Liberalità indirette e collegamento negoziale: fattispecie e casi
Liberalità indirette e collegamento negoziale:
fattispecie e casi
di Maria Luisa Cenni
Notaio in Ozzano dell’Emilia

Premessa

Come è stato osservato, le donazioni indirette o, se si preferisce, le liberalità diverse dalla donazione definiscono una delle zone più misteriose nel territorio degli atti patrimoniali fra vivi(1).
La loro ricostruzione, infatti, impone l’analisi del rapporto tra il contratto tipico di donazione e le liberalità diverse dalla donazione, ma anche l’analisi dei meccanismi strutturali dei negozi indiretti e dei negozi collegati e, soprattutto, è resa ardua dalla eterogeneità delle figure riconducibili alle liberalità indirette.
Premesso che una definizione di questa “magmatica”(2) categoria non è stata fornita né dalla dottrina né dalla giurisprudenza, se volessimo tentare un inquadramento delle “liberalità diverse dalla donazione” sulla base degli articoli 769 (che definisce il contratto di donazione) e 809 (che contempla le liberalità diverse dalla donazione) del c.c. potremmo, in massima sintesi, dire che con esse «una parte arricchisce l’altra mediante un atto diverso dal contratto tipico di donazione».
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 18725 in data 27 luglio 2017(3), intervenuta in corso di pubblicazione di questo breve lavoro, individua gli elementi che accomunano e quelli che distinguono la donazione dalle “liberalità diverse” rilevando che queste ultime «hanno in comune con l’archetipo l’arricchimento senza corrispettivo, voluto per spirito liberale da un soggetto a favore dell’altro, ma se ne distinguono perché l’arricchimento del beneficiario non si realizza con l’attribuzione di un diritto o con l’assunzione di un obbligo da parte del disponente, ma in modo diverso».
In altre parole si ha donazione indiretta quando le parti, per raggiungere l’intento di liberalità, anziché utilizzare lo schema negoziale previsto dall’art. 769 c.c., che impone che l’attribuzione liberale avvenga direttamente dal disponente al donatario, ne abbiano adottato un altro caratterizzato da uno schema formale-causale diverso.
Si comprende subito la natura anfibia di questa figura di liberalità, e le difficoltà nel comprendere quale sia «lo strumento utilizzabile e quale il meccanismo di funzionamento»(4), per conseguire attraverso di essa il risultato liberale voluto, soprattutto al fine di delimitare il suo ambito di operatività rispetto al contratto di donazione che, come noto, impone obblighi di forma esclusivamente propri della donazione tipica(5), che non sono richiesti per la validità delle c.d. donazioni indirette o liberalità atipiche.
Nonostante le prospettate difficoltà ricostruttive la giurisprudenza della Suprema Corte può dirsi orientata nel senso di ritenere che il fenomeno delle donazioni indirette vada spiegato come la risultante della combinazione di due negozi: il negozio mezzo ed il negozio fine, accessorio e integrativo. In altre parole, e con i dovuti adattamenti, la giurisprudenza inquadra il meccanismo di funzionamento delle donazioni indirette fra i negozi collegati(6).
Nella consapevolezza della complessità dell’argomento e della enorme elaborazione dottrinale che si è sviluppata su ciascuno dei temi in campo, le considerazioni che seguono sono state ricavate, principalmente, sulla base degli orientamenti che si sono formati nella giurisprudenza di legittimità.

Il collegamento negoziale nelle liberalità indirette: generalità

Occorre porre l’attenzione sulle questioni che più direttamente riguardano questo breve lavoro e, innanzitutto, la prima domanda che viene spontaneo porsi è: perché il problema del collegamento negoziale nelle liberalità indirette in materia tributaria.
La necessità di un’analisi strutturale della “liberalità indiretta” e del “collegamento negoziale” ad essa connesso, in particolare con riferimento alle implicazioni in campo tributario, nasce principalmente:
- da una norma: l’art. 1, comma 4-bis del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 “Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni”(7), che testualmente subordina l’esenzione in essa prevista al “collegamento” negoziale fra la liberalità e l’atto traslativo;
- da una recente sentenza della Corte di Cassazione, la sentenza 24 giugno 2016 n. 13133 che, nell’analizzare una ipotesi di liberalità indiretta attuata mediante un versamento effettuato dai genitori su conto corrente intestato ai figli, seguito dall’acquisto da parte dei figli di due immobili, ha ritenuto necessario che il collegamento negoziale risultasse espressamente “dichiarato” o “enunciato” nell’atto di acquisto.
Il problema si è presentato nell’ambito di un accertamento sintetico ai fini Irpef, in quanto dagli atti di acquisto degli immobili nulla emergeva riguardo alla liberalità indiretta, e sotto questo specifico aspetto la Corte di Cassazione ha argomentato nel modo seguente «Il giudice di merito ha escluso la giuridica rilevanza, nella specie, del collegamento costituente presupposto della non imponibilità; non già per la mancata prova della effettiva destinazione del denaro oggetto di liberalità all’acquisto dei due immobili, bensì per la mancata dichiarazione di tale collegamento negli atti di compravendita. Questi ultimi, tassati con imposta proporzionale di registro, non recavano infatti alcuna menzione della circostanza che il denaro necessario provenisse in tutto o in parte da atto di liberalità; né risultava che agli atti di compravendita (negozi-fine) avessero partecipato i donanti. In assenza di enunciazione, risultava dunque che si trattasse di compravendite poste in essere con provvista propria degli acquirenti e, come tali, non ‘collegate’ a preordinati atti di liberalità (negozi od operazioni-mezzo)».
La Corte in questa particolare e, per la verità, isolata sentenza pare subordinare la “giuridica rilevanza” del collegamento alla “dichiarazione” o “enunciazione” o “menzione” nell’atto fine del collegamento stesso.
Questa ricostruzione merita alcune precisazioni alla luce della struttura e del meccanismo di funzionamento delle liberalità indirette e, più in generale, non pare adattabile in astratto al fenomeno del collegamento negoziale, così come ricostruito dalla stessa Corte di Cassazione come meccanismo “sostanziale”(8) con il quale le parti perseguono un risultato economico e complesso attraverso il coordinamento dei vari negozi(9).
D’altra parte la stessa Corte di Cassazione con sentenza 29 marzo 2017, n. 8111 (peraltro sempre in materia tributaria ed in particolare in una ipotesi di qualificazione del collegamento negoziale ai fini dell’art. 20 Tuir) ha affermato che «Il collegamento negoziale postula la sola condizione dell’unitarietà teleologica rispondente all’intento pratico delle parti, sicché la relativa qualificazione non è impedita dalla pluralità soggettiva dei singoli atti (Cass., 16 settembre 2004, n. 18655, Rv. 577138), né dalla loro diversità oggettiva (Cass., 14 febbraio 2014, n. 3481, Rv. 630075), né dalla loro scansione temporale (Cass., 19 aprile 2013, n. 9541, Rv. 626779), quest’ultima misurabile persino nell’ordine degli anni (Cass., 24 luglio 2013, n. 17965, Rv. 627610)»
Pare quindi che il problema non sia solo quello della “dichiarazione” o “enunciazione” o “menzione” nell’atto fine del collegamento negoziale, quanto la perimetrazione dell’ambito di operatività del contratto di donazione rispetto alle “liberalità diverse” e, all’interno di queste ultime, l’individuazione di come in concreto opera il meccanismo di collegamento per il conseguimento del risultato liberale. Le domande che è necessario porsi per cercare di inquadrare il fenomeno del collegamento negoziale con riferimento specifico alle liberalità indirette, sono allora le seguenti:
- come può inquadrarsi tale peculiare collegamento nella ampia e complessa elaborazione dogmatica del collegamento negoziale, e conseguentemente
- in considerazione della molteplicità di “strumenti” giuridici che, come vedremo, si possono utilizzare per conseguire l’effetto di liberalità indiretta e della eterogeneità della loro struttura, in che rapporto si pone il collegamento (che potremmo chiamare “collegamento esterno”) fra “liberalità indiretta” e “atto” concernente il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari o il trasferimento di aziende con il collegamento negoziale che nella ricostruzione giurisprudenziale pare caratterizzare tutte le “liberalità indirette” e che potremmo chiamare “collegamento interno”. La rilevanza di questo aspetto è evidente se si pensa che la eterogeneità tipologica delle liberalità indirette comporta che esse possano concretarsi in un negozio tipico o in una combinazione (rectius collegamento) di negozi tipici che insieme costituiscono un “procedimento”; è quindi evidente il diverso atteggiarsi del “collegamento strutturale” nel caso in cui ci troviamo davanti ad un solo negozio ovvero a più negozi che combinati integrano la liberalità indiretta.
Conseguentemente ci si deve chiedere
- di quale “prova” necessita il collegamento negoziale nelle liberalità indirette, per essere accertato, avuto riguardo alle varie tipologie di liberalità indiretta, e ancora conseguentemente
- quale ruolo può essere riconosciuto alla eventuale “dichiarazione” o “menzione” o “enunciazione” o, più in generale, alla “esternazione della volontà” di collegamento e, ancor prima, alla esplicitazione della causa liberale.
Il terreno di indagine è ampio e complesso e quindi occorrerà funzionalizzarlo quanto più possibile all’ambito che ci occupa e alle relative esigenze pratiche.
Per fare ciò l’approccio più utile è quello che la dottrina chiama “approccio pluralistico” che passa attraverso l’esame delle diverse fattispecie riconducibili alla figura e alla disciplina dell’art. 809 c.c.(10), per verificare come per ciascuna di esse opera la caratteristica strutturale del “collegamento negoziale” che, secondo la Giurisprudenza, connota le liberalità indirette.
Questo tipo di analisi è stato seguito anche dalla Suprema Corte nella citata sentenza a Sezioni Unite a dimostrazione, forse, della difficoltà di un diverso, più ampio e generale, approccio.

Il problema degli “strumenti” impiegabili e del meccanismo di funzionamento

Occorre quindi procedere ad un inquadramento strutturale e casistico delle liberalità indirette, principalmente sulla base dell’elaborazione della Corte di Cassazione.
La difficoltà di una definizione e di una elaborazione strutturale della categoria delle liberalità indirette, che discende dalla eterogeneità degli strumenti astrattamente impiegabili a tale scopo, è evidente nella già citata Ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in data 4 gennaio 2017.
Il punto controverso, infatti, secondo i Giudici dell’Ordinanza è quale sia per le liberalità indirette «lo strumento utilizzabile e quale il meccanismo di funzionamento».
Più precisamente, si dice, il dubbio verte in particolare sugli strumenti utilizzabili (essendo invece maggiormente chiaro il meccanismo di funzionamento) non essendo chiaro se necessitino almeno due negozi, almeno uno o sia idoneo un solo atto materiale.
Questo aspetto funzionale e strutturale non è espressamente chiarito dalla sentenza a Sezioni Unite la quale tuttavia fornisce elementi interessanti per la “perimetrazione” dell’ambito di operatività delle liberalità indirette.
D’altra parte la difficoltà ricostruttiva di questa eterogenea categoria discende anche dalle norme in materia dove il termine “liberalità” si trova talvolta riferita all’atto (art. 809 rubrica) cioè al mezzo, talvolta al risultato di esso (art. 809, comma 1) cioè al meccanismo di funzionamento e talvolta all’elemento soggettivo dello “spirito di liberalità” come causa caratterizzante una categoria ampia di figure negoziali (con tutti i connessi problemi di rilevanza sotto il profilo causale in particolare riguardo ai fenomeni di liberalità indirette attuate mediante comportamenti non negoziali).
Quello che comunque risulta subito chiaro dall’esame delle decisioni della Suprema Corte, oltre che dalle molteplici ricostruzioni dottrinali, è che l’area delle “liberalità non donative” non si presta ad una ricostruzione unitaria tanti sono i mezzi potenzialmente utilizzabili.
Quanto al meccanismo di funzionamento la Giurisprudenza, pacificamente ritiene che la donazione indiretta consista «nella elargizione di una liberalità che viene attuata, anziché con il negozio tipico descritto nell’art. 769 c.c., mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio (negozio mezzo) ed in collegamento con altro negozio (negozio fine), l’arricchimento animus donandi del destinatario della liberalità medesima. In sostanza essa realizza un collegamento negoziale in cui si individua un negozio mezzo (ad es. adempimento del terzo) e un negozio fine (liberalità). Il negozio indiretto, dunque, è il risultato del collegamento tra i due negozi» (così fra tante, da ultimo, Cass., 21 ottobre 2015, n. 21449).
Partendo quindi dal dato strutturale, e prima di passare alla casistica, il fenomeno delle liberalità indirette in generale viene spiegato dalla giurisprudenza della Suprema Corte come la risultante della combinazione di due negozi: il “negozio mezzo” e il “negozio fine”, accessorio e integrativo.
Il collegamento negoziale nelle liberalità indirette rappresenta quindi un elemento strutturale interno e spiega il loro stesso meccanismo di funzionamento qualunque sia il mezzo adottato.
La prima conclusione alla quale si può giungere, quindi, è che secondo la ricostruzione della Suprema corte, che non viene messa in discussione neppure nell’Ordinanza di rimessione citata, nelle liberalità indirette il collegamento negoziale farebbe parte del loro stesso meccanismo di funzionamento. Il collegamento negoziale caratterizzante le liberalità indirette (collegamento interno) sarebbe tuttavia condizionato dalla operatività propria dei singoli mezzi utilizzati per perseguire la causa liberale. Questo aspetto assume particolare rilievo alla luce della citata sentenza a Sezioni Unite proprio per definire il “perimetro” operativo fra donazioni tipiche e liberalità indirette con tutti i connessi problemi di validità, sotto il profilo della forma, e fiscali.
La Corte di Cassazione, anche nella recente decisione sopra citata (Cass., sez. II civ., 21 ottobre 2015, n. 21449 che affronta il caso, diverso da quello successivamente deciso dalle Sezioni Unite, dell’apertura di conti correnti intestati ai beneficiari e alimentati dal donante), ha confermato:
a) Quanto alla struttura.
Dopo aver premesso che la donazione indiretta è caratterizzata da un “collegamento negoziale” in cui si individua un negozio mezzo e un negozio fine, ed è, dunque, il risultato del collegamento tra i due negozi, ha affermato che «la donazione indiretta si caratterizza per il fine perseguito e non già per lo strumento negoziale adottato a tal scopo, che dunque può essere costituito da qualunque negozio o da più negozi collegati. In particolare la donazione indiretta, secondo l’elaborazione della Cassazione, consiste nell’elargizione di una liberalità che viene attuata, anziché con il negozio tipico descritto nell’art. 769 c.c., mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio ed in collegamento con altro negozio, l’arricchimento animo donandi del destinatario della liberalità medesima (v. Cass., n. 4680/1988)».
Gli esempi che vengono portati in questa stessa sentenza sono illuminanti per comprendere come può diversamente atteggiarsi il collegamento negoziale in queste fattispecie liberali infatti:
- Cass., sez. II, n. 5333/2004 ha rinvenuto siffatta figura nel collegamento tra contratto preliminare e definitivo di vendita in cui il primo stipulato da un genitore - che ebbe a corrispondere il prezzo - e il secondo dal figlio, che procedette all’acquisto in nome proprio;
- Cass., sez. II, n. 26983/2008 ritenne sussistente detto istituto nella cointestazione di un libretto al portatore, in cui erano state depositate le sostanze originariamente appartenenti soltanto ad uno dei cointestatari.
Da questi esempi può già comprendersi come nel primo caso oltre al “collegamento interno” che caratterizza la liberalità indiretta ricorre un vero e proprio collegamento funzionale fra preliminare e definitivo mentre nel secondo l’unico collegamento negoziale è quello “interno”, che caratterizza il funzionamento della liberalità indiretta.
b) Quanto ai mezzi utilizzabili.
Ha rilevato la Suprema Corte:
- che la liberalità indiretta, ed il relativo collegamento negoziale, può conseguire a qualunque negozio o atto non negoziale (quindi negozi giuridici - come l’adempimento del terzo ex art. 1180 c.c., la rinunzia, il contratto a favore di terzo, la donazione mista - o anche ad atti negoziali - cointestazioni di conti o di depositi bancari o postali, trasferimento di titoli o somme - o (forse) anche non negoziali come gli ordini di trasferire titoli o somme su conti del beneficiario che viene qualificato dalla Cassazione “atto mero” (Cass., 29 marzo 2001, n. 4623).
Questo punto merita però particolare attenzione alla luce della recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, sulla quale ci si soffermerà appresso(11);
- che non è rilevante che il mezzo attributivo della liberalità sia un negozio astratto(12) (ad esempio deposito di fondi in conti correnti aperti al nome del beneficiario; la causa astratta differisce dall’assenza di causa) atteso che il negozio astratto riceve tutela dall’ordinamento in quanto diretto ad una specifica funzione che può essere esterna allo schema negoziale (nel nostro caso la liberalità). Questa modalità di attuazione della liberalità indiretta richiede, anch’essa, di essere precisata alla luce della più volte richiamata sentenza della Cassazione a Sezioni Unite.
La Corte nella stessa decisione (come in molte altre), poi, attribuisce rilevanza alla situazione che “presenti i caratteri di un collegamento negoziale” (mandato all’apertura di un conto e separate disposizioni per il transito dei valori mobiliari su detto conto, fornire denaro ad un soggetto per l’acquisto di un immobile) così realizzandosi vari negozi tipici (con causa tipica) in collegamento funzionale tra loro e con finalità ulteriori (donative) anche in assenza di accordo negoziale indagabile.
Possiamo quindi giungere ad una seconda conclusione nel senso che, pur dovendo esistere nelle liberalità indirette la volontà del disponente di beneficiare un soggetto, con la sua adesione (che è lo scopo ultimo del disponente e la “causa concreta” dell’atto collegato), il collegamento negoziale finalizzato alla causa liberale deve innanzitutto desumersi in modo certo ed univoco dalla “situazione” che evidenzi tale collegamento e dagli “aspetti sostanziali della vicenda”. La necessità od opportunità che la volontà di collegamento sia espressa, poi, dipende dal mezzo utilizzato, ed in particolare sarà tanto più necessario evidenziare il collegamento quando si ricorra a mezzi che non sono di per sé inquadrabili fra le liberalità indirette ma che, in assenza di collegamento dichiarato, rientrerebbero nel perimetro del contratto di donazione. Sul punto può essere utile richiamare alcune decisioni della Suprema Corte sugli “aspetti probatori” del collegamento nelle liberalità indirette, ed in particolare:
1) la sentenza n. 17604, sez. II, del 04 settembre 2015, in materia di criteri per la collazione, in una ipotesi di dazione di una somma per l’acquisto di un immobile, nella quale si legge che presupposto essenziale per l’applicazione dei relativi principi in presenza di una donazione indiretta è “la prova certa ed univoca” del collegamento fra somma impiegata e successivo acquisto;
2) la sentenza n. 18541 del 02 settembre 2014 nella quale si precisa che «La dazione di una somma di denaro configura una donazione indiretta d’immobile ove sia effettuata quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto del bene, dovendosi altrimenti ravvisare soltanto una donazione diretta del denaro elargito, per quanto poi successivamente utilizzato in un acquisto immobiliare».
In motivazione si legge che «per integrare la fattispecie di donazione indiretta è necessario che la dazione della somma di denaro sia effettuata quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto dell’immobile: deve cioè sussistere incontrovertibilmente un collegamento teleologico tra elargizione del denaro e acquisto dell’immobile». In particolare, «nel caso di soggetto che abbia erogato il denaro per l’acquisto di un immobile in capo ad uno dei figli si deve distinguere l’ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal figlio in un acquisto immobiliare, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisce il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione. In tale caso il collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto (Cass. n. 11327/1997)».
«Ciò che conta è la sussistenza del nesso tra donazione del denaro e acquisto dell’immobile: laddove tale nesso manchi, o non sia provato, non può dirsi integrata la fattispecie della donazione indiretta».
3) la sentenza n. 11491 del 23 maggio 2014 che, sempre in una ipotesi di donazione di denaro finalizzata all’acquisto di azioni e ai fini di una revocatoria ordinaria, ribadisce che: «Le donazioni di denaro finalizzate all’acquisto di un bene (nella specie, azioni) costituiscono donazione indiretta di quel bene poiché, in presenza di collegamento tra la messa a disposizione del denaro e il fine specifico dell’acquisto del bene, la compravendita costituisce lo strumento del trasferimento del bene, oggetto dell’arricchimento del patrimonio del destinatario».
E in motivazione si legge: «E infatti, in presenza di collegamento tra la messa a disposizione del denaro ed il fine specifico dell’acquisto del bene, la compravendita costituisce lo strumento del trasferimento del bene, oggetto dell’arricchimento del patrimonio del destinatario. La non esatta coincidenza delle date e degli importi non rivestirebbe rilevanza decisiva»(13).
Quindi, per precisare ancora meglio la rilevanza del collegamento e la sua prova, si può dire che qualora per perseguire il fine concreto della liberalità indiretta vengano utilizzati negozi “astratti”, che non sono di per sé inquadrabili fra le liberalità indirette, secondo l’elencazione che ora troviamo contenuta anche nella sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, sarà necessario:
- che la dazione del denaro sia effettuata quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto;
- ove manchi o non sia provato tale collegamento non potrà dirsi esistente donazione indiretta dell’immobile bensì donazione diretta del denaro(14);
- a seconda dei mezzi utilizzati per attuare la liberalità indiretta, pertanto, sarà più o meno necessaria una specifica dichiarazione in tal senso.
È evidente che in molte delle ipotesi inquadrabili, secondo la giurisprudenza, fra le liberalità indirette ricorre solo quel particolare “collegamento interno” che costituisce lo stesso meccanismo di funzionamento della liberalità indiretta stessa e al quale si applicano, per verificarne la sussistenza, i principi di libertà di prova cui si è accennato, senza necessità di espressa dichiarazione di collegamento con il negozio fine.
Pare opportuno, a questo punto, fare alcune brevi riflessioni sulla categoria dogmatica del “collegamento negoziale”(15).
Come sappiamo è, anch’essa, una categoria divenuta collettore di figure eterogee per la quale molte sono le ricostruzioni teoriche proposte ed ancor più le distinzioni, a seconda del tipo di legame che intercorre fra i vari contratti, e così: in ragione della fonte generatrice si distingue fra collegamento “necessario” e collegamento “volontario”; in ragione della connessione si distingue fra collegamento “unilaterale” o “bilaterale” e ancora si distingue fra collegamento “genetico” e “funzionale”, a seconda del rilievo del legame nella sola fase genetica o anche in quella sinallagmatica, peraltro con rilevanti ripercussioni sulle conseguenze che se ne fanno discendere soprattutto riguardo agli effetti dei vizi di un negozio sugli altri.
Mi limito qui a proporre la ricostruzione fatta della Corte di Cassazione e riproposta nella sentenza 21 novembre 2011, n. 24511, peraltro in una ipotesi nella quale la Suprema Corte ha escluso la ricorrenza di una donazione indiretta, secondo cui: «Nelle ipotesi di collegamento negoziale i singoli negozi seppur strutturalmente autonomi, tuttavia, perseguono oltre allo scopo proprio, anche uno scopo pratico ulteriore che completa la specifica rilevanza dell’atto. Lo scopo ulteriore di cui si dice, in buona sostanza, rappresenta la causa “concreta” dell’atto collegato».
Va evidenziato che secondo la giurisprudenza di legittimità la configurabilità di un collegamento negoziale presuppone il positivo riscontro, all’interno della composita operazione economica, di un profilo “oggettivo”, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, e da un profilo “soggettivo”, costituito dal comune intento delle parti di voler non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il collegamento di essi per la realizzazione di un fine ulteriore (Cass. civ., n. 12401/92).
Nel caso esaminato dalla citata sentenza della Corte di Cassazione è stata esclusa per la costituzione di un diritto di usufrutto la ricorrenza di una donazione indiretta, nonostante tale fosse stata qualificata dal notaio rogante, osservando al riguardo la Corte che: «La censura non coglie nel segno perché la qualificazione di donazione indiretta attribuita all’atto di costituzione dell’usufrutto, dal notaio rogante non è, per se stessa, indicativa della comune intenzione delle parti, cioè dell’assetto degli interessi che sono sottesi all’atto posto in essere, proprio perchè è rivolta a soddisfare esigenze di carattere formale e a perseguire finalità di natura fiscale, diverse, pertanto, da quelle esigenze sottese alla identificazione della reale finalità che le parti hanno inteso perseguire con la stipulazione posta in essere».
La costruzione strutturale, in termini “sostanziali”, elaborata per il collegamento negoziale in generale richiede una verifica rispetto al peculiare collegamento che caratterizza le liberalità indirette, riferendosi comunque ad un fenomeno più ampio e da tenere distinto dal collegamento strutturale interno (che per definizione ricorre nelle fattispecie qualificabili come liberalità indirette).
Dalla riportata ricostruzione giurisprudenziale emergono comunque elementi di interesse dei quali occorre tener conto, ed in particolare che:
- nelle liberalità indirette (e più in generale nei negozi collegati per quanto riguarda il “nesso teleologico” e “l’intento pratico” perseguito dalle parti), necessita il “profilo soggettivo” rappresentato, nelle liberalità indirette in particolare, dalla volontà di arricchire il patrimonio del beneficiario(16);
- il collegamento negoziale deve risultare da elementi di prova certi ed univoci e una espressa dichiarazione, sotto questo aspetto, risulta evidentemente utile anche per qualificare il “profilo soggettivo” di cui sopra si è detto (si pensi, ad esempio, all’ipotesi della dazione di somma di denaro, peraltro analizzata nella sentenza a Sezioni Unite, nella quale in mancanza di collegamento accertato non ricorre l’ipotesi di donazione indiretta dell’immobile ma di donazione diretta del denaro con le relative conseguenze in materia di forma solenne e di imponibilità fiscale)(17).

L’analisi casistica della giurisprudenza. La sentenza della Cassazione a Sezioni Unite

Premesse alcune considerazioni sul “meccanismo di funzionamento” delle liberalità indirette ricostruito in termini di “collegamento negoziale”, pare utile fare un quadro della casistica giurisprudenziale, soffermandosi sulle sole ipotesi di maggior interesse.
Sono gli “strumenti utilizzabili” per procurare l’effetto indiretto della liberalità, sui quali ora è intervenuta la Corte di Cassazione con la citata sentenza a Sezioni Unite.
Prendendo spunto dalla completa elencazione contenuta nella Ordinanza di rimessione, alla quale si è più volte fatto riferimento, sono state ricostruite dalla Cassazione, nel tempo, come liberalità indirette:
- la dazione di una somma di denaro ove accertato lo specifico fine di permettere al beneficiario con la stessa di procurarsi l’acquisto di un bene;
- l’adempimento del terzo, che ha natura negoziale (a differenza dell’adempimento del debitore che ha natura di atto giuridico) perché è «un atto giuridicamente libero, caratterizzato dall’animus solvendi debiti alieni»;
- Il contratto preliminare stipulato dal beneficiante in nome proprio, che fa intervenire nell’atto definitivo il beneficiario, al quale fornisce il denaro per pagare il saldo;
- Il contratto a favore di terzo;
- La rinunzia;
- Il negozio mixtum cum donazione, riguardo al quale la Suprema Corte si è più volte pronunciata sulla sua appartenenza alla categoria delle donazioni indirette (e non dei negozi misti), in presenza di determinati presupposti(18);
- l’assenso del coniuge non acquirente partecipante all’atto di acquisto personale dell’altro coniuge, avente natura ricognitiva e in parte confessoria, ed anche il coniuge che consenta l’ingresso in comunione legale di un bene che sarebbe personale in virtù del principio di surrogazione previsto dall’art. 179 lett. f) ed ultimo comma c.c. (es. permuta di bene personale in quanto acquistato per successione o prima del matrimonio nella quale il bene ricevuto in permuta venga fatto rientrare nell’oggetto della comunione legale);
- la cointestazione di strumenti finanziari;
- la cointestazione di deposito bancario o postale, con versamenti da parte di un unico soggetto(19).
Già prima della sentenza della Cassazione a Sezioni Unite le ipotesi maggiormente discusse erano quelle relative agli “atti non negoziali” ed ai “negozi astratti”, con particolare attenzione per le liberalità attuate mediante titoli di credito o mediante il trasferimento, a mezzo banca, di valori dal patrimonio del beneficiante a quello del beneficiario(20).
Riguardo a questi mezzi, peraltro frequenti nei meccanismi sinteticamente definiti(21) di “intestazione a nome altrui”, vi è sempre stata divergenza interpretativa non essendo pacifico che rientrino in sé nell’art. 809 c.c., riguardo al quale persiste il dubbio se abbia inteso evocare qualunque mezzo utile allo scopo sia esso fatto, atto giuridico in senso stretto o negozio giuridico.
Su questi aspetti è intervenuta la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 18725/2017, la quale, pur non pronunciandosi espressamente sugli aspetti strutturali delle liberalità indirette(22), conduce un’analisi casistica, tenendo anche conto del profilo causale, che consente di delimitare l’ambito riservato alle liberalità diverse dalla donazione rispetto al contratto di donazione.
I punti rilevanti, anche da un punto di vista pratico, che emergono da tale decisione sono i seguenti:
1) viene fatta una “ricognizione delle ipotesi” più significative che l’esperienza giurisprudenziale ha ricondotto all’ambito della donazione indiretta e fra queste vengono ricomprese:
- il contratto a favore di terzo (figura tipica con propria struttura, disciplina e con causa diversa, nel quale, peraltro, diversamente dalla donazione, siamo in presenza di un contratto non tra donante e donatario, rispetto al quale il beneficiario è terzo);
- la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, qualora detta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari ed anche la fattispecie, analoga, della cointestazione di buoni postali fruttiferi (estensibile alla cointestazione di altri valori o titoli). Anche in queste ipotesi l’effetto ulteriore dell’attribuzione patrimoniale in favore del beneficiario è un effetto “collegato” al negozio concluso (non fra disponente e beneficiario) direttamente fra il disponente ed il terzo depositario;
- il pagamento di un’obbligazione altrui compiuto dal terzo per spirito di liberalità verso il debitore (è l’ipotesi del genitore che paga il prezzo di un immobile acquistato dal figlio direttamente al venditore). Anche in questo caso l’effetto liberale non è il risultato di un trasferimento diretto fra il donante e il donatario ma di un’operazione che vede il coinvolgimento (in collegamento fra loro) delle sfere giuridiche di tre soggetti;
- il risultato liberale conseguito attraverso la combinazione di più atti e negozi. Si legge nella sentenza a Sezioni Unite che «Il risultato liberale può essere conseguito anche attraverso la combinazione di più atti e negozi. A seguito di una pronuncia di queste Sezioni Unite (Cass., S.U., 5 agosto 1992, n. 9282), la giurisprudenza qualifica l’intestazione di beni a nome altrui come una donazione indiretta del bene: una liberalità nascente da un complesso procedimento, rivolto a fare acquistare al beneficiario la proprietà di un bene, nel quale la dazione del denaro, anche quando fatta dal beneficiante al beneficiario, assume un valore semplicemente strumentale rispetto al conseguimento di quel risultato (Cass., sez. III, 14 maggio 1997, n. 4231; Cass., sez. II, 29 maggio 1998, n. 5310; Cass., sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3642; Cass., sez. VI-2, 2 settembre 2014, n. 18541; Cass., sez. II, 4 settembre 2015, n. 17604; Cass., sez. II, 30 maggio 2017, n. 13619)».
È evidentemente questa l’ipotesi di maggior interesse in quanto affinchè i più atti o negozi in “combinazione” possano essere inquadrati fra le liberalità indirette occorrerà dare evidenza al collegamento (esterno) fra loro esistente;
- il contratto oneroso nel quale le parti abbiano fissato un corrispettivo molto inferiore al valore reale del bene trasferito ovvero un prezzo eccessivamente alto, a beneficio, rispettivamente, dell’acquirente o dell’alienante (Cass., sez. II, 7 giugno 2006, n. 13337; Cass., sez. II, 30 gennaio 2007, n. 1955; Cass., sez. II, 3 gennaio 2009, n. 23297; Cass., sez. II, 23 maggio 2016, n. 10614);
- la rinuncia abdicativa.
La sentenza colloca invece nell’ambito del contratto di donazione (diretta) i trasferimenti di libretti al portatore, le liberalità attuate attraverso titoli di credito (emissione di assegni bancari o circolari al nome del beneficiario), il trasferimento a mezzo banca (bancogiro) di strumenti finanziari, o in genere valori, dal conto di deposito del beneficiante a quello del beneficiario (caso deciso dalle Sezioni Unite e per il quale è stato esclusa la sua qualificazione come contratto a favore di terzo e, nel caso specifico analizzato, è stata esclusa anche la sua qualificazione come donazione indiretta ravvisandovi una donazione diretta del denaro nulla per mancanza di forma).
Queste ultime, qualificate dalla Suprema Corte come donazioni dirette, sono tutte ipotesi in cui si verifica “il passaggio immediato” di valori patrimoniali da un soggetto disponente ad un altro, beneficiario (secondo lo schema definitorio contenuto nell’art. 769 c.c.); trasferimento che deve trovare la propria giustificazione causale nel rapporto intercorrente fra disponente e beneficiario, con la precisazione che ove questa sia qualificabile come causa donandi troveranno applicazioni le norme dettate per il contratto tipico di donazione fra cui la forma solenne non richiesta per le donazioni indirette.
Questo sarebbe l’aspetto che distingue la donazione dalle liberalità non donative le quali si realizzano, secondo la stessa distinzione della Suprema Corte, «(a) con atti diversi dal contratto (ad esempio, con negozi unilaterali come l’adempimento del terzo o le rinunce abdicative); (b) con contratti (non tra donante e donatario) rispetto ai quali il beneficiario è terzo; (c) con contratti caratterizzati dalla presenza di un nesso di corrispettività tra attribuzioni patrimoniali; (d) con la combinazione di più negozi (come nel caso dell’intestazione di beni a nome altrui)».
Appare evidente che per gli strumenti qualificabili come “donazioni dirette”, in particolare quando si presentano alla nostra attenzione perché predisposti per un futuro acquisto, appare indispensabile fare emergere il loro collegamento negoziale con l’atto fine, in quanto la loro stessa qualificazione come donazione indiretta, e quindi la loro stessa validità sotto il profilo formale, dipende da tale collegamento negoziale dal quale emerga la strumentalità rispetto all’acquisto del bene.
Prima delle conclusioni pare opportuno fare alcune considerazioni pratiche circa l’operatività del collegamento con riferimento alle principali ipotesi di liberalità indiretta cui si è fatto riferimento, e tali riconosciute nella sentenza a Sezioni Unite in commento.
1) Intestazione di beni in nome altrui o, come si legge in molte sentenze, dazione di una somma di denaro quale unico e specifico mezzo per l’acquisto di un bene.
È una delle ipotesi che, come abbiamo visto, è più frequentemente analizzata dalla giurisprudenza, ed ora è inquadrata dalla sentenza a Sezioni Unite fra le liberalità indirette quando il risultato liberale venga conseguito attraverso «una liberalità nascente da un complesso procedimento, rivolto a fare acquistare al beneficiario la proprietà di un bene, nel quale la dazione del denaro, anche quando fatta dal beneficiante al beneficiario, assume un valore semplicemente strumentale rispetto al conseguimento di quel risultato».
L’intestazione di beni in nome altrui può attuarsi con i seguenti mezzi:
a) Messa a disposizione del denaro per il pagamento del prezzo.
In questo caso affinché ricorra una donazione indiretta dell’immobile, e non una donazione diretta del denaro, occorrerà che emerga incontrovertibilmente il collegamento tra la dazione della somma di denaro e acquisto del bene immobile(23).
I mezzi per compiere tale operazione, però, possono essere più o meno idonei a configurare di per sé una donazione indiretta, e quindi dovranno distinguersi le seguenti ipotesi:
a.1) Adempimento diretto da parte del terzo dell’obbligo di pagare il prezzo della vendita (è l’ipotesi qualificata dalle Sezioni Unite come pagamento di un’obbligazione altrui compiuto dal terzo per spirito di liberalità verso il debitore e qualificabili come donazione indiretta).
L’atto di acquisto è il negozio “mezzo” e l’adempimento del terzo è il negozio “fine”; il collegamento fra di loro è evidente nella stessa struttura della fattispecie qualificabile come “donazione indiretta”. È chiaro ed inequivoco l’aspetto oggettivo del collegamento in una fattispecie in cui il disponente adempie direttamente al debito altrui e non necessita per la sua prova di particolari dichiarazioni, se non per fare emergere l’animus donandi dell’adempimento.
Quanto alla necessaria “adesione” del beneficiato nel caso concreto deve ritenersi che si manifesti con la sua “non opposizione”, in conformità all’art. 1180 c.c.
a.2) Trasferimento di somme al beneficiario.
Può essere attuato con una pluralità di mezzi: mediante la consegna di assegni che poi il beneficiario versa sul proprio conto (mero atto), mediante ordini di trasferimento di somme dal conto del disponente al conto del beneficiario - acquirente.
Sono ipotesi normalmente da inquadrare fra le donazioni tipiche (dirette) e che per poter essere qualificate come donazioni indirette richiedono quel “collegamento” negoziale idoneo a qualificare la dazione di denaro come “strumentale” all’acquisto del bene.
In queste ipotesi il nesso teleologico(24) (collegamento) non fa parte della struttura stessa dello strumento utilizzato(25) e quindi un collegamento volontario fra il “negozio fine” (che è un mero atto) e il negozio mezzo (acquisto) consente di assicurare la positiva verifica, oltre che dell’elemento soggettivo, dell’elemento oggettivo necessario affinché possa considerarsi sussistente il collegamento negoziale e quindi la liberalità indiretta e non, ipoteticamente, la donazione del denaro, con i conseguenti effetti anche sulla “stabilità dell’attribuzione patrimoniale” in assenza di forma solenne(26).
2) Contratto preliminare sottoscritto per sé o per persona da nominare, seguita da electio amici a favore del beneficiario e con tutte le somme pagate dal disponente.
In questa ipotesi il risultato liberale è conseguito attraverso la combinazione di più atti e negozi e, quindi, ricorre oltre al collegamento negoziale “interno” che caratterizza le liberalità indirette, anche il vero e proprio collegamento funzionale che lega la “vita” del contratto preliminare e di quello definitivo nonché il collegamento che lega le dazioni di denaro all’acquisto in capo al beneficiario, in quanto funzionali all’acquisto stesso.
Sotto il profilo specifico della liberalità indiretta perseguita con questo meccanismo nessuna dimostrazione o dichiarazione richiede il collegamento fra preliminare e definitivo e neppure il collegamento teleologico delle somme versate a preliminare con l’acquisto del bene.
Si porranno solo gli stessi problemi di collegamento “strumentale” delle somme pagate a titolo di saldo prezzo con il negozio definitivo concluso dal beneficiario-acquirente, nei termini cui si è già sopra accennato.
3) Contratto a favore di terzo.
In questa figura, sotto l’aspetto del collegamento negoziale, ricorre unicamente la ricostruzione strutturale “interna” alla categoria delle liberalità indirette senza tuttavia che il collegamento richieda alcun elemento volontaristico ulteriore rispetto alla stessa stipulazione a favore del terzo e all’interesse dello stipulante, ai sensi dell’art. 1411 c.c., che nel caso specifico dovrà essere di liberalità nei confronti del beneficiario.
La relativa dichiarazione e l’esternazione del relativo interesse devono provenire dallo stipulante mentre il terzo acquirente non è parte, in senso tecnico, del contratto e la dichiarazione coeva o successiva del terzo ha solo l’effetto di rendere irrevocabile la stipulazione a suo favore.
4) La rinunzia abdicativa.
Anche in questo caso sotto l’aspetto del collegamento negoziale, ricorre unicamente la ricostruzione strutturale “interna” alla categoria delle liberalità indirette e l’unico elemento volontaristico potrà essere quello di colorare la rinuncia (di per sé atto neutro) della volontà liberale di arricchire il beneficiario (ad esempio il nudo proprietario in caso di rinuncia abdicativa al diritto di usufrutto o il comproprietario in caso di rinuncia al diritto di comproprietà)(27).

Conclusioni

Dalla breve analisi giurisprudenziale condotta, e ritornando alle quattro domande iniziali, è emerso: a) che il meccanismo di funzionamento delle liberalità indirette viene ricostruito sempre in termini di collegamento negoziale in cui si individua un “negozio mezzo” che produce in concomitanza con l’effetto che gli è proprio ed in collegamento con un altro negozio, il “negozio fine”, l’effetto liberale;
b) che tale collegamento negoziale, che caratterizza le liberalità indirette, è da tener distinto, all’interno dei molteplici strumenti utilizzabili per il conseguimento del risultato liberale, dall’ulteriore collegamento negoziale che può ricorrere nel caso in cui la liberalità indiretta si concretizzi in una “combinazione di più atti e negozi” che pur mantenendo la loro autonomia strutturale perseguono quale “causa concreta” il fine ulteriore di liberalità.
Questa osservazione deve condurci a ritenere che mentre il collegamento negoziale che caratterizza le singole, autonome, figure qualificate come liberalità indiretta, spesso non richiede alcuna “dichiarazione” o “enunciazione” o “menzione” per avere “giuridica rilevanza”, diversamente il collegamento destinato a qualificare la “combinazione di più atti o negozi” per attribuire loro la qualifica di liberalità indiretta dovrà risultare in maniera inequivoca e quindi la dichiarazione sarà uno strumento privilegiato a tal fine;
c) che nella eterogeneità dei mezzi impiegabili per attuare una liberalità indiretta ve ne sono alcuni che, per essere inquadrati fra le liberalità indirette, devono essere fra loro “combinati” e quindi presentarsi come negozi legati da un vero e proprio collegamento funzionale con altri negozi. È l’ipotesi della dazione di denaro (consegna di un assegni bancari o circolari, trasferimento di valori da un conto del disponente) al beneficiario, “strumentale” rispetto all’acquisto di un immobile.
In tale ipotesi pare evidente, ancor più dopo la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, la necessità che la prova del collegamento risulti “certa e inequivoca” e sotto questo aspetto non può negarsi che la “dichiarazione” di tale collegamento (cui peraltro fa riferimento la sentenza dalla quale abbiamo preso le mosse) sia necessaria.
Sarà invece sempre opportuna, qualunque sia il mezzo utilizzato per conseguire la liberalità indiretta, una dichiarazione con la quale viene qualificata l’attribuzione come “donandi causa” (aspetto soggettivo)(28).
Deve aggiungersi, per completare il quadro:
d) che alla liberalità indiretta consegue l’obbligo di portare in collazione non la somma ricevuta ma il valore del bene acquistato con il negozio mezzo al momento dell’apertura della successione. In questo senso Cass., S.U., del 05 agosto 1992. n. 9282, secondo cui «Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, con la sua adesione, la compravendita costituisce strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, e, quindi, integra donazione indiretta del bene stesso, non del denaro. Pertanto, in caso di collazione, secondo le previsioni dell’art. 737 c.c., il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile, non il denaro impiegato per il suo acquisto»(29).
Questo aspetto non deve tuttavia condizionare nella valutazione di rendere la dichiarazione di collegamento per fare emergere la liberalità indiretta quando, in virtù dello strumento utilizzato, tale dichiarazione si renda necessaria od opportuna, per due fondamentali ragioni: innanzitutto per il rischio che il mancato collegamento porti ad una qualificazione della liberalità non come donazione indiretta ma come donazione tipica con le relative conseguenze sotto l’aspetto della nullità per mancanza di forma e della relativa instabilità della attribuzione patrimoniale; in secondo luogo perché, proprio nell’ambito dell’accertamento della liberalità indiretta ai fini della collazione, la Giurisprudenza aderisce ad un criterio “sostanziale” secondo cui la liberalità indiretta può essere provata in ogni modo;
e) sotto l’aspetto della circolazione del bene immobile acquistato a seguito di donazione indiretta è principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità che contro di esso non è esperibile l’azione di restituzione, non essendo mai il bene transitato nel patrimonio del donante. In questo senso si è pronunciata la Cassazione con la nota sentenza n. 11496 del 12 maggio 2010 secondo cui «Nell’ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, che ha quindi ad oggetto il bene e non già il denaro. Tuttavia, alla riduzione di siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura (connaturata all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 c.c.), poiché l’azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l’acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell’imputazione; pertanto mancando il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito, con la conseguenza che, nell’ipotesi di fallimento del beneficiario, la domanda è sottoposta al rito concorsuale dell’accertamento del passivo ex artt. 52 e 93 della L.fall.».
f) infine sotto l’aspetto della revocatoria la Suprema Corte (che si è pronunciata riguardo ad una revocatoria ordinaria di azioni) ha ritenuto esperibile tale azione nei confronti del bene acquistato a seguito di donazione indiretta del denaro “finalizzato” all’acquisto del bene stesso(30).
In questo quadro il notaio deve muoversi nella sua funzione di adeguamento della volontà delle parti.
Come rileva efficacemente un autore(31), l’art. 809 c.c. nel chiudere la disciplina delle donazioni ed il libro secondo del c.c. «sembra quasi ammiccare all’interprete, e lanciargli una sorta di sfida beffarda come se dicesse: guardami, son qui, sembra che io concluda, definisca ed esaurisca il discorso della donazione, mentre in realtà non concludo, non definisco, non esaurisco nulla; bensì apro un mare di problemi e di problemi molto difficili».


(1) V. ROPPO, «Le liberalità fra disciplina civilistica e norme fiscali: una sfida per il ceto notarile», in Notariato, 2002, 4, p. 427 e ss.

(2) Il termine molto efficace a livello descrittivo è utilizzato da G. IACCARINO, “Donazioni Indirette e “ars stipulatoria”, Milano, 2008, p. 21 e ss.

(3) Cass., S.U., 27 luglio 2017, n. 18725 in Ced Cassazione, secondo cui «In tema di atti di liberalità, il trasferimento, attraverso un ordine di bancogiro del disponente, di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta, soggetta alla forma dell’atto pubblico, salvo che sia di modico valore, poiché realizzato non tramite un’operazione triangolare di intermediazione giuridica, ma mediante un’intermediazione gestoria dell’ente creditizio. Infatti, l’operazione bancaria tra il donante ed il donatario costituisce mero adempimento di un distinto accordo negoziale fra loro concluso e ad essa rimasto esterno, il quale solo realizza il passaggio immediato di valori da un patrimonio all’altro, e tale circostanza esclude la configurabilità di un contratto in favore di terzo, considerato che il patrimonio della banca rappresenta una “zona di transito” tra l’ordinante ed il destinatario, non direttamente coinvolta nel processo attributivo, e che il beneficiario non acquista alcun diritto verso l’istituto di credito in seguito al contratto intercorso fra quest’ultimo e l’ordinante».

(4) Così si legge nella ordinanza interlocutoria n. 106 in data 4 gennaio 2017 della II sezione civile della Corte di Cassazione di rimessione alle Sezioni Unite che, poi, si sono pronunciate con la citata sentenza n. 18725 in data 27 luglio 2017.

(5) In questo senso espressamente Cass., S.U., 27 luglio 2017, n. 18725.

(6) Su questo aspetto in particolare: Cass., 21 ottobre 2015, n. 21449, in Ced Cassazione e la citata ordinanza interlocutoria, 4 gennaio 2017, n. 106.

(7) Tale norma come noto dispone: «4-bis. Ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto». Questa norma è stata introdotta con l’art. 69 del collegato fiscale alla Finanziaria 2001 (legge n. 342/2000).

(8) Sull’aspetto della rilevanza degli “aspetti sostanziali della vicenda negoziale” e del “programma negoziale” proprio in un caso di liberalità indirette attuate con vari mezzi fra i quali anche un acquisto per accessione: Cass., sez. II, 20 maggio 2014, n. 11035, in Ced Cassazione.

(9) Al riguardo: Cass., 26 marzo 2010, n. 7305; Cass., 28 luglio 2004, n. 14244; Cass., 28 giugno 2001, n. 8844; Cass., sez. II, 27 gennaio 1997, n. 827, secondo cui «Perché possa configurarsi un collegamento di negozi in senso tecnico, tale da imporre la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico fra i negozi, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti (ancorché non manifestato in forma espressa, potendo risultare anche tacitamente) di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il collegamento e il coordinamento di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, non essendo sufficiente che quel fine sia perseguito da una sola delle parti all’insaputa e senza la partecipazione dell’altra; ne consegue che l’indagine del giudice deve essere diretta ad accertare se, oltre la finalità propria di ciascuno dei contratti contestualmente conclusi, sussista o meno una finalità complessiva consistente in un assetto economico globale e inscindibile che le parti hanno voluto e che va quindi rispettato in ossequio al loro potere di autonomia»; Cass., sez. III, 27 aprile 1995, n. 4645 secondo cui «Il collegamento contrattuale, che può risultare tipizzato legislativamente, come nel caso della sub-locazione, o può essere espressione dell’autonomia negoziale, è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, ciascuno dei quali, pur conservando una causa autonoma, è finalizzato ad un unico regolamento di interessi, sicché le vicende che investono uno dei contratti, quali quelle relative all’invalidità, l’inefficacia o la risoluzione, possono ripercuotersi sull’altro: Pertanto il criterio distintivo fra contratto unico e contratto collegato non è dato da elementi formali quali l’unità o la pluralità dei documenti contrattuali (ben potendo un contratto essere unico anche se ricavabile da più testi e, per converso, un unico testo riunire più contratti) o la mera contestualità delle stipulazioni, ma dall’elemento sostanziale consistente nell’unicità o pluralità degli interessi perseguiti».

(10) Così procede anche la Suprema Corte nella citata sentenza Cass., S.U., 27 luglio 2017, n. 18725 e nella precedente ordinanza interlocutoria, 4 gennaio 2017, n. 106.

(11) Peraltro su una ipotesi di acquisto per accessione (atto materiale) si è pronunciata la interessante sentenza della Cassazione, sez. II, 20 maggio 2014, n. 11035 già citata, secondo cui «In tema di donazione indiretta, riguardo all’edificazione con denaro del genitore su terreno intestato al figlio, il bene donato si identifica nell’edificio, anziché nel denaro, senza che ostino i principi dell’acquisto per accessione, qualora, considerati gli aspetti sostanziali della vicenda e lo scopo ultimo del disponente, l’impiego del denaro a fini edificatori risulti compreso nel programma negoziale del genitore donante».

(12) La dottrina ha da tempo sostenuto che anche le modificazioni soggettive dal lato passivo delle obbligazioni concorrono a costituire uno dei presupposti (l’altro è l’animus donandi) della figura in esame: ad esempio, nella delegazione non c’è un rapporto di provvista e, tuttavia, il delegato esegue l’ordine del delegante adempiendo la sua obbligazione verso il delegatario; ovvero quando tra l’espromesso e l’espromittente non vi sia alcuna obbligazione e tuttavia l’espromittente adempia la prestazione dell’espromesso all’espromissario rinunciando all’azione di regresso.

(13) Sugli aspetti probatori anche Cass., sez. II, 02 febbraio 2016, n. 1986, nella cui motivazione si legge in particolare: «Come ha avuto modo di precisare la Corte distrettuale richiamando un orientamento di questa Corte di Cassazione (sent. n. 4015/2004), che qui si intende confermare - nelIa donazione indiretta realizzata attraverso l’acquisto del bene da parte di un soggetto con denaro messo a disposizione da altro soggetto per spirito di liberalità, l’attribuzione gratuita viene attuata con il negozio oneroso che corrisponde alla reale intenzione delle parti che lo pongono in essere, differenziandosi in tal modo dalla simulazione; tale negozio produce, insieme all’effetto diretto che gli è proprio, anche quello indiretto relativo all’arricchimento del destinatario della liberalità, sicché non trovano applicazione alla donazione indiretta i limiti alla prova testimoniale - in materia di contratti e simulazione - che valgono invece per il negozio tipico utilizzato allo scopo» (nello stesso senso Cass., sez. II, del 27 febbraio 2004 n. 4015 - Rv. 570643 - 01).

(14) Secondo Cass., 14 dicembre 2000, n. 15774 e Cass., 27 febbraio 2004, n. 4015), tale collegamento potrà essere dimostrato in qualsiasi modo utilizzando qualsiasi dato anteriore, contemporaneo o perfino successivo all’acquisto.

(15) Sul collegamento negoziale: V. BARBA, «La connessione tra i negozi e il collegamento negoziale», in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, p. 791 e ss.

(16) L’elemento soggettivo è quello più difficile da provare e, salvo che risulti espressamente, la sua individuazione sarebbe affidata a meri indici esteriori quali l’atteggiamento delle parti, la contemporaneità delle varie dichiarazioni e tutte le altre circostanze rilevanti.

(17) Certo occorre tenere presente anche l’aspetto sopra riportato, enunciato più volte dalla Suprema Corte, secondo cui le esigenze sottese alla reale finalità prevalgono sulla dichiarazione o qualificazione la quale quindi (al contrario di quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 13133/2016 dalla quale siamo partiti) non incide comunque in alcun modo sulla “giuridica rilevanza” del collegamento.

(18) Secondo Cass., sez. II, del 23 maggio 2016, n. 10614, «La compravendita di un bene ad un prezzo inferiore a quello effettivo non realizza, di per sé, un “negotium mixtum cum donatione”, occorrendo non solo una sproporzione tra le prestazioni di entità significativa, ma anche la consapevolezza, da parte dell’alienante, dell’insufficienza del corrispettivo ricevuto rispetto al valore del bene ceduto, sì da porre in essere un trasferimento volutamente funzionale all’arricchimento della controparte acquirente della differenza tra il valore reale del bene e la minore entità del corrispettivo ricevuto».

(19) In questo senso Cass., sez. II, 09 maggio 2013, n. 10991 secondo cui «La cointestazione di buoni postali fruttiferi, nella specie operata da un genitore per ripartire fra i figli anticipatamente le proprie sostanze, può configurare, ove sia accertata l’esistenza dell’ “animus donandi”, una donazione indiretta, in quanto, attraverso il negozio direttamente concluso con il terzo depositario, la parte che deposita il proprio denaro consegue l’effetto ulteriore di attuare un’attribuzione patrimoniale in favore di colui che ne diventa beneficiario per la corrispondente quota, essendo questi, quale contitolare del titolo nominativo a firma disgiunta, legittimato a fare valere i relativi diritti».

(20) Il caso analizzato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite riguarda proprio gli ordini di trasferire titoli o somme su conti del beneficiario che, già nell’ordinanza di rimessione, vengono qualificati “atto mero” che non si distinguerebbe dal disporre un qualsiasi pagamento per via materiale.

(21) Così anche nella motivazione della più volte citata sentenza della Cassazione a Sezioni Unite.

(22) In un punto della motivazione si legge «In questa sede non occorre approfondire il profilo teorico dell’inquadramento delle liberalità risultanti da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c.».

(23) Secondo Cass., 24 febbraio 2004, n. 3642, già citata, è irrilevante l’utilizzazione di attività tipiche (quali il pagamento diretto del prezzo all’alienante, la presenza alla stipulazione, la sottoscrizione del preliminare in nome proprio) essendo necessaria e sufficiente al riguardo la prova del collegamento fra elargizione del denaro ed acquisto, cioè la finalizzazione della dazione del denaro al successivo acquisto.

(24) Pur potendo essere desunto da elementi esterni quali la contemporaneità fra consegna delle somme ed acquisto, l’impiego delle somme per l’acquisto.

(25) Come invece può essere nella cointestazione di conti correnti o conti titoli che vengono, poi, utilizzati dal beneficiario per il pagamento del prezzo; ipotesi questa inquadrabile fra le donazioni indirette.

(26) In questi i casi, in cui si pone il problema della necessità od opportunità di una dichiarazione nell’atto mezzo circa la provenienza del denaro, ci si pone anche il problema del soggetto o dei soggetti che devono rendere tale dichiarazione. Accettati i principi di libertà di prova e di libertà di forma nelle donazioni indirette dovrà dirsi che tale dichiarazione che “conferma” l’esistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del collegamento possa essere resa dal solo acquirente o anche dal disponente intervenuto in atto per manifestare la volontà liberale. Su questo aspetto G.A.M. TRIMARCHI, «Atti ricognitivi di liberalità non donative nella prassi notarile», in questa rivista, 2008, 1, p. 163 e ss.

(27) Il risultato liberale può essere realizzato attraverso una operazione societaria che tuttavia per potersi qualificare liberalità indiretta deve produrre l’arricchimento del patrimonio “personale” di una parte e il depauperamento del patrimonio “personale” dell’altra tenendo conto della circostanza che nelle operazioni societarie tale effetto è mediato dal “patrimonio sociale”. Gli esempi di liberalità indiretta in ambito societario che vengono portati sono: - le assegnazioni di partecipazioni non proporzionali al conferimento (o anche attribuzione al socio di utili non proporzionali al valore del conferimento (per le società di persone art. 2263) o alla quota di partecipazione al capitale sociale (diritti particolari nelle Srl e azioni privilegiate), o - la sottovalutazione volontaria del conferimento, ammessa e la cui base normativa è rinvenibile nel tenore letterale dell’art. 2343 (e 2465) in base al quale l’esperto deve attestare che il valore dei beni o dei crediti conferiti «è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sopraprezzo»; - la remissione di un debito della società (magari di un debito che la società ha nei confronti del genitore dei soci o dell’unico socio); - il versamento a fondo perduto (ad esempio da parte del genitore in una società posseduta dai figli). È evidente la differenza, proprio sotto l’aspetto del collegamento negoziale, fra i primi due esempi, nei quali la complessiva operazione societaria porta al conseguimento del risultato liberale con conseguente necessità od opportunità di enunciare unicamente l’intento liberale, dagli ultimi due nei quali l’emersione della liberalità indiretta risponde alle stesse regole dell’accertamento dell’esistenza del collegamento fra negozio mezzo (il versamento o la remissione) e la liberalità (negozio fine). Su questi aspetti M. MALTONI, «Le liberalità non donative realizzate attraverso atti costitutivi e modificativi di società», in questa rivista, 2008, 1, p. 99 e ss.

(28) Sullo specifico aspetto delle dichiarazioni, ai fini pratici, ci si chiede: - dove va resa la dichiarazione: sia nel negozio con il quale viene disposta la liberalità, se la sua struttura lo consente, o anche nel negozio mezzo o anche in un negozio successivo (atto ricognitivo o di accertamento); - da chi va resa la dichiarazione, o più precisamente se oltre ad una dichiarazione bilaterale del disponente e del beneficiario è ipotizzabile una dichiarazione unilaterale e da parte di chi. La risposta pare possa essere positiva e la dichiarazione potrà provenire: a) innanzitutto dal disponente, il quale oltre a rendere la dichiarazione di “collegamento” fa emergere la sua volontà liberale, con tutte le relative conseguenze sulla disciplina civilistica applicabile; b) anche dal solo beneficiario alla cui dichiarazione tuttavia viene riconosciuto l’effetto dell’accertamento con i relativi limiti di validità. Su questi aspetti G.A.M. TRIMARCHI, «Atti ricognitivi di liberalità non donative nella prassi notarile», cit.

(29) La riportata sentenza a Sezioni Unite è stata seguita da altre fra cui, da ultimo, Cass., sez. II, 04 settembre 2015, n. 17604 secondo cui: «Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, si configura la donazione indiretta dell’immobile e non del denaro impiegato per l’acquisto, sicché, in caso di collazione, secondo le previsioni dell’art. 737 c.c., il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile e non il denaro».

(30) Cass., sez. I, 23 maggio 2014, n. 11491 secondo cui «Le donazioni di denaro finalizzate all’acquisto di un bene (nella specie, azioni) costituiscono donazione indiretta di quel bene poiché, in presenza di collegamento tra la messa a disposizione del denaro e il fine specifico dell’acquisto del bene, la compravendita costituisce lo strumento del trasferimento del bene, oggetto dell’arricchimento del patrimonio del destinatario». Nella motivazione si legge: «Il giudice a quo afferma, con chiarezza, che l’operazione posta in essere da Conti Renzo si configurava come donazione di denaro ai figli Conti Cristina e Giampaolo, finalizzata all’acquisto di 60.000 azioni Bpel, precisando che si trattava di donazione diretta di denaro. È palese l’errore di diritto della sorte di merito, che qualifica come donazione diretta una fattispecie tipica di donazione indiretta (per tutte, Cass., S.U., n. 9282/1992; Cass., n. 3642/2006; Cass., n. 27646/2008): le donazioni di denaro finalizzate all’acquisto di un bene (nella specie, le azioni) costituiscono donazione indiretta di quel bene. E infatti, in presenza di collegamento tra la messa a disposizione del denaro ed il fine specifico dell’acquisto del bene, la compravendita costituisce lo strumento del trasferimento del bene, oggetto dell’arricchimento del patrimonio del destinatario». Infine si afferma che «nel caso in cui, come nella specie, il bene, oggetto dell’atto di cui si chiede la revoca, non sia più nella disponibilità dell’acquirente, essendo stato alienato a terzi, non viene meno l’interesse del creditore ad agire in revocatoria: l’accoglimento dell’azione consentirà all’attore di promuovere, nei confronti del convenuto, le azione di risarcimento del danno o di restituzione del prezzo dell’acquisto. Deve ritenersi pertanto ammissibile l’azione revocatoria, e va pertanto rigettato il primo motivo del ricorso».

(31) V. ROPPO, «Le liberalità fra disciplina civilistica e norme fiscali: una sfida per il ceto notarile», cit.

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