Operazioni straordinarie degli enti del Terzo settore
Operazioni straordinarie degli enti del Terzo settore
di Andrea Fusaro
Notaio in Genova
Ordinario di Sistemi giuridici comparati, Università di Genova

Premessa

La riforma del diritto societario attuata nel 2003 ha lambito il comparto del libro primo - e anzi lo ha investito con la disciplina delle trasformazioni eterogenee -, giungendo così provvida in un contesto tanto bisognoso di indicazioni legislative; era inevitabile che gli interpreti prendessero a scandagliarne i riflessi irradiati sia sulla complessiva disciplina di associazioni e fondazioni sia sullo specifico fronte delle trasformazioni (nonché delle fusioni, per quanto non espressamente contemplate nella variante eterogenea). L’innovazione di maggior peso riguardava l’abbattimento della barriera della causa, avendo tendenzialmente liberalizzato il transito tra la lucrativa e quella non lucrativa; è stato valorizzato anche il rilassamento dei confini tra aggregazioni a base corporativa e istituzionale, complice forse il rispettivo sbiadire nelle strutture forgiate dalla prassi (basti pensare alle fondazioni di partecipazioni) e nella discipline dell’impresa sociale.
Sono stati prefigurati molteplici transiti: da associazione a fondazione e viceversa, da comitato a fondazione e pure ad associazione; abbandonando lo schematismo proprio delle trattazioni astratte ci si è, inoltre, dati carico dei numerosi enti la cui natura giuridica è ricondotta alle figure codicistiche(1). Gli interrogativi attenevano sia all’ammissibilità sia alle modalità. Il solo riferimento legislativo testuale è stato per decenni l’art. 28 c.c. - la cui rubrica contiene il lemma -, dove peraltro si è sempre riscontrato un fenomeno di trasformazione in senso assai peculiare, in quanto relativa esclusivamente allo scopo(2), mentre nel libro quinto - agli artt. 2498 e ss. - esso coinvolge il mutamento del tipo. La previsione delle trasformazioni eterogenee ha certamente contribuito a rendere maggiormente plausibili le combinazioni interne alle figure del libro primo, ma competeva all’interprete definire la portata di questa apertura.

La scena anteriore alla riforma del diritto societario

Nell’ambito di una dottrina scarsamente attenta all’ammissibilità delle trasformazioni degli enti non lucrativi(3), che evitava di annoverare in questa prospettiva l’evoluzione del comitato in fondazione, negli anni sessanta si segnalava un’apertura giurisprudenziale al transito da associazione a fondazione(4), la quale venne a sollecitare una reazione - autorevole, ancorché avanzata fugacemente(5) - che alla convertibilità delle associazioni (il riferimento riguardava le riconosciute) in fondazioni opponeva argomenti letterali, in particolare desunti dall’art. 31 c.c., ove si ravvisava una barriera invalicabile(6). L’alternativa suggerita, consistente nello scioglimento dell’associazione originaria e la costituzione di una nuova fondazione, cui devolvere il patrimonio residuo ai sensi dell’art. 31, comma 2, c.c., avrebbe evitato la trasformazione in senso tecnico. La tesi fu peraltro formulata in un’epoca in cui la frontiera tra le due figure era considerata netta, sebbene la prassi statutaria già tralignasse(7).
Deciso era, invece, il favore mostrato verso le fusioni omogenee, in particolare tra associazioni(8), mentre quelle tra fondazioni rifluivano nella trattazione dell’art. 28. La casistica di maggior rilievo maturò, del resto, a margine di questa ultima norma su ipotesi di mutamento dello scopo di fondazioni(9).
La giurisprudenza non sembrava nutrire riserve circa le fusioni non solo tra fondazioni(10), ma pure tra associazioni, nei cui confronti riteneva applicabile l’art. 2504 c.c. per configurare l’estinzione degli enti originari e la successione a titolo universale di quello nato dall’unificazione(11). Non si registravano indicazioni sul procedimento di fusione, mentre quelle reperibili in tema di trasformazione avallavano soluzioni non sempre condivise dagli autori: tra le più criticate, la decisione adottata dal consiglio direttivo della fondazione, anziché dall’autorità governativa, e da questa ultima soltanto confermata(12). In dottrina vengono più tardi avanzate aperture verso la trasformazione di associazioni in fondazioni, accompagnate dalla delineazione di modalità e limiti(13), peraltro non tacendosi della diversa posizione dell’associato rispetto alla trasformazione, in ragione dell’abbandono della quota nel primo caso(14). La casistica seguente - anteriore all’ultima riforma del diritto societario - non sembra riflettere alcuna linea evolutiva(15), confermando la concettuale ipotizzabilità della fusione tra associazioni(16), senza peraltro offrire spunti significativi quanto al procedimento, se non la competenza delle rispettive assemblee a deliberare(17).
Già prendono corpo, tuttavia, le prime voci favorevoli all’ammissibilità del passaggio da associazione a società, le quali invitano esplicitamente a ridimensionare la barriera della causa(18). Nella seconda metà del secolo scorso era mutato lo scenario di immediato riferimento(19). Molte leggi speciali avevano prefigurato il transito di enti pubblici in società, talora in associazioni e fondazioni; altre avevano avvalorato la fungibilità della forma sia all’interno delle figure del libro primo(20), sia nell’ambito comprensivo di queste, nonché di quelle del libro quinto(21); la disciplina del settore bancario(22), poi quella degli enti lirici(23), hanno fornito di supporto normativo le deroghe apportate dalla prassi alla struttura istituzionale delle fondazioni.

L’aggiornamento delle regole

A seguito dell’entrata in vigore della riforma del diritto societario, cosa era cambiato? Quali punti di appoggio delle argomentazioni tradizionali apparivano vacillare? Il più significativo apporto al corredo normativo degli enti non lucrativi è consistito, ovviamente, nella previsione delle trasformazioni eterogenee(24); il discorso su di esse è inclusivo delle fusioni eterogenee ove si consideri queste comprensive di quelle, talché le particolarità attengono al primo fronte, salvo non si aderisca alla tesi - autorevolmente sostenuta - incline a valorizzare autonomamente il rilievo della pubblicità, così rendendo la fusione destinataria di separate valutazioni(25).
La valenza dell’intervento legislativo è stata colta in alcune direttrici e precisamente: l’estensione della trasformazione oltre i confini del recinto societario, interessando gli enti del libro primo; il coinvolgimento delle fondazioni in entrambe le posizioni, iniziale e finale (da fondazione a società e viceversa); l’apertura al criterio plutocratico quale assegnazione delle prerogative politiche ed economiche interne all’ente non lucrativo; il conseguente indebolimento dell’ostilità al transito tra associazioni e fondazioni, in precedenza argomentato sulla scorta dell’art. 31 c.c.

La portata delle innovazioni

Le ricadute sul Terzo settore della riforma del diritto societario sono state a suo tempo segnalate. Pregiudizialmente, l’accresciuta elasticità del profilo di associazioni e fondazioni(26). I quesiti affrontati erano molteplici. Intanto quello circa l’applicabilità allargata delle nuove regole, attraverso lo strumento dell’analogia o dei principi generali, che ha portato a domandarsi se esse fossero realizzazione di un preesistente principio oppure lo fondassero. Si è delineata, poi, la questione se la trasformazione eterogenea riposi sulla continuità del soggetto o piuttosto dell’impresa. Ancora, ci si è chiesti se i limiti fossero collegati al carattere lucrativo dello scopo oppure agli specifici controlli cui sono soggette le società; infine, se quelli contemplati dal codice integrassero gli archetipi delle strutture e dei procedimenti di trasformazione e fusione, oppure risultassero coerenti con la partecipazione delle società e come tali non estensibili.
Alcuni interrogativi apparivano quasi retorici, come quello in tema di operatività dei limiti previsti dal codice in tema di trasformazioni eterogenee, cui si addice una risposta certamente negativa, dal momento che appariva ovvio, per esempio, che non avrebbe senso precludere la trasformazione in fondazione dell’associazione che abbia ricevuto contributi pubblici(27).
La questione circa il fondamento della trasformazione nella continuità dell’impresa (soluzione, quest’ultima, fatta propria dalla disciplina dell’impresa sociale(28)) o piuttosto del soggetto è stata coltivata nell’ambito del dibattito sugli artt. 2500-septies ed octies(29) e si legittimava rispetto a quel contesto, evidentemente incentrato sull’impresa, come del resto suggeriva la Relazione accompagnatoria.
Occorre segnalare che neppure là era dato cogliere alcun chiaro indizio testuale nel senso della preclusione alla trasformazione in assenza di qualifica imprenditoriale (da parte dell’associazione o fondazione, si intende), seppur fosse condivisibile la perplessità di fronte alla conversione radicale del tipo che - oltre allo scopo - coinvolga anche l’attività. Questi sospetti non parevano, tuttavia, trasferibili ai passaggi interni agli enti del libro primo, dove la presenza dell’impresa è - ovviamente - eventuale. Appariva, pertanto, esportabile l’apertura al transito tra i tipi, quindi anche tra associazione e fondazione (sia come trasformazione, sia come fusione che la contenga), dal momento che gli artt. 2500-septies ed octies ratificavano pur sempre la concettuale compatibilità del pendolo tra modello istituzionale e corporativo.
Scorrendo la riforma del diritto societario si ricavavano spunti ulteriori. La - per certi versi, inaspettata - configurazione quale trasformazione eterogenea della conversione della causa lucrativa in consortile poteva suggerire la trasferibilità di questa prospettiva alla modificazione dello scopo dell’ente del libro primo, in particolare dell’associazione, che per l’indole sua propria si presta a rivestire iniziative sia altruistiche sia egoistiche (s’intende, purché non coincidenti con quelle assegnate alle figure del libro quinto).

Le fondazioni: trasformazioni e fusioni come modifiche statutarie

La disciplina legislativa della variante eterogenea aveva forse determinato un ampliamento della latitudine normativa della nozione di trasformazione, riducendo così la distanza tra la portata delle previsioni del libro quinto e del libro primo. L’area contesa era quella che nessuna delle due considerava, ossia il mutamento non - o non solo - dello scopo, ma anche del tipo, al di fuori della società(30).
La prescrizione dell’art. 28 c.c. circa il minor allontanamento possibile dalla volontà del fondatore doveva raccordarsi con il secondo comma della disposizione, che contempla la clausola statutaria di devoluzione e venire rapportata al modello riproduttivo della struttura della fondazione bancaria (la c.d. fondazione di partecipazione), interrogandosi circa la inderogabilità dell’intervento dell’autorità governativa, così da inferire l’inammissibilità o inefficacia di clausole statutarie che affidino a organi interni la competenza a deliberare l’operazione straordinaria, oppure tali clausole debbano equipararsi alla “volontà del fondatore”. L’accostamento non risultava così peregrino, in considerazione del simulacro di un’assemblea o dell’eventualità di un consiglio di amministrazione non “servente”: composti proprio dai fondatori, oppure destinati a includere i soggetti subentrati successivamente alla costituzione quali finanziatori. L’art. 2500-octies, affidando all’autorità governativa la decisione della trasformazione, sembrerebbe sottintendere l’inderogabilità della competenza, ma si tratta di decifrare l’estensibilità di questo indice segnaletico all’area assegnata all’art. 28(31).
La portata normativa dell’art. 2500-octies c.c.(32) doveva essere riferita al contesto caratterizzato dal mutamento non solo del tipo, ma pure della finalità (da non lucrativa a lucrativa), come quella dell’art. 28 c.c. attiene al mutamento dello scopo, che rappresenta il nucleo della fondazione: diversamente si suggeriva di far capo all’art. 2 D.P.R. 361/00 in tema di modificazioni statutarie, la cui adozione è consentita all’organo interno, salvo il controllo dell’autorità amministrativa. La fusione - con altra fondazione - che non alteri lo scopo, ma anzi ne rappresenti l’attuazione, appariva assimilabile a una modifica statutaria, cosicché poteva ben essere deliberata autonomamente, sottoponendola poi al controllo amministrativo(33). La resistenza a concludere altrettanto circa la trasformazione in associazione(34) - o la fusione con essa - non si sarebbe tradotta nella corrispondente preclusione, ma nella riconduzione all’intervento dell’autorità amministrativa, secondo il modello privilegiato dall’art. 2500-octies. La fondazione risultava, insomma, custodita nella sua fisionomia tradizionale cui sono, in ogni caso, coerenti le previsioni del primo libro che prefigurano il controllo pubblico (artt. 25 e ss.)(35). Essa non escluderebbe l’introduzione di organi statutari ulteriori rispetto a quello amministrativo, ma importerebbe una preclusione quanto alle competenze loro affidabili, che trovano un limite nel rispetto dello scopo impresso al patrimonio(36).

Nozioni di trasformazione e fusione: contenuto e funzione

Si è domandato se la varietà degli scopi assumibili dagli enti non lucrativi si sia riflessa sulla portata della nozione di trasformazione, in particolare se debba considerarsi tale il mutamento della finalità(37), a somiglianza della previsione legislativa che ha annoverato nell’ambito delle trasformazioni eterogenee il passaggio dalla causa lucrativa a quella consortile in ambito societario. Si è, tuttavia, sottolineato che in quel contesto tale qualificazione è funzionale alla tutela dei creditori, concedendo loro la facoltà di opposizione prevista dall’art. 2500-novies, mentre qui non si avverte un così diretto riflesso rispetto alla posizione di costoro, stagliandosi maggiormente netta quella dei beneficiari, degli oblatori, dei soggetti cui è demandata la designazione dei titolari delle cariche sociali.
La riforma del diritto societario ha elaborato regole dedicate al transito verso la causa lucrativa da parte di associazioni destinatarie di contributi, provvidenze ed agevolazioni fiscali(38), mentre il silenzio in tema di fondazioni è stato inteso quale affidamento alla discrezionalità amministrativa; essa non ha, invece, fornito indicazioni circa il rilievo delle previsioni statutarie rivolte a beneficiare terzi. La norma di più diretto riferimento è l’art. 32 c.c., che appunto ribadisce la sopravvivenza del vincolo in ipotesi di “trasformazione”, sennonché essa è rivolta alle persone giuridiche, mentre alle associazioni non riconosciute appare estraneo anche l’art. 42 c.c., che prefigura un’incursione governativa sulla scena dei comitati.
Il decreto legislativo 5/2003 non ha pensato neppure alla sorte - a esito della trasformazione, ma altrettanto vale per la fusione - della riserva, in favore di determinati soggetti, della designazione di alcune cariche sociali(39). Rispetto a entrambi i versanti sembravano appropriate le considerazioni spese a margine dei limiti alle modificazioni statutarie - in particolare delle fondazioni, laddove ammesse - allorché si fosse segnalato il confine rappresentato dal rispetto delle prerogative dei beneficiari(40), subordinando l’efficacia della variazione al benestare di quelli individuati ed accordando agli altri la legittimazione ad opporsi(41).
Questa soluzione, che sembrava estensibile alle prerogative accordate in ordine alla designazione delle cariche, riceveva del resto conforto dalla previsione (art. 2368) relativa ai diritti amministrativi individuali nelle Srl, come pure dalla disciplina in tema di società partecipate dallo Stato o da enti pubblici (artt. 2449 e 2450).

Il procedimento

L’esame del procedimento di trasformazione e di fusione sintetizza la risposta fornita al quesito “chi decide cosa e come”. La deliberazione a maggioranza della trasformazione eterogenea dell’associazione è sembrata indicazione estensibile a ogni altra operazione straordinaria. Il potere dell’autorità amministrativa di convertire - su istanza degli organi statutari - la fondazione in società pareva autorizzare l’attribuzione di identica discrezionalità in ordine all’evoluzione in associazione. Risultava dubbia l’estendibilità dell’iter tratteggiato dal codice alle vicende interne agli enti del libro primo(42), riuscendo scarsamente plausibile, tra le altre, l’applicazione delle regole sancite dagli artt. 2501 e ss. alla fusione tra due associazioni - sia riconosciute, sia non riconosciute - almeno in ragione della non surrogabilità del Registro delle imprese con quello delle persone giuridiche(43), neppure per quelle formalmente imprenditrici, come tali iscritte. Le regole dettate in tema di trasformazioni eterogenee per associazioni e fondazioni si collegano al coinvolgimento delle società, riuscendo coerente con l’obiettivo di assicurare a soci e creditori il rispetto di quella medesima soglia di tutela delle posizioni rispettive che l’impianto societario complessivamente garantisce(44). Se, pertanto, non persuadeva l’estensione del procedimento dettato per le società, occorreva individuare quello consono al contesto: l’angolazione in cui collocarsi appariva quella interna al settore degli enti non lucrativi, così da conservare coerenza con le regole loro proprie e riprodurre la simmetria di tutele che il codice esibisce tra disciplina complessiva delle società e quella delle operazioni straordinarie che le vedono protagoniste.
La scansione delibera/atto sembrava inevitabile per la fusione, specie ove fossero coinvolte associazioni riconosciute e fondazioni, sebbene la giurisprudenza avesse assimilato a tale fenomeno episodi meno strutturati (e avesse ricondotto alla trasformazione vicende del tutto proteiformi(45)). L’atteggiamento dei tribunali, ma pure della Suprema Corte, sembrava evocare quello sedimentato in tema di cessione di azienda(46), o meglio circa i criteri per scovarla dietro i comportamenti più equivoci (quando non decettivi).
Ciò non stupiva affatto, confermando piuttosto la coerenza con le regole che caratterizzano gli enti coinvolti: l’informalità che contrassegna l’esistenza di comitati ed associazioni non riconosciute si riflette nelle operazioni straordinarie di cui sono attori. La simmetria riusciva, allora, estensibile al grado di tutela sia dei membri sia dei creditori: si delineava, del resto, corrispondenza tra grado e modalità della tutela dell’integrità del capitale sociale - ossia le cautele da cui sono circondati gli interventi sul medesimo - e quelle operanti rispetto alla trasformazione ed alla fusione (semmai si registra un affievolimento a ridosso di questa ultima). Non si trovava, dunque, ragione per assegnare una superiore protezione ai creditori degli enti del libro primo. I formalismi sono funzionali alla pubblicità, quindi certamente indispensabili per l’accesso ai pubblici registri, laddove ne ricorrano i presupposti(47); diversamente veniva in gioco esclusivamente la tutela dei terzi, quindi l’opponibilità. Della disciplina degli artt. 2498 e ss., nonché 2501 e ss., è stata insomma riscontrata la coerenza non solo con l’iscrizione nel Registro imprese, ma pure con il tenore delle regole a presidio dell’integrità del patrimonio: in questa cornice deve inquadrarsi il diritto di opposizione accordato ai creditori rispettivamente dall’art. 2500-novies e dall’art. 2503, collegandolo all’analoga prerogativa riconosciuta rispetto all’intervento sul capitale. Laddove ci si predisponeva a ricercare la presenza di meccanismi corrispondenti nell’ambito della disciplina di associazioni e fondazioni si coglieva l’assenza di verifiche analoghe quanto alla consistenza del patrimonio iniziale nelle associazioni non riconosciute, presenti - invece - per associazioni riconosciute e fondazioni; poi, il difetto di prescrizioni in tema di contabilità e bilancio; ancora, regole assai tenui con riguardo alla preservazione dell’integrità del capitale, essenzialmente riassumibili in quelle due disposizioni - art. 24, comma 3, nonché art. 37 - che precludono la liquidazione della quota all’associato fuoriuscito.
Acclarata tale simmetria occorreva individuare la soglia di tutela complessivamente riconosciuta ai terzi dal corredo normativo dell’ente e poi riprodurla a margine delle trasformazioni e delle fusioni. Altrettanto avrebbe dovuto valere quanto al grado di formalismo e pubblicità, che poi è quanto ha mostrato di ritenere la giurisprudenza allorché ha applicato all’evoluzione del comitato in fondazione, oppure alla fusione tra associazioni, i criteri di qualificazione - su base indiziaria - della fattispecie amorfa che sono stati affinati rispetto alla circolazione delle aziende ed alla presenza di società di fatto, contesti ed esperienze da cui si traggono le regole rivolte a rintracciare la continuità dei rapporti.

Le recenti indicazioni della giurisprudenza e della prassi

La giurisprudenza ha avuto scarse occasioni di intervento in tema. Nell’ambito delle poche pronunce si segnalano quella che ha ravvisato nella procedura fallimentare un impedimento alla trasformazione di un’associazione in società di capitali(48) e quella che ha confermato l’ammissibilità della fusione eterogenea per incorporazione di una società a responsabilità limitata in una fondazione(49), a suo tempo oggetto di contrasti interpretativi(50). Ancora merita un cenno la sentenza della Sezione tributaria della Cassazione che, contraddicendo i precedenti sopra segnalati, ha escluso che lo scioglimento di un’associazioni non riconosciute e la sua confluenza in altra associazione configuri una fusione e neppure una successione a titolo universale nei rapporti giuridici dell’associazione sciolta(51).
Una recente pronuncia di merito romana si è occupata del procedimento di fusione tra fondazioni, aprendosi alla sua ammissibilità, e dichiarando applicabili, nei limiti della compatibilità, le disposizioni dettate dal codice civile(52). La corposa motivazione della sentenza si è diffusa sui profili pubblicitari, sottolineando «... la differente funzione del Registro delle persone giuridiche e del Registro delle Imprese», da cui è stata fatta conseguire l’inapplicabilità dell’art. 2504-quater c.c. alla fusione delle fondazioni(53).
È noto che particolarmente controversa è risultata la trasformazione dell’associazione non riconosciuta in fondazione, osteggiata sulla scorta di considerazioni sia concettuali, attinenti alla contrapposizione tra la struttura corporativa della prima e quella istituzionale della seconda(54), sia funzionali, attesa l’assenza di contabilità affidabile da cui ricavare la consistenza delle passività(55). A tale chiusura conseguiva che la trasformazione di un’associazione non riconosciuta in fondazione avrebbe potuto perseguirsi soltanto «mediante la preventiva estinzione dell’associazione e la successiva costituzione ex novo della fondazione quale soggetto di diritto nuovo, autonomo e titolare di un patrimonio svincolato dalle vicende e dai rapporti giuridici facenti capo alla pregressa associazione e come tale suscettibile, pertanto, di essere valutato dal Prefetto sotto il profilo dell’adeguatezza al perseguimento dello scopo statutario, ai fini dell’iscrizione dell’ente nel registro delle persone giuridiche e del riconoscimento della personalità giuridica»(56).
I primi mutamenti di rotta sono pervenuti dal corpo notarile, attraverso la valorizzazione dell’autonomia organizzativa(57), e sono state raccolti in sede giudiziaria assumendo che, con la riforma del diritto societario, la trasformabilità fra enti diversi era divenuta un principio generale dell’ordinamento, risultando pertanto ragionevole il transito diretto da associazione a fondazione, senza il passaggio intermedio attraverso le società di capitali, «per ovvie ragioni di economia dei mezzi giuridici»(58); tale aperture è stata recepita presso gli uffici regionali(59).
Al benestare circa la concettuale ammissibilità dell’operazione si è accompagnata la formulazione di indicazioni operative. L’evoluzione di una associazione in una fondazione è stata assimilata alle ipotesi di trasformazione eterogenea, degli articoli 2500-septies e 2500-octies c.c., facendone conseguire l’applicazione delle relative regole procedimentali, a partire dalla della forma pubblica per l’atto, allineando poi il quorum decisionale a quello richiesto dall’articolo 21, ultimo comma, c.c. per lo scioglimento dell’associazione(60) e dall’art. 2500-octies c.c. in tema di trasformazione eterogenea da ente non societario a società di capitali.
L’ammissibilità della trasformazione diretta di associazione non riconosciuta in fondazione ricevette parecchie adesioni in dottrina(61) ed è stata accolta dal Consiglio di Stato nella pronuncia maggiormente articolata in materia(62), appoggiata alla tesi secondo cui la riforma del diritto societario avrebbe reso la trasformazione degli enti collettivi un istituto di carattere generale. Le esigenze di tutela dei creditori sociali avrebbero comunque potuto essere salvaguardate imponendo adeguate forme di pubblicità. Di qui l’applicazione analogica delle disposizioni del codice, incluso l’art. 2500-ter, comma 2, c.c., che legittima l’autorità amministrativa competente a chiedere una relazione di stima del patrimonio esistente alla data della trasformazione, in quanto adempimento «che può consentire, tanto ai creditori sociali quanto all’autorità amministrativa competente, di apprezzare con maggior grado di consapevolezza, rispettivamente, le conseguenze derivanti dalla trasformazione per le loro ragioni di credito, ed eventualmente proporre opposizione ex art. 2500-novies sopra citato, e la proporzione economica tra la funzione dell’ente e la consistenza dei mezzi patrimoniali ad essa sottostante». L’apertura fu presto revocata dal medesimo Consiglio di Stato in un parere reso l’anno successivo(63), ove fu esclusa la compatibilità con la preesistenza di una struttura associativa del procedimento previsto per la costituzione della fondazione, in particolare con l’art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 361/2000, negando l’operatività dell’analogia, e dell’art. 1322 c.c.(64); colpisce il passo della motivazione dove la legislazione vigente era qualificata “oscura”.

La riforma del Terzo settore

L’art. 98 detta le uniche modifiche al codice civile apportate dalla riforma, aggiungendo l’articolo 42-bis, rubricato “Trasformazione, fusione e scissione”, che al primo comma recepisce le aperture illustrate, liberalizzando le operazioni straordinarie all’interno degli enti del titolo II del libro I del codice civile, in assenza di espressa esclusione da parte dell’atto costitutivo o dallo statuto. I successivi commi sono dedicati, rispettivamente, alla trasformazione il secondo, a fusioni e scissioni il terzo, mentre il quarto e ultimo riguarda la pubblicità.
La nozione legislativa di trasformazione appare dunque ampliata, sulla scia delle indicazioni giurisprudenziali segnalate(65). Per gli effetti è operato testuale rinvio all’art.2498 c.c. L’elenco degli adempimenti rispecchia le ultime indicazioni formulate dalla giurisprudenza e dalla prassi, prescrivendo all’organo di amministrazione di predisporre sia «una relazione relativa alla situazione patrimoniale dell’ente in via di trasformazione contenente l’elenco dei creditori, aggiornata a non più di centoventi giorni precedenti la delibera di trasformazione», sia «la relazione di cui all’articolo 2500-sexies, comma 2»(66). È fatto, ancora, richiamo agli articoli 2499, 2500, 2500-bis, 2500-ter, comma 2, 2500-quinquies e 2500-nonies, nei limiti della compatibilità.
È realizzazione della medesima tecnica legislativa il terzo comma, ove è indicata l’applicazione alle fusioni e alle scissioni rispettivamente delle disposizioni «di cui alle sezioni II e III del capo X, titolo V, libro V del codice civile», sempre in quanto compatibili. Il quarto comma opera la prevedibile equiparazione tra il Registro imprese e quello delle persone giuridiche nonché l’istituendo del Terzo settore, estendendo a questi ultimi il ruolo assolto dal primo a mente del libro quinto del codice(67).
È pregiudiziale la mappatura della valenza normativa ascrivibile all’art. 42-bis, che il primo comma circoscrive agli enti del titolo secondo del libro primo del codice civile, mentre il quarto comma sembra estendere agli Enti del Terzo settore, evocando il relativo Registro. Alla corrispondente dilatazione sembrerebbe opporsi, oltre alla lettera della legge, la varietà degli Ets; l’ostacolo è forse superabile integrando la disciplina delle operazioni straordinarie tramite regole coerenti con le rispettive specificità. Non vanno, del resto, trascurate le peculiarità dei singoli enti del libro primo del codice, su cui la Riforma non ha inciso, basti pensare al comitato(68), oppure alla fondazione, la cui burocrazia interna deve continuare a confrontarsi con le ingerenze pubbliche preesistenti(69).
A propria volta l’estensione del regime pubblicitario previsto per le società, se inteso in maniera puntuale, precluderebbe la riproposizione degli accennati orientamenti inclini ad applicare la disciplina delle operazioni straordinarie a sequenze ininterrotte e amorfe(70); in senso contrario, tuttavia, depone il favore per la conservazione dei rapporti giuridici - si pensi ai crediti vantati da terzi(71) - e il mancato richiamo della norma introdotta dalla riforma per l’estinzione delle società.


(1) Proprio a margine di un caso riguardante un’operazione straordinaria la giurisprudenza - ancorché amministrativa, quindi con tutti i limiti che circondano la portata delle sue pronunce rispetto al diritto privato - ha avuto modo di prendere posizione circa l’identità e la consistenza della categoria residuale degli “altri enti”: Cons. Stato, Adunanza della Sezione seconda, 14 aprile 1994, n. 546/94, in Vita not., 1994, p. 1216, con nota di G. PALAZZO, «Costituzione di fondazione da parte di associazioni e possibili fusioni di fondi di previdenza».

(2) M.V. DE GIORGI, Vicende modificative ed estintive, in M. BASILE, Le persone giuridiche, Milano, 2003, p. 430.

(3) In ambito societario si formò presto una letteratura significativa: G. BERTO, Studi preliminari sulla trasformazione delle società, Torino, 1945; N. GASPERONI, La trasformazione delle società, Milano, 1952; P. RESCIGNO, «Trasformazione di società e responsabilità limitata dei soci», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, p. 932. Per una panoramica si rinvia a C. SANTAGATA, Fusione, in Tratt. SpA, dir. da Colombo e Portale, 7, II, 1, Torino, 2004, p. 88 ss.

(4) Cons. Stato, 3 aprile 1956, in Cons. Stato, 1958, I, p. 354, aveva ammesso la trasformazione di associazione riconosciuta in fondazione.

(5) F. GALGANO, Delle persone giuridiche, in Comm. Scialoja- Branca, Bologna - Roma, 1969, p. 282, nella nota 20 criticava Cons. Stato, 3 aprile 1956, cit.

(6) Non venivano sollevate considerazioni relative alla causa, stante l’omogeneità quanto al carattere non lucrativo.

(7) Come segnalava D. VITTORIA, Le fondazioni culturali e il consiglio di amministrazione, Napoli, 1976, p. 9 e ss.

(8) F. GALGANO, Delle persone giuridiche, cit., p. 352 e ss. secondo cui le deliberazioni di fusione «non dovranno essere riguardate come deliberazioni di scioglimento e, quindi, di autorizzazione alla fusione: esse sono comuni deliberazioni modificative dei rispettivi statuti e, quindi, soggette alla comune disciplina, in fatto di maggioranze e di autorizzazioni alle modifiche statutarie».

(9) Cons. Stato, 12 febbraio 1963, in Cons. Stato, 1963, I, 1, p. 1516, relativo alla trasformazione di una fondazione per l’educazione femminile in ente erogatore di borse di studio per giovinette povere; Cons. Stato, 10 agosto 1960, in Cons. Stato, 1963, I, p. 1023, sulla sostituzione della finalità di gestione di una scuola agraria con quella delle attività assistenziali per l’incremento dell’istruzione agraria.

(10) Cons. Stato, 24 gennaio 1956, in Cons. Stato, 1956, I, p. 1104, peraltro facendo applicazione analogica dell’art. 58 legge 17 luglio 1890, n. 6972 che prevedeva la fusione tra istituzioni pubbliche di assistenza e di beneficenza.

(11) Cass., 14 marzo 1967, n. 583, in Giur. it., 1968, I, p. 511, la quale fece capo al solo art. 2504 c.c. relativo agli effetti, lasciando invece impregiudicato il procedimento. La sentenza di primo grado era Trib. Napoli, 31 dicembre 1962, pubblicata in Giur. it., 1964, I, 2, p. 699, con nota di Ghezzi, nonché in Riv. dir. comm., 1964, II, p. 494, con nota di Rossi.

(12) Cass., 19 ottobre 1964, n. 2622, in Foro it., 1965, I, c. 666.

(13) D. VITTORIA, «Il cambiamento del “tipo” per gli enti del I libro del codice civile», in Contr. impr., 1992, p. 1156, circa la sufficienza della maggioranza prevista dall’art. 16, comma 2 per le modifiche statutarie, nonché l’esclusione di pregiudizio per i creditori, permanendo la loro garanzia rispetto al patrimonio della fondazione. In senso favorevole alla trasformazione v. anche G. RIOLFO, «La trasformazione degli enti collettivi dal codice civile alle leggi speciali», in Contr. impr., 1996, p. 925 e ss.

(14) Sul punto si rinvia a M.V. DE GIORGI, Le persone giuridiche, associazioni e fondazioni, in Tratt. Rescigno, II, 2, 2° ed., Torino, 1999, p. 420.

(15) Semmai qualche arretramento, come quello del Tar Toscana, sez. I, 16 novembre 2004, n. 5802, in Giorn. dir. amm., 2005, p. 178 secondo cui «è legittimo il diniego di trasformazione diretta di un’associazione in fondazione, atteso che, fuori dei casi in cui l’ordinamento appresti procedure per ottenere la trasformazione diretta di un soggetto giuridico, non è consentito superare il modulo procedimentale ordinario dato dall’estinzione del soggetto preesistente e dalla successiva costituzione del nuovo soggetto». In senso analogo la decisione di Cons. Stato, sez speciale, n. 288/2000.

(16) Cass., 24 novembre 1999, n. 13033, in Vita not., 2000, p. 987, pronunciatasi in ordine alla sopravvivenza del diritto di regresso dell’associato escusso per i debiti dell’associazione.

(17) Cons. Stato, 14 aprile 1994, n. 546, in Vita not., 1994, p. 1216, con nota di G. Palazzo

(18) F. GALGANO, Le associazioni. Le fondazioni. I comitati, Padova, 1987, p. 204.

(19) Cosa cercare nella legislazione speciale? La previsione della equipollenza - rispetto al rivestimento di un determinato ente - delle diverse forme di enti lucrativi e non, oppure - od in aggiunta - dell’associazione come della fondazione; poi previsioni rivolte a disciplinare fenomeni di trasformazione, ma anche di fusione e scissione, di estinzione di enti non lucrativi con travaso di attività in altri.

(20) Art. 2, L. 11 agosto 1991, n. 266 sulle organizzazioni di volontariato.

(21) Art. 11, L. 31 gennaio 1992, n. 59 circa i Fondi mutualistici. Ancora l’art. 117-bis D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, testo unico sull’ordinamento delle autonomie locali; nonché l’art. 90, comma 18, L. 289/2002 sulle società sportive dilettantistiche, di cui tuttavia è prescritta l’esclusione dello scopo di lucro.

(22) Art. 4, D.lgs. 17 maggio 1999, n. 153.

(23) D.lgs. 29 giugno 1996, n. 367 sulla trasformazione degli enti che operano nel settore musicale in fondazioni di diritto privato.

(24) Segnalo la mia analisi condotta in «Le trasformazioni eterogenee: un’apertura alle frontiere tra società lucrative ed enti non profit?», in Nuova giur. civ. comm., 2005, II, p. 73 e ss.

(25) Collegandomi ad una chiara indicazione di F. GALGANO, Le associazioni. Le fondazioni. I comitati, cit., l’ho anticipato rispetto alla riforma in «Fusione per incorporazione di una Srl lucrativa da parte di un’associazione non riconosciuta», in Contr. impr.,1998, n. 1; poi ripreso successivamente nel saggio «In tema di fusione eterogenea», in AA.VV., Atti del Convegno. Riforma del diritto societario: riflessioni del Notariato, Milano, 2004, p. 197-203 e ulteriormente sviluppato in «Trasformazioni eterogenee, fusioni eterogenee ed altre interferenze della riforma del diritto societario sul “Terzo settore”», in Contr. impr., 2004, n. 1, p. 294 e ss. Sorprende, pertanto, leggere G. MARGIOTTA, «Le trasformazioni eterogenee nella riforma del diritto societario», in Riv. not., 2006, I, p. 978, nota 1, che attribuisce tale apertura al discorso presentato da un relatore intervenuto a un convegno notarile svoltosi nel 2006, stupore raddoppiato dalla constatazione dei numerosi richiami alle varie relazioni ivi presentate, ma non alla mia, dove avevo affrontato il tema indicato nella nota seguente del presente scritto, che l’A. in esame evoca nella sua nota 3 a p. 980, ma appunto evitando di citarmi.

(26) Mentre le indicazioni espresse dalla riforma, quanto alla decisione circa la trasformazione della fondazione, incidono sulla prassi degli statuti modellati secondo lo stampo della fondazione bancaria ripristinando la distanza strutturale tra associazioni e fondazioni.

(27) Del resto neppure sarebbe preclusa la trasformazione in società senza scopo di lucro, dal momento che, come subito osservato da G. MARASÀ, «Le trasformazioni eterogenee», in Riv. not., 2003, p. 597, quella dell’ente non profit in società senza scopo di lucro sarebbe causalmente omogenea, cosicché non soggiacerebbe ai limiti sanciti dall’art. 2500-octies c.c. L’intuizione è stata ripresa adesivamente da A. ZOPPINI e F. TASSINARI, «Sulla trasformazione eterogenea delle associazioni sportive», in Contr. impr., 2006, p. 910, facendone applicazione in tema di transito tra associazione e società sportiva dilettantistica.

(28) Art. 1, comma 1, lett. b), n. 11, L. 13 giugno 2005, n. 118, nonché art. 13 del decreto delegato.

(29) Rinvio alla mia relazione «Enti non lucrativi e trasformazioni eterogenee. Un catalogo di questioni», in Il diritto civile oggi. Compiti scientifici e didattici del civilista. Atti del primo convegno nazionale della Società Italiana degli Studiosi del Diritto civile (Capri 7-9 aprile 2005), Napoli, 2006.

(30) Il riferimento testuale allo scopo sembra precluderne l’estensione all’oggetto, ma che dire dell’ipotesi della sua obsolescenza permanendo attuale la finalità?

(31) Meritano particolare attenzione i contributi di M. MALTONI, La trasformazione delle associazioni e delle fondazioni, in La trasformazione delle società, a cura di M. Maltoni - F. Tassinari, in Notariato e nuovo diritto societario. Collana diretta da G. Laurini, Milano 2005, p. 320; ID., «La trasformazione eterogenea di fondazioni in società di capitali», in Riv. dir. civ., il quale ha invitato a valorizzare l’affinità funzionale della trasformazione prevista dall’art. 2500-octies con quella prevista dall’art. 28, quale deroga all’immutabilità dello scopo - così da poterla impiegare come surrogato di essa -, pur escludendo la trasferibilità alla prima dei limiti sanciti per la seconda

(32) È controverso se alla luce dell’art. 2500-octies, ultimo comma, c.c. che richiede l’identificazione dell’ “organo competente” la trasformazione debba essere contemplata dall’atto costitutivo, oppure l’art. 2 D.P.R. 361/00 consenta di superare tale prescrizione, sciogliendola nel rispetto delle regole di funzionamento dell’organo cui affidare tale decisione, anche in assenza di espressa attribuzione statutaria. C’è allora da chiedersi se l’accoglimento della prima tesi importi semplicemente la preventiva adozione di una delibera adeguatrice dello statuto, o non valga piuttosto a far ritenere senz’altro preclusa la trasformazione non originariamente contemplata.

(33) A. ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995, p. 222 ritiene «consentite modificazioni anche profonde, se ed in quanto coerenti all’attuazione dello scopo», ammettendo la possibilità, quando il patrimonio sia esuberante, di creare per scissione ulteriori fondazioni accessorie», ovvero ampliare la gamma delle attività finalizzate al conseguimento dello scopo, aggiungendo che «egualmente ammissibile appare la trasformazione dell’ente nel caso in cui il patrimonio sia esiguo, limitando il campo di attività o attraverso la fusione con una fondazione avente fini analoghi».

(34) A. ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, cit., p. 20 osserva che assecondare la trasformabilità della fondazione in associazione - sostenuta da D. VITTORIA, «Il cambiamento del “tipo” per gli enti del I libro del codice civile», cit., p.1149 - «significherebbe riconoscere ai fondatori un potere di governo dello scopo dell’ente che è, invece, loro precluso».

(35) Controllo limitato alla legittimità secondo la giurisprudenza prevalente: Cass., 14 maggio 1987, n. 4442.

(36) In termini Trib. Salerno, 27 gennaio 1999, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, p. 779, con nota di M.V. DE GIORGI, «Il controllo sull’amministrazione delle fondazioni», secondo cui «… esistono fondazioni il cui statuto, in parte contraddicendo il tradizionale modello, attribuisce rilievo alla struttura organizzativa, sia attribuendo ampie competenze e larghi margini di discrezionalità al consiglio di amministrazione, sia prevedendo, oltre a questo, altri organi collegiali, come assemblee, consigli, generali, comitati esecutivi. Resta fermo, però, che gli amministratori non possono, a differenza dei componenti l’associazione, alterare a proprio piacimento il contenuto dell’atto costitutivo, deliberare lo scioglimento dell’ente o modificarne il fine, perché lo svolgimento della loro attività è pur sempre vincolata al perseguimento dello scopo prefissato dal fondatore, e l’esercizio di queste funzioni spetta solo all’autorità governativa». A. ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, cit., p. 220 puntualizza come la modificabilità dello statuto trovi limite nei connotati inderogabili della fattispecie - l’irrevocabilità del programma ed il carattere necessitato dell’attività - e fermo comunque l’art. 27.

(37) Pare, invece, da escludere l’equiparabilità dello spostamento dell’ambito di attività, quindi della competenza, da regionale a prefettizia, tra l’altro negato dalla giurisprudenza amministrativa: Cons. Stato, 13 gennaio 1993, n. 1573, in Cons. Stato, 1993, I, p. 1375.

(38) Art. 2500-octies, comma 3; art. 223-octies, disp. att.

(39) Ipotesi considerata, ma non approfondita, da Cons. Stato, 5 agosto 2003, n. 4540, a margine dell’art. 1, comma 5, lett. b), D.P.C.M. 16 febbraio 1990, che considera istituzioni promosse ed amministrate da soggetti privati di una quota significativa dei componenti dell’organo deliberante», relativamente alla clausola statutaria che prevedeva la provenienza della designazione da parte di soggetti privati, senza prendere in considerazione la natura dei soggetti designati.

(40) A. ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, cit., p. 221, muovendo dall’accostamento dell’attività della fondazione alla promessa al pubblico, propone di seguire l’art. 1990 circa la necessità di una giusta causa di revoca - quindi di modifica statutaria idonea ad incidere sulla posizione dei beneficiari - concludendo nel senso che la modifica non può pregiudicare i diritti quesiti, opera ex nunc e richiede quale condizione di validità la dimostrazione di una giusta causa.

(41) A. ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, cit., p. 224, citando a conforto Cass., 19 ottobre 1964, n. 2622 che aveva ammesso la legittimazione degli associati ad impugnare la delibera dell’associazione modificativa dello statuto in termini pregiudizievoli per le loro posizioni.

(42) L’estensione riguarda le cooperative, che sono società.

(43) Conforme M.V. DE GIORGI, Le vicende modificative ed estintive, in M. BASILE, Le persone giuridiche, Milano, 2003, p. 445.

(44) Non appare, pertanto, di immediata comprensione la massima 52 degli orientamenti della Commissione del Notariato milanese sulla riforma delle società, dedicata alle fusioni eterogenee, laddove si afferma l’imprescindibilità degli adempimenti pubblicitari prescritti dagli artt. 2501 e ss. anche per associazioni e fondazioni (sembrerebbe si intenda includere quelle che non rivestano la qualifica di imprenditori commerciali, cui è invece rivolta la menzione della lettera b). Il riferimento appare diretto essenzialmente alla pubblicazione della delibera dell’associazione (per la fondazione viene in gioco il coordinamento con il ruolo della autorità), dal momento che quella del progetto avviene comunque, in quanto attuata per la società, mentre il deposito dei bilanci di tutti i soggetti partecipanti alla fusione - quindi anche quelli dell’associazione o fusione - presso la sede sociale è in ogni caso prescritto dall’art. 2501-septies. Il passaggio chiave della motivazione risiede nella chiusura, presso la lettera c), laddove si conta sull’adempimento previsto dall’art. 2500, comma 3. Non appare, tuttavia, così evidente come questa disposizione, attraverso il rinvio al comma che precede, laddove applicata all’operazione eterogenea cui partecipino enti del libro primo valga ad imporre il deposito della delibera di fusione, in quanto al momento l’ente non ha ancora mutato identità, cosicché non è luogo ad attuarsi la pubblicità propria della nascita della società, mentre l’estinzione dell’ente non lucrativo che non rivesta la qualifica di imprenditore commerciale non è soggetta ad alcun deposito presso il Registro delle imprese. Alternativamente vi si leggerebbe la preclusione alla partecipazione a fusioni e scissioni eterogenee laddove difetti la veste di imprenditore commerciale, tesi che farebbe corpo con la prospettiva che collega la trasformazione (eterogenea, ma pure omogenea) alla continuità dell’impresa, piuttosto che del soggetto.

(45) Cass., 12 novembre 1977, n. 4902, in Foro it., 1978, I, ha ravvisato continuità tra comitato e fondazione quale «vicenda evolutiva che culmina nell’acquisto della personalità», considerando indici del rapporto di continuità la coincidenza dei sottoscrittori l’atto di fondazione con i membri del comitato, l’identità dello scopo, la strumentalità dei medesimi beni: nella stessa linea si collocano pure Cass., 12 giugno 1986, n. 3898, in Nuova giur. civ. comm., 1987, I, p. 16, con nota di Memmo - su cui si segnala il raffinato contributo di M. GRAZIADEI, «Acquisto per conto di un comitato non riconosciuto e dissociazione della proprietà», in Riv. dir. civ., 1988, I, p. 119 - , e Cass., 8 maggio 2003, n. 6985, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, p. 688, con nota di M.V. DE GIORGI, «Una sentenza di ingannevole semplicità in tema di comitato».

(46) Sulla scia dell’apertura alla dematerializzazione del compendio aziendale da ultimo Cass., 22 marzo 2006, n.6292 ha cassato la sentenza di merito che aveva negato l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. in relazione al trasferimento di larga parte del parco automezzi di una società avente ad oggetto l’installazione di reti telefoniche, sulla considerazione che esso era funzionale sia al settore dell’azienda ceduto, sia a quello della cessionari. Trib. Milano, sez. lav., 26 giugno 2006 ha ribadito e fatto applicazione del principio secondo cui, in determinati contesti, può configurarsi cessione di azienda anche laddove il trasferimento abbia ad oggetto soltanto un gruppo di dipendenti che siano stabilmente coordinati ed organizzati tra loro la cui capacità operativa sia assicurata dalla titolarità di un particolare know-how.

(47) Certamente il Registro delle persone giuridiche, ma vi è da interrogarsi circa l’equiparazione degli altri registri di settore previsti da leggi speciali, come quello delle formazioni di volontariato o delle associazioni di promozione sociale.

(48) «La condizione di beneficiaria di contributi pubblici impediscono, ai sensi dell’art. 2500-octies c.c. che un’associazione possa legittimamente trasformarsi in società di capitali. Allo stesso modo è di impedimento l’esistenza di una procedura fallimentare, in quanto la trasformazione in esame è possibile solo in pendenza di procedure concorsuali aventi una finalità di conservazione dell’impresa, quali sono l’amministrazione controllata e l’amministrazione straordinaria, e non quelle aventi una finalità solamente liquidatoria»: Trib. Verona, sez. IV, 29 novembre 2006, in Giur. mer., 2007, p. 2636.

(49) «Deve ritenersi ammissibile la fusione eterogenea per incorporazione di una società a responsabilità limitata in una fondazione. La previsione, nel nostro ordinamento, dell’istituto della trasformazione eterogenea, di cui agli artt. 2500-septies e ss. c.c., implicitamente consente - pur in assenza di un dato normativo espresso - la fusione eterogenea, atteso che il risultato conseguito non sarebbe diverso da quello derivante da una sequenza procedimentale - certamente lecita - di trasformazione eterogenea e conseguente fusione omogenea, purché siano garantiti gli interessi dei soci e dei terzi. Non è di ostacolo all’operazione prospettata il principio di tassatività e tipicità degli atti iscrivibili nel Registro imprese (art. 2188 c.c.) in considerazione della scindibilità degli adempimenti pubblicitari, che possono essere espletati - con riferimento alla società - nel Registro imprese e - con riferimento alla fondazione - nel Registro delle persone giuridiche»: Trib. Padova, 4 marzo 2010.

(50) Di cui avevo dato atto in «Enti non lucrativi e trasformazioni eterogenee. Un catalogo di questioni», cit., p. 337 e ss.

(51) «Lo scioglimento di un’associazione non riconosciuta e la sua confluenza con altra o in altra associazione non riconosciuta non dà infatti luogo ad una successione a titolo universale dell’organismo nato dall’unificazione, o di quello di confluenza, nei rapporti dell’associazione estinta, non configurandosi tale operazione come una fusione o un’incorporazione nel senso tecnico di cui all’art. 2501 c.c., in quanto l’estraneità di tali enti al regime di pubblicità nel Registro delle imprese esclude la possibilità di dar corso agli adempimenti inderogabilmente prescritti dalla predetta disposizione ai fini della salvaguardia delle ragioni dei terzi»: Cass., sez. trib., 12 marzo 2007, n. 5746. Nella motivazione, con riferimento alla fattispecie, si precisa che «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora un’associazione non riconosciuta si sia estinta per incorporazione in un’altra associazione non riconosciuta, sono legittimi la verifica eseguita nei confronti della prima associazione ed in presenza del suo legale rappresentante, nonché gli atti impositivi successivamente emessi sulla base di tale verifica nei confronti della medesima associazione, in persona del predetto rappresentante, ed a quest’ultimo notificati».

(52) «... Si può ritenere che le disposizioni introdotte con la riforma del diritto societario in tema di trasformazione omogenea o eterogenea possano trovare applicazione, nei limiti della compatibilità, anche con riferimento agli enti, previsti dal citato libro primo del codice civile. Dunque si può affermare che, nei limiti della compatibilità e tenendo sempre a mente le differenze strutturali e di scopo fra le società e gli enti ‘non societari’ ed in particolare le fondazioni, va ammessa ... l’applicazione analogica della disciplina in tema di fusione di società all’ipotesi di fusione di fondazioni ... Il procedimento di fusione delle fondazioni deve modellarsi quanto più possibile sulla disciplina di cui agli artt. 2501 e ss. c.c., riconoscendo appunto all’organo amministrativo degli enti interessati il potere di redigere il progetto di fusione, cui va allegata una relazione in ordine alle ragioni dell’operazione, alle eventuali modifiche statutarie, alla situazione patrimoniale; analogamente si deve provvedere al deposito degli atti presso le sede degli enti interessati all’operazione (art. 2501-septies, c.c.). Sicuramente non sono invece applicabili, neanche in via analogica, le norme in tema di “rapporto di cambio”, di cui agli artt. 2501-ter, comma 1, n. 3, e 2501-quinquies, comma 2, c.c., in quanto non vi sono quote di partecipazioni al capitale sociale da dover rispettare in relazione all’ente risultante dalla fusione. A differenza di quanto previsto per le società, per le quali l’approvazione del progetto è attribuita all’assemblea dei soci (art. 2502 c.c.), per le fondazioni, di regola prive di un organo assembleare e deliberativo, il potere di approvazione deve essere necessariamente riconosciuto ai CdA dei vari enti interessati; quindi sicuramente - torna il discorso dell’applicazione della disciplina delle società nei limiti della compatibilità di cui si è detto - non è applicabile la previsione di cui all’art. 2502 c.c. in tema appunto di deliberazione assembleare di approvazione della fusione e la manifestazione della volontà di procedere alla fusione deve necessariamente provenire dai rispettivi CdA. Analogamente, con le rilevanti conseguenze di cui si dirà, la mancanza di delibera assembleare sembra dover comportare l’inapplicabilità anche della previsione di cui all’art. 2502-bis c.c., in tema di pubblicazione della deliberazione di fusione nel Registro delle imprese, e dell’art. 2503 c.c., in tema di opposizione dei creditori. Come detto, si deve invece ritenere applicabile la disposizione che prevede la fusione con atto notarile..., il cui contenuto deve corrispondere al contenuto del progetto di fusione; alla stipulazione partecipano i legali rappresentanti degli enti interessati, i quali agiscono in esecuzione del mandato ricevuto in sede di approvazione del progetto di fusione»: Trib. Roma, 25 gennaio 2016.

(53) «... Quindi, a prescindere da quale possa essere l’effetto della fusione ... è condivisibile l’orientamento che porta ad escludere qualsivoglia effetto preclusivo in ordine all’impugnazione (già pendente o da introdurre) dell’atto di fusione. Si giunge a questa conclusione osservando che il citato art. 2504-quater, comma 1, c.c. ha un senso se viene visto all’interno di un sistema di pubblicità e di limiti all’impugnazione previste, in ambito societario, dai su richiamati artt. 2502-bis c.c. (iscrizione delle delibere adottate in ordine alla fusione dalle società coinvolte) e 2503 c.c. (previsione di un termine per l’opposizione dei creditori alla fusione); pertanto, ritenute non applicabili dette disposizioni alla fusione delle fondazioni, è evidente che viene meno anche l’effetto preclusivo di cui al citato art. 2504-quater, comma 1, c.c., norma eccezionale, anche tenuto conto della richiamata diversa funzione dei due Registri e della natura di pubblicità costitutiva che ha l’iscrizione nel Registro delle imprese. In conclusione, il provvedimento di approvazione dell’autorità amministrativa, con connessa iscrizione nel Registro delle persone giuridiche, non è ostativo all’eventuale impugnazione dell’atto di fusione, mentre nel caso delle società l’avvenuta iscrizione nel Registro delle imprese determina l’effetto sanante relativamente non solo ai vizi propri dell’atto, ma anche a quelli della procedura di fusione. Con riferimento all’ambito dell’impugnazione va ricordato che l’invalidità dell’atto di fusione - si richiama dottrina e giurisprudenza elaborata in ambito societario, ma i principi appaiono ugualmente validi - può derivare o da vizi propri dell’atto finale o da vizi della procedura, dovendosi poi verificare se i vari atti della sequenza procedimentale abbiano o meno rilevanza esterna e cioè se siano meri atti interni alla procedura ovvero siano dotati di autonoma rilevanza e quindi autonomamente impugnabili ...»: Trib. Roma, 25 gennaio 2016.

(54) Parere Cons. Stato, 30 gennaio 2015, n. 296 aveva giudicato inammissibile la trasformazione “diretta” da associazione a fondazione, poiché il procedimento normativamente previsto per la costituzione della fondazione è incompatibile con la preesistenza di una struttura associativa.

(55) «È legittimo il diniego dell’autorità amministrativa di iscrivere la delibera di trasformazione di un’associazione non riconosciuta in fondazione, poiché il difetto della fase di liquidazione impedisce la verifica della presenza di eventuali credito»: Tar Toscana, 24 novembre 2011, n. 1811.

(56) «È legittimo il diniego prefettizio di iscrizione nel Registro delle persone giuridiche di una fondazione derivante in via diretta, mediante trasformazione, da un’associazione non riconosciuta, atteso che la predetta trasformazione c.d. eterogenea, non essendo preceduta da un meccanismo preventivo di confronto con i creditori dell’associazione espone il patrimonio della neocostituita fondazione, in forza del principio di continuità dei rapporti giuridici, a possibili azioni dei creditori dell’associazione, così impendo al Prefetto, all’atto di autorizzare l’iscrizione della fondazione nel registro delle persone giuridiche, di verificare preventivamente l’adeguatezza del patrimonio dell’ente alla realizzazione dello scopo statutario, in ossequio all’art. 1, comma 3, del D.P.R. n. 361 del 2000»: Tar Piemonte, Torino, sez. I, 29 giugno 2012, n. 781.

(57) Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari. Massima K.A.40, intitolata appunto Trasformazione di associazione in fondazione.

(58) Tar Lombardia,14 febbraio 2013, n. 445 secondo cui «la regola della generale trasformabilità fra enti diversi appare, a seguito delle novità introdotte dalla riforma del diritto societario, un principio del nostro ordinamento»: l’espresso riconoscimento del passaggio delle figure giuridiche di cui agli articoli 2500-septies e 2500-octies c.c. (comprese le associazioni riconosciute e le fondazioni) da o in società di capitali consente la trasformazione da e in tutte le figure giuridiche suddette; pertanto, «risulta ragionevole consentire la trasformazione diretta, senza l’approdo al passaggio intermedio rappresentato dalla forma societaria, per ovvie ragioni di economia dei mezzi giuridici»: non avrebbe senso che un’associazione, per approdare alla forma giuridica della fondazione, debba transitare attraverso la trasformazione in società (se non addirittura procedere al suo scioglimento) per dar luogo alla costituzione del nuovo soggetto giuridico, alla luce di una dilatazione della tempistica che tali procedure comporterebbe. «Né pare sussistano, in senso contrario, ostacoli ricollegabili alle vicende pubblicitarie e al riconoscimento della personalità giuridica, anche in considerazione del fatto che l’atto di trasformazione produce gli effetti dell’atto di fondazione». Il Tar Lombardia aveva pertanto accolto il ricorso di un’associazione, annullando il provvedimento della Prefettura di Milano col quale era stata negata la richiesta di trasformazione.

(59) Documento della Regione Lombardia del 9 maggio 2013, intitolato Linee guida per la trasformazione eterogenea degli enti non profit nell’ottica della tutela dei creditori e del controllo di congruità del patrimonio dell’ente trasformato.

(60) Linee guida sulla trasformazione da associazione in fondazione, predisposte a seguito di un lavoro tecnico congiunto con il Consiglio notarile di Milano e la Prefettura di Milano secondo cui, una volta deliberata la trasformazione, l’atto che la reca deve essere inviato all’autorità competente, al fine dello svolgimento dell’attività di controllo che essa deve compiere in vista dell’iscrizione al Registro delle persone giuridiche dell’ente risultante dalla trasformazione: si tratta della Regione, per le fondazioni che svolgono un’attività in una delle materie di competenza regionale (ad esempio, la sanità) in un ambito territoriale non eccedente quello regionale oppure, in ogni altro caso, della Prefettura. Alla domanda di iscrizione nel Registro persone giuridiche deve essere acclusa una relazione del legale rappresentante dell’ente sull’attività che l’ente stesso intende svolgere dopo la trasformazione, nonché una situazione patrimoniale, redatta dall’organo amministrativo, aggiornata a non più di centoventi giorni precedenti la decisione di trasformazione, contenente l’elenco completo dei creditori dell’ente; nel verbale recante la decisione di trasformazione devono risultare: l’attestazione dell’organo amministrativo circa l’assenza di rilevanti modifiche nella situazione debitoria dell’ente dalla data di redazione della situazione patrimoniale al giorno dell’assemblea; l’indicazione del patrimonio dell’ente trasformato; l’indicazione dell’importo da imputare a fondo permanente di dotazione; l’importo da imputare a fondo di gestione; deve essere prodotta una relazione di stima asseverata relativa all’intero patrimonio dell’associazione, contenente l’indicazione dei criteri adottati, redatta (sulla base della situazione patrimoniale) da un revisore legale iscritto all’apposito albo, nominato dallo stesso ente trasformando, dalla quale risulti che il netto del patrimonio non è inferiore alla somma di quanto si intende destinare a fondo permanente di dotazione e a fondo di gestione. Inoltre, alla domanda di iscrizione nel Registro persone giuridiche deve essere acclusa idonea documentazione comprovante: l’avvenuta comunicazione ai creditori della decisione di trasformazione, entro i trenta giorni dalla stessa, a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno o a mezzo di posta elettronica certificata, nonché la pubblicazione, nel medesimo termine, della notizia sul sito dell’ente trasformando; la documentazione che provi il consenso alla trasformazione di tutti i creditori identificati nella situazione patrimoniale o il loro integrale pagamento; in alternativa, decorsi novanta giorni dalla decisione di trasformazione senza che alcun creditore abbia fatto opposizione, occorre presentare una dichiarazione in bollo rilasciata dal legale rappresentante dell’ente trasformando attestante l’assenza di opposizioni nel termine sopra indicato.

(61) Per la trasformazione diretta, M. MALTONI, La trasformazione delle associazioni, in M. MALTONI e F. TASSINARI, La trasformazione delle società, Milano, 2011, p. 391; ID., La trasformazione eterogenea di fondazioni in società di capitali, in AA.VV., La nuova disciplina delle associazioni e delle fondazioni, Padova, 2007, p. 25 e ss.; E. TRADII, Trasformazione eterogenea in cui intervengono enti non profit: trasformazione da associazione in società di capitali e viceversa, in AA.VV., La nuova disciplina delle associazioni e delle fondazioni, cit., p. 55 e ss.; A. FUSARO, La trasformazione delle associazioni in società di capitali e delle società di capitali in associazioni, in AA.VV., Le operazioni societarie straordinarie: questioni di interesse notarile e soluzioni applicative, Milano, 2007, p. 245; R. GUGLIELMO, La trasformazione eterogenea da associazioni a società di capitali, ibidem, p. 229 e ss. Negli studi del Consiglio Nazionale del Notariato, A. RUOTOLO, «La trasformazione degli enti no-profit», in Studi e materiali, 2010,p. 825 ss. Inoltre la Massima n. 20 del Consiglio Notarile di Milano.

(62) Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5226, commentata da A. RUOTOLO e D. BOGGIALI, «Trasformabilità diretta di associazione riconosciuta in fondazione, Segnalazione novità giurisprudenziale», in CNN Notizie, 21 luglio 2014, il quale configurava la trasformazione in discorso come omogenea, restando inalterato il fine non lucrativo. La motivazione ripercorre le motivazioni delle sentenze contrarie alla trasformazione omogenea, escludendo la permeabilità degli schemi dell’associazione e della fondazione, considerati istituti «fondati su presupposti totalmente diversi tra loro ai quali l’ordinamento ricollega un determinato assetto di poteri, di garanzie e di controlli che assumono differente significato alla luce della volontà ...».

(63) Sollecitato da Tar Lombardia, 14 febbraio 2013, n. 445, che aveva richiesto l’intervento al Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Ministero dell’Interno ha formalmente richiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine alla possibilità di trasformazione diretta da associazione (riconosciuta e non) in fondazione.

(64) Cons. Stato, sez. I, 30 gennaio 2015, n. 296, in Foro amm., (Il) 2015, 1, c. 125.

(65) Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5226, cit.

(66) La relazione accompagnatoria indica che «La prima sarà una relazione sulla situazione patrimoniale dell’ente soggetto a trasformazione. Questa relazione conterrà l’elenco dei creditori e sarà aggiornata. La seconda relazione ricalcherà le caratteristiche delle relazioni per la trasformazione di società di capitali in società di persone, delineate dall’articolo 2500-sexies del codice civile. Pertanto la seconda relazione illustrerà le motivazioni e gli effetti della trasformazione e una copia di essa resterà depositata presso la sede sociale durante i trenta giorni che precedono l’assemblea convocata per deliberare la trasformazione».

(67) «4. Gli atti relativi alle trasformazioni, alle fusioni e alle scissioni per i quali il libro V del codice civile prevede l’iscrizione nel Registro delle imprese sono iscritti nel Registro delle persone giuridiche ovvero, nel caso di enti del Terzo settore, nel Registro unico nazionale del Terzo settore».

(68) Un cenno all’evoluzione del comitato in fondazione è contenuto nel secondo paragrafo.

(69) Si richiama quanto illustrato nel paragrafo Le fondazioni: trasformazioni e fusioni come modifiche statutarie.

(70) Si rinvia a quanto riepilogato nel secondo paragrafo.

(71) La trasmigrazione dei rapporti obbligatori in capo al soggetto beneficiario della devoluzione è stata ravvisata anche ove il legislatore aveva disposto il subentro di un ente a un altro: Cass., S.U., 6 marzo 1997, n. 1989; Cass., 8 giugno 2007, n. 13386; Cass., 17 dicembre 1998, n. 12648.

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