Misure fiscali nella legge delega per la riforma del Terzo settore
Misure fiscali nella legge delega per la riforma del Terzo settore(*)
di Antonio Cuonzo
Dottore commercialista in Roma

La tematica tributaria all’interno della legge delega per la riforma del Terzo settore (L. 6 giugno 2016, n. 106 - “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”) e, per il momento, degli schemi(1) dei decreti legislativi dalla stessa legge previsti è molto ampia e comprende svariati interventi legislativi.
L’intento del presente intervento non è quello di analizzare tutti i singoli interventi di dettaglio ma è più che altro quello di esaminare una visione complessiva del rinnovato sistema di tassazione, diretta e indiretta, che gli enti interessati si troveranno ad affrontare una volta acquisita, attraverso l’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore, la qualifica sostanziale e innovativa di Enti del Terzo settore (in seguito, per brevità, anche indicati con il nuovo acronimo di “Ets”).
In tal senso, tutta una serie di disposizioni minori quali quelle relative all’introduzione di nuove forme di sostegno al comparto (es. vedi i nuovi Titoli di solidarietà), di regolamentazione fiscale di peculiari operatività (es. vedi la disciplina sul social lending) o di nuova regolamentazione dell’istituto del “Cinque per mille” (al quale è dedicato l’intero schema di decreto legislativo n. 419), non saranno oggetto del presente intervento.

Premesse

Una preliminare considerazione da esprimere in merito al complessivo impianto della Riforma del Terzo settore riguarda anzitutto la palese volontà legislativa di ridimensionare l’esistente sovrappeso della disciplina tributaria di settore a scapito di quella civilistica: la regolamentazione del comparto che qui ci occupa è notoriamente e da tempo affollata da disposizioni tributarie che, dinanzi ad un codice civile del 1942 e piuttosto scarno in tema di disposizioni relative ad associazioni, fondazioni e comitati, hanno un ruolo assolutamente centrale e spesso anche “invasivo” nella regolamentazione del comparto specifico (si pensi, solo per fare un esempio, all’invasività delle disposizioni statutarie dettate dal D.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 in tema di Onlus)(2).
In tal senso, la citata L. 6 giugno 2016, n. 106 (di seguito, per brevità, la “legge delega”) sembrerebbe, in prima battuta, sanare questa situazione cercando di spostare l’attenzione e la centralità delle disposizioni regolamentari dal piano tributario a quello civilistico. Tutto ciò dovrebbe avvenire non solo attraverso la nuova definizione civilistico-sostanziale di Ets e la sua declinazione all’interno dei primi cinque Titoli dello schema di decreto legislativo n. 417 (di seguito, per brevità “schema 417”) ma anche e soprattutto attraverso l’istituzione di un unico Registro del Terzo settore e la cura dello stesso da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Certo prevedibili, al riguardo, saranno le potenziali situazioni di conflitto interpretativo in cui si potrà incorrere essendo le agevolazioni tributarie del caso legate all’iscrizione nel suddetto Registro ed il controllo dell’Amministrazione finanziaria autonomo in tal senso fermo restando, però, «… il controllo eseguito dall’ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore ai fini dell’iscrizione, aggiornamento e cancellazione degli enti nel Registro medesimo»(3).
Del pari preliminare risulta poi la considerazione inerente la volontà di una definizione “in positivo” dei soggetti del comparto: uno dei maggiori problemi di fondo del comparto che ci accingiamo ad analizzare risiede da sempre nel fatto di avere a monte una definizione “in negativo”, rea non solo di paradossali tentativi di definire un “insieme” partendo da un “concetto negativo”(4)ma ancor di più foriera di un disinteresse (almeno pregresso) legislativo, giurisprudenziale e professionale verso questi soggetti in quanto «non …».
Aver quindi cercato e trovato una definizione “positiva” di “Ente del Terzo settore”, così come codificata dall’art. 1 della citata legge delega e per certi versi riadattata dall’art. 4 dello schema 417(5), è certamente rappresentativo di un notevole “cambio di rotta” che segue i più recenti approcci al tema che si erano già visti con la definizione di “Impresa sociale”.
Ultima premessa riguarda infine il fatto che, stando alle disposizioni contenute negli art. 53 e 104, comma 2 dello schema 417, tutte le disposizioni tributarie contenute nel titolo X dello stesso schema di decreto dovrebbero entrare in vigore non prima del periodo d’imposta successivo a quello di operatività del Registro unico nazionale del Terzo settore per il quale occorre prima un decreto ministeriale (da emanarsi entro un anno dall’entrata in vigore dello schema 417) e poi leggi regionali e provinciali (da emanarsi entro 180 giorni dall’emanazione del decreto ministeriale appena citato) che dovrebbero culminare con la predisposizione informatica dello stesso Registro.
In sostanza, il quadro tributario che ci accingiamo ad illustrare potrebbe essere fisiologicamente rinviato nella sua applicazione al 2019 (se non al 2020) con due specifiche notazioni: alcune disposizioni (in primis quelle con i nuovi regimi di deduzione e detrazione per le erogazioni liberali) saranno applicabili, in via transitoria, già dal 1° gennaio 2018 ma solo per Onlus, Organizzazioni di volontariato e Associazioni di promozione sociale (cfr. art. 104, comma 1 dello schema 417); altre disposizioni (es. l’abrogazione dell’art. 14 del D.l. 14 marzo 2002, n. 35) troveranno immediata applicazione alla luce del più generico disposto dell’art. 104, comma 3 dello schema n. 417 in cui si legge che «Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana».

Le misure fiscali all’interno della legge delega

L’art. 9 della legge delega, prevedeva come noto che i decreti legislativi di attuazione della delega procedessero anche al riordino e all’armonizzazione della relativa disciplina tributaria e delle diverse forme di fiscalità di vantaggio, nel rispetto della normativa dell’Unione europea e tenuto conto di quanto disposto ai sensi della legge 11 marzo 2014, n. 23, sulla base di precisi princìpi e criteri direttivi riassumibili come segue:
a) revisione complessiva della definizione di ente non commerciale ai fini fiscali connessa alle finalità di interesse generale perseguite dall’ente e introduzione di un regime tributario di vantaggio che tenga conto delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale dell’ente, del divieto di ripartizione, anche in forma indiretta, degli utili o degli avanzi di gestione e dell’impatto sociale delle attività svolte dall’ente;
b) razionalizzazione e semplificazione dei regimi di deducibilità e detraibilità;
c) razionalizzazione dei regimi fiscali e contabili semplificati;
d) revisione della disciplina riguardante le Onlus.
Alla luce di quanto specificamente previsto ai sopra citati punti a) e d) e della attuale differenziazione dei criteri di qualificazione soggettivo-tributaria relativi agli enti non commerciali (qualificati come tali solo in virtù dell’ “oggetto” dell’attività) e dei soggetti con qualifica di Onlus (qualificati come tali principalmente in virtù delle “finalità” dell’ente), ci si è chiesto sin da subito se il legislatore non si fosse accorto del fatto che «… un regime tributario di favore che tenga conto delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale dell’ente, del divieto di ripartizione, anche in forma indiretta, degli utili o degli avanzi di gestione e dell’impatto sociale delle attività svolte dall’ente» esisteva già ed era quello relativo alle Onlus (cfr. artt. 10 e seguenti del D.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460).
Ipotizzare, infatti, di ricondurre la qualifica di ente non commerciale ad una valutazione prettamente concentrata sulle “finalità” anziché sull’ “oggetto”, sembrava piuttosto un dettame dalla sola esigenza di riconoscere in chiave fiscale il nuovo concetto di Ets ed avrebbe voluto dire stravolgere l’intero impianto normativo del testo unico delle Imposte sui redditi.
Inoltre, una siffatta nuova concezione tributaria di ente non commerciale avrebbe certamente riproposto, in chiave tributaria, il problema relativo alla regolamentazione residuale dei soggetti che, pur appartenendo al comparto specifico, sarebbero rimasti fuori dalla qualifica di Ets (es. formazioni e le associazioni politiche, sindacati, associazioni professionali o di rappresentanza di categorie economiche, fondazioni bancarie).
Al tempo stesso, però, l’evidente e fermo intento di riformare il solo concetto tributario di ente non commerciale era apertamente palesato dalle previsioni dell’art. 9 da ultimo citato in cui si richiedeva (si badi bene) non l’abrogazione della qualifica di Onlus bensì la sola “revisione” della relativa disciplina, anticipando addirittura lo specifico intento di meglio normare la definizione delle attività istituzionali e di quelle connesse (cfr. art. 9, comma 1, lett. m della legge delega); segno, questo, che l’iniziale idea del legislatore era quella di proseguire con l’attuale duplicità qualificatoria degli enti non commerciali, da un lato, e dei soggetti con qualifica di Onlus, dall’altro.
Del tutto chiari, al contrario di quanto sopra, sembravano gli altri due principi e criteri di cui alle soprarichiamate lettere b) e c): razionalizzare e semplificare i tanti regimi di deducibilità e detraibilità e razionalizzare i regimi fiscali e contabili semplificati relativi al comparto.
Con riferimento, poi, al tema dell’Impresa sociale, il citato art. 9 disponeva previsioni di misure agevolative volte a favorire gli investimenti in capitale.
Da ultimo, la legge delega prevedeva anche il completamento della riforma strutturale dell’istituto del “Cinque per mille” i cui primi passi di riforma erano stati già mossi dallo stesso Governo emanando, in attuazione dell’art. 1, comma 154 della L. 23 dicembre 2014, n. 190, il Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 luglio 2016 modificativo delle precedenti disposizioni operative relative allo stesso “Cinque per mille”.

L’attuazione delle misure fiscali della legge delega all’interno dello schema di decreto legislativo n. 417

a) Le imposte dirette.
L’impianto tributario espresso nel titolo X dello schema 417, a differenza di quanto appena illustrato, potrebbe essenzialmente riassumersi attraverso la concreta abrogazione della qualifica tributaria di Onlus e l’istituzione di una nuova classificazione civilistico-sostanziale (quella degli Ets, appunto) da valutare poi, sul piano tributario, come ente non commerciale o ente commerciale sulla base dell’ “oggetto” della sua attività svolta.
Per meglio chiarire gli effetti di simile cambiamento, però, ci sia consentito fare un passo indietro e ricordare quanto segue relativamente alla logica con la quale era stata in passato costruita la qualifica tributaria di Onlus.
Prima dell’introduzione della qualifica da ultimo ricordata, con riferimento agli enti non societari, il nostro sistema tributario prevedeva, in termini di tassazione diretta, la soggezione dei suddetti enti all’Irpeg (oggi, Ires) accompagnata da una modalità di tassazione diversamente modulata a seconda della classificabilità del soggetto in questione tra gli enti non commerciali o tra gli enti commerciali (cfr. cfr. l’allora vigente art. 87 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - di seguito “Tuir”).
La classificazione tra gli enti non commerciali avveniva, ai sensi dell’allora vigente art. 87 Tuir, sulla base di una valutazione unicamente legata all’ “oggetto” e quindi alle attività dell’ente potendo qualificarsi come tali solo e soltanto «gli enti pubblici e privati diversi dalle società residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali».
Una volta qualificato come ente non commerciale, poi, l’ente avrebbe visto il suo reddito complessivo come formato da diverse categorie di reddito (fondiari, di capitale, di impresa e diversi) tra le quali, principalmente, quella del reddito d’impresa in cui sarebbero confluiti i risultati delle eventuali attività commerciali non prevalenti e da sottoporre a tassazione principalmente al fine di scongiurare eventuali lesioni di una corretta concorrenza del mercato.
Proprio questa (la tutela della corretta concorrenza del mercato) la ragione essenziale della tassazione dei risultati delle attività commerciali in capo agli enti non commerciali.
L’innovazione in tal senso apportata dal D.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 con l’introduzione della qualifica tributaria di Onlus poggiava invece sul superamento di tale logica di limitazione, finalizzato all’agevolazione dell’intervento sociale che i soggetti con qualifica di Onlus avrebbero espletato(6): classificati come Onlus principalmente sulla base della loro “finalità” di solidarietà sociale (e non delle loro attività come accadeva per gli enti non commerciali), a questi nuovi soggetti fiscali sarebbe stato concesso di non considerare commerciali (e quindi non tassare) le loro attività istituzionali e di non far concorre alla formazione del reddito (e quindi non tassare) le loro attività connesse, e tutto ciò solo in virtù dell’intervento di solidarietà sociale dalle stesse realizzato.
Per agevolare l’intervento sociale a supporto del welfare, quindi, si pensò di lasciare queste nuove entità libere (seppur nel rispetto di strette regole e vincoli statutari) di esercitare le loro attività istituzionali e connesse fuori dagli ambiti di tassazione, anche qualora le stesse avessero assunto i tratti caratteristici di una vera e propria attività commerciale; principale limite invalicabile, però, era una vera e propria limitazione operativa che relegava le attività dell’ente in questione a quelle istituzionali e a quelle connesse e che, se oltrepassato, avrebbe causato l’applicazione della “pena capitale” relativa alla perdita della qualifica di Onlus con conseguente devoluzione a terzi del patrimonio dell’ente.
Questo innovativo impianto tributario, foriero di tante ed ormai consolidate interpretazioni e disquisizioni di prassi, dottrina e giurisprudenza, è entrato in vigore il 1° gennaio 1998 e si appresta quindi ad essere abrogato probabilmente nel 2019 o nel 2020.
Il suo posto sarà preso dal ricordato concetto di Ente del Terzo settore che però, se sul piano civilistico- sostanziale prende in considerazione innanzitutto le finalità («civilistiche, solidaristiche e di utilità sociale»), da un punto di vista tributario compie un passo indietro riportando alla mera valutazione dell’ “oggetto” la classificazione dell’ente tra Ets non commerciali ed Ets commerciali.
In tal senso, l’art. 79 dello schema 417, oltre che specificare, per ogni singola attività c.d. “di interesse generale”, le modalità di esercizio della stessa che la rendono ora non commerciale (perché “conforme” a determinati criteri) ora commerciale (perché “non conforme” a quegli stessi criteri), nel suo comma 5 disciplina come segue il tema della classificazione soggettivo-tributaria di questi enti:
«Si considerano non commerciali gli enti del Terzo settore di cui al comma 1 che svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di cui all’art. 5 in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 del presente articolo. Indipendentemente dalle previsioni statutarie gli enti del Terzo settore assumono fiscalmente la qualifica di enti commerciali qualora i proventi delle attività di cui all’articolo 5, svolte in forma d’impresa non in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 del presente articolo, superano, nel medesimo periodo d’imposta, le entrate derivanti da attività non commerciali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell’ente e ogni altra entrata assimilabile alle precedenti, ivi compresi i proventi e le entrate considerate non commerciali ai sensi dei commi 2, 3 e 4, tenuto conto altresì del valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività svolte con modalità non commerciali. Il mutamento della qualifica opera a partire dal periodo d’imposta in cui l’ente assume natura commerciale».
Una volta che l’Ets sarà classificato come non commerciale sulla base di quanto appena richiamato, la sua tassazione dovrebbe avvenire, al pari degli enti non commerciali previsti dall’art. 73, comma 1, lett. c) del Tuir, con soggezione all’Ires e con le consuete classi reddituali (fondiari, di capitale, di impresa e diversi) tornado così a scongiurare eventuali lesioni di una corretta concorrenza del mercato. A questo si aggiunga che:
- la qualifica di Ets potrà essere acquisita da un ventaglio di soggetti ben più ampio di quello che poteva acquisire la qualifica di Onlus;
- le attività di interesse generale che caratterizzeranno gli Ets comprendono un numero ben più ampio di settori rispetto a quelli che caratterizzavano la qualifica di Onlus;
- le “attività diverse” esercitabili dagli Ets saranno (molto probabilmente) ben più ampie delle “attività connesse” esercitabili dalle Onlus.
La programmata “sostituzione” della qualifica di Onlus con quella di Ets non commerciale, quindi, in sostanza, avrà probabilmente l’effetto di svincolare i soggetti del comparto dalle forti limitazioni operative imposte alle Onlus sottoponendo però a tassazione attività oggi considerate istituzionali per Onlus (e quindi non tassate) ma domani probabilmente classificate come “attività non conformi”, nel senso più sopra descritto, e come “attività diverse” perché non considerate di interesse generale.
Nella sostanza, quindi, si realizzerà una probabile maggiore imposizione per il comparto specifico, sospinta probabilmente anche da specifiche ulteriori modifiche all’art. 148 del Tuir (regime agevolato per le associazioni), dalla abrogazione dell’art. 9-bis del decreto legge 30 dicembre 1991, n. 417 (disposizione che consente agli enti non profit un regime di tassazione forfetaria molto conveniente), dall’inapplicabilità agli Ets della legge 16 dicembre 1991, n. 398 (regime forfetario appena richiamato) e dell’art. 6 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 (riduzione Ires al 50%), e forse mitigata dai regimi di tassazione forfetaria delle attività commerciali previsti dagli artt. 80 e 86 rispettivamente, per Ets non commerciali, il primo, e per Organizzazioni di volontariato e Associazioni di promozione sociale, il secondo.
Un discorso a parte infine, in termini tributari, va invece affrontato per quanto riguarda l’impresa sociale oggetto, come imposto dalla legge delega, dell’altro e diverso schema di decreto legislativo n. 418.
Data per indiscutibile, ai fini tributari e sulla base dei criteri espressi dal già citato art. 73 del Tuir, la natura commerciale dei soggetti che acquisiscono la qualifica di Impresa sociale(7), la distinzione più interessante qui da operare dovrebbe essere quella relativa alla forma civilistica adottata dal soggetto che acquisisce la suddetta qualifica: l’adozione di una delle forme societarie di cui al libro V del codice civile consentirebbe infatti l’applicabilità di tutte le specifiche misure fiscali previste dall’art. 18 dello schema di decreto legislativo n. 418 e concentrate sulla possibilità di detassazione degli utili reinvestiti nello stesso ente (sistema tipico del comparto delle società cooperative) e sulla contestuale ed innovativa possibilità (come per le società cooperative) di una seppur mitigata distribuzione degli utili.
b) Le imposte indirette.
In tema di imposte indirette, l’art. 82 dello schema 417 sembra essere la disposizione che meglio riesce a dare la sensazione di trovarsi dinanzi ad un codice unitario della materia, riunendo in se stessa tutte le disposizioni agevolative relative all’imposizione indiretta e ai tributi locali.
Quanto alle specifiche norme in essa contenute, è dato rilevare come la disposizione in commento non solo ripropone, con riferimento ai soggetti Ets, tutta una serie di disposizioni agevolative in precedenza riferibili ai soggetti del comparto (a titolo di esempio, si veda il comma 6 in cui vengono sostanzialmente riproposte le agevolazioni Imu/Tasi degli enti non commerciali) ma cerca anche di superare tutta una serie di problematiche in precedenza sorte nella specifica materia.
In tal senso, viene in evidenza, ad esempio, la previsione dell’applicazione in misura fissa delle imposte di registro, ipotecaria e catastale relative alle operazioni di fusione, scissione e trasformazione fino ad oggi ritenute tassabili in misura proporzionale alla luce del fatto che operazioni di questo tipo, se realizzate da enti non commerciali, non avrebbero potuto godere dell’applicazione dell’art. 4 della Tariffa parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
Del pari in evidenza, poi, viene anche la reintroduzione, ad opera del comma 4 del citato art. 82, dell’imposizione in misura fissa, ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili e per gli atti traslativi o costituitivi di diritti reali immobiliari di godimento a favore di tutti gli enti del Terzo settore(8).
All’interno di simile e unitaria disposizione dedicata alle imposte indirette e ai tributi locali, occorre poi osservare come tanta attenzione abbia destato e stia ancora destando, anche nelle audizioni parlamentari, il tema relativo alla riformulazione delle attuali agevolazioni relative all’imposta sulle successione e donazioni.
Più in particolare, alla luce della sempre più diffusa pratica dei c.d. “lasciti solidali” a favore degli enti di questo comparto, il legislatore sembra aver prestato particolare attenzione al tema prevedendo, da un lato, la non applicabilità agli Ets delle disposizioni di cui all’art. 3, commi 1 e 2 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (cfr. art. 89, comma 1, lett. c dello schema 417) e, dall’altro, una sorta di riproposizione del comma 3 dell’art. 3 da ultimo citato, come noto, maggiormente oneroso in termini di gestione del lascito.
Il comma 2 dell’art. 82 dello schema 417 prevede infatti che «Non sono soggetti all’imposta sulle successioni e donazioni e alle imposte ipotecaria e catastale i trasferimenti a titolo gratuito, effettuati a favore degli enti di cui al comma 1 del presente articolo a condizione che i beni o diritti ricevuti o la somma ricavata dalla loro alienazione siano direttamente utilizzati, entro cinque anni dal trasferimento, in attuazione degli scopi istituzionali e che l’ente renda, contestualmente alla stipula dell’atto, apposita dichiarazione in tal senso» (corsivi nostri) non tenendo, però, in debita considerazione, come in molti hanno già osservato, l’evenienza che l’ente riceva degli immobili che intenda cedere a terzi senza riuscire nel suo intento entro i cinque anni a causa di condizioni di mercato o di problemi strutturali dello stesso immobile.
c) I regimi di deduzione e detrazione.
Per quanto attiene la delegata razionalizzazione e semplificazione dei regimi di deducibilità e detraibilità, la prima notazione non può che riguardare la prevista abrogazione delle disposizioni contenute nell’art. 14 del D.l. 14 marzo 2005, n. 35 convertito con L. 14 maggio 2005, n. 80 (sistema di deduzione comunemente conosciuto con il nome di “Più dai, meno versi”) sin dall’immediata entrata in vigore del decreto di cui allo schema 417.
Infatti, l’art. 102, comma 1 del citato schema 417 così recita: «Sono abrogate le seguenti disposizioni salvo quanto previsto ai commi 2, 3 e 4: a) … [omissis]; g) l’art. 14, commi 1, 2, 3, 4, 5, e 6 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35».
In realtà, dalla lettura integrale dello schema di decreto in parola si evince, di fatto, una sorta di “abrogazione parziale e temporanea” di questo specifico sistema di deduzione delle erogazioni liberali dal reddito complessivo del donante: l’art. 83 del citato schema, infatti, sembra riprodurre per il futuro la stessa disposizione abrogata eliminandone, da un lato, uno dei due ben noti limiti (quello dei 70.000,00 euro) entro i quali si rende oggi applicabile e limitandone, dall’altro, l’applicazione ad enti e società.
Per le persone fisiche, invece, si è pensato sostanzialmente di ampliare le esistenti agevolazioni di detrazione scrivendo una disposizione (art. 83, comma 1 dello schema 417) del tutto simile all’attuale art. 15, comma 1.1 del Tuir e prevedendo una maggiore percentuale di detrazione (il 30% anziché il 26%).
Nella sostanza, quindi, abrogazione della “Più dai, meno versi” ma inserimento di un regime di deduzione molto simile (anzi migliore) per donatori “enti e società” e di un regime di detrazione, migliore di quello attuale, per donatori persone fisiche.
Così come illustrata, la “sostituzione” della “Più dai, meno versi” con i nuovi regimi di deduzione e detrazione potrebbe anche apparire del tutto razionale e per certi versi migliorativa ma occorre tener conto di un mancato coordinamento normativo che potrebbe creare qualche problema applicativo già all’entrata in vigore del decreto legislativo sul Codice del Terzo settore.
Ci riferiamo in particolare al fatto che mentre l’abrogazione della “Più dai meno versi” sarà immediata (cfr. artt. 104, comma 3 e 102, comma 1 dello schema 417), l’applicazione dei nuovi regimi di deduzione e detrazione previsti dal citato art. 83 dello schema 417 non potranno che applicarsi «… a decorrere dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea di cui all’art. 101, comma 10 e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo di operatività del predetto Registro».
In tal modo ci sarebbe da aspettarsi un periodo di inapplicabilità della “Più dai meno versi” nel quale nessuna nuova disposizione di deduzione o detrazione soccorrerà i donatori.
Unica eccezione a questa previsione, la faranno Onlus, Organizzazioni di Volontariato e Associazioni di Promozione Sociale per le quali è prevista una applicazione, in via transitoria, del citato art. 83 dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017 e fino al periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea o all’operatività del predetto Registro.
Altra disposizione di particolare interesse in tema di deduzioni è quella poi contenuta nell’art. 89, comma 9 dello schema 417 laddove si legge chiaramente il ridimensionamento di alcune agevolazioni introdotte appena lo scorso anno (cfr. art. 6, comma 9 della L. 22 giugno 2016, n. 112) e che, nell’ambito della c.d. legge sul “Dopo di noi”, avevano il chiaro intento di sospingere le erogazioni liberali nel contesto di quella legge: il citato art. 6, comma 9 infatti richiamava l’applicazione delle regole di deduzione della c.d. “Più dai, Meno versi” ma allo stesso tempo ne innalzava i c.d. “tetti” portandoli dal 10% al 20% e da 70.000,00 euro a 100.000,00 euro.
L’art. 89, comma 9 dello schema 417 interviene adesso sullo stesso art. 6, comma 9 della L. 22 giugno 2016, n. 112 eliminando il riferimento alla “Più dai, Meno versi” e sostituendolo con il riferimento all’art. 83, commi 1 (detrazione) e 2 (deduzione) dello schema 417 come più sopra descritti. In sostanza, anche nel contesto delineato dalla c.d. legge sul “Dopo di noi” si applicheranno le usuali regole di deduzione e detrazione previste per gli Ets.
Tralasciando poi le disposizioni dei commi 3, 4 e 5 dell’art. 83 dello schema 417 che altro non fanno che riproporre, quasi pedissequamente, il dettato normativo dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 13 del D.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 relativi alla cessione gratuita di derrate alimentari, prodotti farmaceutici e beni non di lusso che presentano imperfezioni, alterazioni danni o vizi (meglio sarebbe stato, forse, lasciare semplicemente in vigore l’originaria disposizione del citato D.lgs. n. 460 del 1997), altre due innovative disposizioni in tema di deduzioni e detrazioni riguardano il c.d. “Social Bonus” (cfr. art. 81 dello schema 417) e le agevolazioni tributarie accordate agli investitori delle Imprese sociali (cfr. art. 18 dello schema di decreto legislativo n. 418).
Quanto alle prime (norme sul “Social Bonus”) è previsto un credito d’imposta pari al 65% delle erogazioni liberali in denaro effettuate da persone fisiche (50% se effettuate da enti soggetti all’Ires) in favore degli Ets non commerciali che hanno presentato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali un progetto per sostenere il recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni mobili e immobili confiscati alla criminalità organizzata e assegnati ai suddetti enti.
Quanto invece alle seconde (norme per gli investitori in Imprese sociali) è previsto:
- per le persone fisiche che investono nel capitale sociale di una società che ha acquisito la qualifica di Impresa sociale successivamente alla data di entrata in vigore della nuova disciplina e che sia costituita da non più di 36 mesi, una detrazione dall’imposta lorda sul reddito pari al 30% della somma investita, con la possibilità di portare in avanti l’eventuale eccedenza nei successivi tre periodi di imposta; l’investimento massimo detraibile non può eccedere, in ogni periodo d’imposta, l’importo di 1.000.000,00 di euro e deve essere mantenuto per tre anni;
- per i soggetti passivi Ires che investono nel capitale sociale di una società che ha acquisito la qualifica di Impresa sociale successivamente alla data di entrata in vigore della nuova disciplina e che sia costituita da non più di 36 mesi, invece, la non concorrenza alla formazione del reddito del 30% della somma investita; l’investimento massimo “deducibile” non può eccedere, in ogni periodo d’imposta, l’importo di 1.800.000,00 di euro e deve essere mantenuto per tre anni.


(*) Il presente documento rappresenta una sintesi dell’intervento realizzato in data 22 giugno 2017 e non tiene conto dei pareri espressi dalle Camere in data 21 e 22 giugno 2017 sugli schemi di decreto legislativo n. 417, 418 e 419.

(1) Ad oggi, il Governo ha unicamente provveduto, ai sensi dell’art. 1, comma 5 della L. 6 giugno 2016, n. 106, a trasmettere al Senato della Repubblica e alla Camera dei Deputati gli schemi di decreto legislativo n. 417 (relativo al c.d. “Codice del Terzo settore”), 418 (relativo alla revisione della disciplina in materia di Impresa sociale) e 419 (relativo alla disciplina dell’istituto del cinque per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche).

(2) Nonché al potere di influenza civilistico-statutario rimesso nelle mani dell’Agenzia delle entrate in sede di valutazione dell’istanze di iscrizione all’Anagrafe delle Onlus.

(3) Ai sensi dell’art. 94 dello schema n. 417 «Ai fini dell’applicazione delle disposizioni del titolo X l’Amministrazione finanziaria esercita autonomamente attività di controllo in merito al rispetto di quanto previsto dagli articoli 8, 9, 13, 15, 23 e 24 nonché al possesso dei requisiti richiesti per fruire delle agevolazioni fiscali previste per i soggetti iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore … [omissis] … e, in presenza di violazioni, disconosce la spettanza del regime fiscale applicabile all’ente in ragione dell’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore … [omissis]… L’Amministrazione finanziaria, a seguito dell’attività di controllo, trasmette all’ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore ogni elemento utile ai fini della valutazione in merito all’eventuale cancellazione dal Registro unico di cui all’art. 45 ove ne ricorrano i presupposti. Resta fermo il controllo eseguito dall’ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore ai fini dell’iscrizione, aggiornamento e cancellazione degli enti nel Registro medesimo».

(4) Quasi un ossimoro secondo alcuni autori. Sul tema si veda, P. CELLA, Il Terzo Settore: inquadramento economico aziendale e problematiche applicative, in La fiscalità del Terzo Settore, a cura di G. Zizzo, Milano, Giuffré editore, 2011.

(5) Sul punto è interessante osservare la differente definizione fornita dall’art. 4, comma 1 dello schema 417 («Sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, ed ogni altro ente costituito in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, o di fondazione per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore») rispetto a quella fornita dall’art. 1 della L. n. 106/2016 («Per Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi»).

(6) In tal senso, la relazione di accompagnamento al D.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 all’interno della quale si legge testualmente che «Obiettivo primario è quello di contribuire alla rivitalizzazione del cosiddetto settore non profit o Terzo settore, attraverso un razionale impiego della leva fiscale, così da consentire allo Stato di effettuare risparmi in diversi comparti di servizi, ora direttamente gestiti, che potrebbero essere efficacemente assicurati da queste realtà emergenti e non più marginali» (cfr. Relazione al decreto legislativo recante la “Disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, in attuazione della delega recata dall’art. 3, commi 186, 187, 188, 189 della legge 23 dicembre 1996, n. 662”.

(7) L’art. 1, comma 1 dello schema di decreto legislativo n. 418 dispone infatti che «Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati, inclusi quelli costituiti nelle forme di cui al libro V del codice civile, che, in conformità alle disposizioni del presente decreto, esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività» (corsivi nostri).

(8) A condizione che i beni siano direttamente utilizzati, entro cinque anni dal trasferimento, in diretta attuazione degli scopi istituzionali o dell’oggetto sociale e che l’ente renda, contestualmente alla stipula dell’atto, apposita dichiarazione in tal senso.

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