbligo per gli alimenti se il rapporto finisce (calcolati in base alla durata del rapporto) qualora uno dei conviventi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, in materia di risarcimento del danno in caso di morte del partner per illecito di un terzo (con gli stessi criteri stabiliti per i coniugi), in materia di impresa familiare e in materia di diritto all’assistenza in caso di malattia e di ricovero. Inoltre, la legge interviene sulla casa comune prevedendo che, se muore il partner proprietario, l’altro convivente può continuare a viverci per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni, ma mai per più di cinque; oppure si pensi alla esecuzione di eventuali obblighi al cui adempimento siano tenuti l’uno o entrambi i partner, anche con riferimento all’eventuale prole, di cui, secondo il nuovo dettato dell’art. 316 c.c., essi abbiano la ‘responsabilità genitoriale’ .
Ciò che di certo accomuna le ipotesi espressamente agevolate sul piano normativo (afferenti al procedimento divorzile e di separazione personale dei coniugi) a quelle non normate e qui oggetto di riflessione (afferenti ai contratti di convivenza) è l’esigenza di addivenire ad una sistemazione coordinata e condivisa dei rapporti patrimoniali tra i soggetti astretti da un legame affettivo (coniugi o già coniugi da un lato, conviventi dall’altro), sistemazione che in quest’ultima ipotesi addirittura potrebbe essere idonea ad evitare il ricorso alla stessa tutela giurisdizionale.
Se, infatti il vincolo coniugale, oggetto di scioglimento (in caso di divorzio), o in parte incrinato dalle vicende della separazione personale, è ciò che costituisce il presupposto della tutela e della protezione apprestata dall’ordinamento e quindi del medesimo regime fiscale agevolato qui in discussione, si potrebbe ritenere che anche il legame nascente da un rapporto di mera convivenza, laddove ritenuto meritevole di tutela in quanto costitutivo della formazione sociale ove si svolge la personalità dei conviventi ex art.2 Cost, possa costituire il presupposto logico e giuridico che ottenga ai detti contratti estensivamente un trattamento fiscale agevolato. Ma è evidente che quanto qui enunciato potrebbe semmai integrare una prospettiva 'de iure condendo', come si chiarisce meglio subito in appresso nel testo.
(9) E qui pur ricordando che nella medesima sentenza della Corte Cost. n.202/2003, si ritiene possibile applicare il regime fiscale di favore anche a fattispecie non espressamente previste dall'art. 19 della legge n.74/87, ma ( è bene ribadirlo) se ricorre la medesima 'ratio'. Così si esprimono i giudici costituzionali per combattere la diversa opinione della non-estensibilità: " [Non] può invocarsi la giurisprudenza secondo cui le disposizioni legislative concernenti agevolazioni e benefici tributari di qualsiasi specie, quali che ne siano le finalità, costituiscono il frutto di scelte discrezionali del legislatore, sicché la Corte non può estenderne l'ambito di applicazione, dal momento che la stessa giurisprudenza riconosce che tale estensione è consentita quando lo esiga ... la ratio dei benefici stessi (v. sentenza n. 431 del 1997 e n. 86 del 1985; ordinanze n. 27 del 2001 e n. 10 del 1999)."
(10) E ciò ai sensi dell'art. 20 del TUR approvato con DPR n.131/86, norma che l'Agenzia delle Entrate qualifica come una sorta di norma-guida per l'applicazione dei principi interpretativi da essa desumibili anche ad altre imposte indirette (v. Circ. n.3/E del 22 gennaio 2008 in cui si afferma che il detto articolo, sebbene enunciato in materia di imposta di registro, deve considerarsi applicabile in linea di principio anche per le altre imposte indirette; v anche risoluzione 1 agosto 2000, n. 126/E; risoluzione 26 aprile 1988, n. 310088).
(11) Secondo quanto affermato dall’A.F. con circolare n.44/E del 7 ottobre 2011
(12) Per tutti TORRENTE, La donazione, Milano 2006, 209 ss., nonchè 492 ss.
(13) CAPOZZI, Successioni e donazioni, Tomo secondo, Milano 1982, 833
(14) Sul punto GAFFURI, L'imposta sulle successioni e donazioni, Padova, 2008, 124 ss.
(15) Relativamente all’inquadramento civilistico del contrato di mantenimento e di assistenza morale e materiale (c d. 'contratto di vitalizio'), è bene precisare che dottrina e giurisprudenza lo considerano un negozio atipico, avente ad oggetto una prestazione (quella del vitaliziante) non meramente pecuniaria e considerata infungibile [Secondo LEO, Studio CNN n. 4089, Contratto di mantenimento a favore del terzo «post mortem», approvato dalla Commissione Studi il 25 marzo 2003, in Studi e Materiali n. 2/2003, 439 ss.]. Si tratterebbe in particolare di un negozio solo affine alla ‘rendita vitalizia’ disciplinata dagli artt. 1872 e ss. c.c., e di cui non ne costituirebbe ‘species’ , in quanto connotato da un proprio distinto profilo causale. Ed infatti per Cass. 7 febbraio 1992 n. 1401 il contratto avente ad oggetto la cessione di un immobile in corrispettivo di prestazioni alimentari ed assistenziali (c.d. contratto di vitalizio alimentare), pur essendo affine al contratto di rendita vitalizia, di cui agli artt. 1872 e segg. c.c., se ne differenzia e si configura come un contratto innominato ed atipico. In particolare viene affermato che nel contratto di rendita vitalizia, la obbligazione del vitaliziante è sempre e soltanto una obbligazione di dare, avente ad oggetto una prestazione periodica di una somma di denaro o di una certa quantità di cose fungibili, mentre nel contratto di mantenimento la obbligazione del vitaliziante è una obbligazione di dare (vitto, alloggio, vestiario, medicinali ecc.) e di fare (prestare assistenza morale) ed ha, quindi, per oggetto una prestazione continuativa e non periodica, di contenuto non meramente patrimoniale; nel primo caso, l'obbligazione del vitaliziante è già determinata al momento della stipulazione del contratto e non può subire modificazioni nel corso della esecuzione; nel secondo caso, invece, essendo la prestazione del vitaliziante diretta a soddisfare le esigenze del vitaliziato che possono cambiare nel tempo ( per l'avanzare dell'età, per malattie, per infortuni ecc.), essa è, per definizione, variabile nel corso della esecuzione del contratt. .Segnatamente nel suddetto contratto (da tenere distinto anche rispetto al c.d. ‘vitalizio alimentare’ ove, in quest’ultimo, la prestazione sarebbe invece condizionata ad uno stato di bisogno del vitaliziato), opera un doppio profilo di alea: uno relativo alla vita o sopravvivenza del vitaliziato (come accade in ogni ipotesi di rendita vitalizia), l’altro relativo alla entità e al contenuto delle prestazioni ‘di fare’ richieste al vitaliziante, entità e contenuto che possono ben variare a seconda della mutevolezza dei bisogni del vitaliziato (v. Cass. 19-07-2011, n. 15848 secondo cui nel contratto atipico di vitalizio alimentare o assistenziale, l'alea è più accentuata rispetto al contratto di rendita vitalizia configurato dall'art. 1872 c.c., in quanto le prestazioni non sono predeterminate nel loro ammontare, ma variano, giorno per giorno, secondo i bisogni (anche in ragione dell'età e della salute) del beneficiario; così anche Cass. sez. 1, del 9 ottobre 1996 n. 8825).
(16) Base imponibile che dovrebbe essere rispondere a quanto statuito dalla lettera e) dell’art. 43 del TUR n.131/86
(17) CAPOZZI, Successioni e donazioni, op. cit. 834
(18) TORRENTE, La donazione, op. cit., 265
(19) Tra le tante sentenze che definiscono i doveri sociali e morali dei conviventi alla stregua di obbligazioni naturali cfr. Cass. 11.4.1986, n. 2569, in Mass. giust. civ., 1986, fascicolo 4, ove si ritiene che «il rapporto di convivenza more uxorio può dar luogo all'adempimento di obbligazioni naturali che possono avere riflessi sul mantenimento della moglie separata (o sullo assegno divorzile)»; o anche Cass. 20.1.1989, n. 285, in Mass. giust. civ., 1989, fascicolo 1, per cui «Nella dazione di una somma di danaro da parte dell'uomo alla donna in occasione della cessazione della loro relazione sentimentale può ravvisarsi l'adempimento di una obbligazione naturale, con la conseguenza che la suddetta somma non può essere chiesta in restituzione (soluti retentio), nè dedotta in compensazione da parte del solvens»; così come Trib. Roma, 13.5.1995, in Gius, 1995, 3593, con nota di Lascialfari ha affermato che «Nell'ambito di una famiglia di fatto, l'attribuzione patrimoniale in denaro eseguita da un convivente in favore dell'altro è qualificabile come adempimento di una obbligazione naturale e non come donazione remuneratoria; essa non è pertanto ripetibile ed è efficace e valida senza necessità dell'adozione di particolari requisiti di forma».
(20) Qui non si vuole affrontare la problematica della possibilità di ‘novazione’ o meno delle obbligazioni naturali (in ordine alla quale talora anche la giurisprudenza si è espressa negativamente – v. Cass. 20.11.1986, n. 7064 , in Mass. giust. civ., 1986, fascicolo 11) , ma solo ipotizzare che oggetto del contratto tra conviventi possano essere obbligazioni assunte con riferimento al contenuto di eventuali pregresse obbligazioni naturali già a carico dei medesimi: ipotesi che non pare inibita a fronte del libero esercizio dei poteri di autonomia contrattuale spettanti ai soggetti dell’ordinamento (art. 1322 c.c.)
(21) Così GAFFURI, L'imposta sulle successioni e donazioni, op. cit., 157
(22) Di regola tassato con l’aliquota dell’1% previsto per gli atti di natura dichiarativa quale negozio di accertamento
(23) Se invece il comodato ha per oggetto cose mobili scatta l'obbligo di registrazione solo in caso d'uso ai sensi dell'art. 3 della Tariffa, Parte seconda del TUR, sempreché il contratto risulti contenuto in una scrittura privata non autenticata.
(24) CAMARDI, [a cura di], Vendita e contratti traslativi, Milano, 1999, 133
(25) Cassaz. sez. un., 18 marzo 2010 n. 6538
(26) Qui richiamandosi quanto sopra precisato circa la possibilità - data la difficoltà di stabilire l’esatta entita’ della prestazione assistenziale – di ricorrere ad una determinazione della stessa in via provvisoria con i criteri dell’art. 35 del TUR, ossia ipotizzando un valore solo provvisoriamente determinato, salvo successiva più esatta quantificazione da dedurre ad oggetto di specifica denuncia ex art. 19 TUR.
(27) Sia pure con i correttivi segnalati dalla Commissione studi tributari del CNN nello studio n.58/2010-T approvato il 21 gennaio 2011 “La tassazione degli atti di destinazione e dei trust nelle imposte indirette” in Studi e Materiali n.2/2011, 541 ss., cui si rimanda per ogni eventuale ulteriore approfondimento. Sia consentito anche il richiamo a Muritano – Pischetola, Considerazioni su trust e imposte indirette, Notariato n.3/2008,, 320 ss.
(28) L’A.F. nella circolare n.28/E del 27 marzo 2008 ipotizza anche la possibilità di assoggettare eventuali negozi fiduciari (mediante i quali si trasferiscono un diritto o la mera legittimazione al relativo esercizio, sulla base di un accordo - il cosiddetto pactum fiduciae - che vincola le parti, stabilendo modalità, tempi, condizioni di esercizio del
diritto e che fissa principalmente lo scopo che il fiduciario si impegna a realizzare) alla medesima disciplina impositiva stabilita per i vincoli di destinazione; quindi laddove i conviventi si determinassero a porre in essere un negozio siffatto, non potrebbero sottrarsi ai medesimi criteri impositivi previsti per i vincoli destinativi
(29) STEVANATO, La “nuova” imposta su trust e vincoli di destinazione nell’interpretazione creativa della Cassazione, in Giur.trib., 2015, 397 ss; TASSANI, Sono sempre applicabili le imposte di successione e donazione sui vincoli di destinazione?, in Il Fisco, 2015, 1957 ss; cfr. anche Studio CNN Studio n. 132-2015/T, L’imposizione indiretta sui vincoli di destinazione: nuovi orientamenti e prospettive interpretative; approvato dall’Area Scientifica – Studi Tributari il 1° luglio 2015 e dal CNN nella seduta dell’1 e 2 ottobre 2015, reperibile sul web all’indirizzo http://www.notariato.it/sites/default/files/132-15-t.pdf
|
 |
|