Liberalità indirette e regimi tributari nelle imposte sui trasferimenti
Liberalità indirette e regimi tributari nelle imposte sui trasferimenti
di Giampiero Petteruti
Notaio in Castelnuovo di Garfagnana
Un Convegno come quello odierno, mirato alle liberalità indirette, comporta inevitabili sovrapposizioni di trattazioni, sia che il tema lo si affronti sul piano del diritto civile, sia su quello del diritto tributario: si pensi alle conseguenze di una chiara esposizione di una intestazione di beni a nome altrui che si proponga di evitare accertamenti fiscali in dipendenza della manifestazione di capacità contributiva, inevitabilmente incidente sul regime patrimoniale della famiglia, sugli assetti successori, sulla stabilità dell’acquisto e così via.
Con tale avvertenza, il presente contributo avrà di mira il solo profilo di interesse tributario delle liberalità indirette, e cioè il loro trattamento nelle imposte indirette, toccando tematiche, teorie e precedenti di prassi che costituiscono l’humus del moderno dibattito sul tema, ravvivato da originali ed innovative posizioni di giurisprudenza tributaria.
L’interesse a rivisitare la discussa tematica è dovuto alle incertezze che ancora permangono sulla definizione del perimetro dell’imponibilità, incertezze che costituiscono un problema di rilevante entità nella prestazione del servizio di consulenza ai contribuenti che si accingano ad elaborare lecite strategie di programmazione fiscale individuale e familiare.
Di particolare interesse è la questione dei rapporti intercorrenti tra l’art. 1 comma 4-bis e l’art. 56-bis del D.lgs. 346/1990 (Tus) (nella misura in cui entrambi si debbano ritenere compatibili con la riforma dell’imposta del 2006), rapporti che sembrerebbero essersi complicati dopo la nota sentenza di Cassazione n. 13133 del 24 giugno 2016 cui di frequente si farà riferimento nel corso dell’intera giornata. Dando per acquisita l’imponibilità delle liberalità indirette secondo quanto emerge dai vari studi di provenienza accademica e notarile(1), dai documenti di prassi(2) e dalla giurisprudenza, non appare superfluo un minimo excursus sul tessuto normativo, per ricordare l’evoluzione della disciplina e fondare sul dato positivo le soluzioni interpretative, facendo resistenza a certe derive creative che tenderebbero a scavalcarlo.
Il punto di partenza si individua nella legge delega per la riforma tributaria del 1971, la quale prevedeva, tra i principi e criteri direttivi, l’applicazione dell’imposta alle donazioni o ad altre liberalità per atto tra vivi, e quindi aveva di mira la tassazione delle liberalità e non di tutti gli atti gratuiti.
Il D.P.R. 637/72, che attuò la delega nella materia in esame, non replicò pedissequamente la formulazione del legislatore delegante e stabilì, con l’art. 1, che l’imposta si applicasse ai trasferimenti a titolo gratuito, ponendosi in ideale complementarità con l’art. 24 del D.P.R. 634/72 il quale, a sua volta, stabiliva che un atto in parte gratuito e in parte oneroso fosse soggetto all’imposta di registro per la parte a titolo oneroso, salva l’applicazione dell’ imposta sulle donazioni per la parte a titolo gratuito (così si esprimeva il legislatore della riforma e così ripete nell’art. 25 del D.P.R. n. 131/86).
Pur introducendo un principio potenzialmente ampio di tassabilità degli atti gratuiti, la riforma attuata nel 1972 non si volle occupare puntualmente e con precisione delle liberalità indirette ed usò il termine “atto gratuito” con una certa disinvoltura, tant’ è che il comodato, atto essenzialmente gratuito, trovò, e trova ancora, la sua disciplina nell’imposta di registrosrivelando l’implicita individuazione degli indici di capacità contributiva da colpire con l’imposta di donazione nei trasferimenti di ricchezza e non nei mancati guadagni derivanti dalle concessioni graziose.
Sopraggiunto il D.lgs. n. 346 del 1990 (Tus), il legislatore delegato all’emanazione dei testi unici (già previsti dalla originaria legge di riforma del 1971 ed il cui termine di adozione venne prorogato dalla legge n. 165 del 1990), riscrisse la disposizione in stretta aderenza ai principi e criteri direttivi della originaria “legge delega” ed adottò la primigenia formulazione, secondo cui l’imposta si applica alle donazioni o ad altre liberalità per atto tra vivi.
Nonostante l’ampiezza della previsione, che almeno nominalmente poteva dirsi capace di colpire ogni liberalità indiretta, rimaneva il nodo del loro accertamento e quindi della effettiva imponibilità, posto che il gesto liberale indiretto non è necessariamente palesato in atti scritti e che la registrazione degli atti poggia, salve le eccezioni riguardanti taluni atti verbali testualmente menzionati, sulla documentazione e cioè sulla forma scritta.
Si giunse poi, a partire dal 1° gennaio 2001 ed in forza dell’art. 69 della legge n.342/2000, commi 1 e 15, all’introduzione del noto comma 4-bis nell’art. 1 del Tus, disposizione che volle incentivare l’emersione di tali liberalità con un regime che potremmo definire premiale, imperniato su una ampia esclusione da imposta capace di privilegiare la trasparenza a scapito dell’imposizione (per non entrare pesantemente nel campo degli spostamenti patrimoniali familiari informali) e nel contempo senza affermare una generale ed indiscriminata tassabilità, salvo considerare che la nuova previsione non fu l’unica implementata nel Tus in quella occasione, perché fece coppia con il famoso art. 56-bis, e si venne a creare un sistema con un perimetrazione dell’imponibilità abbastanza singolare. Infatti, se tutte le liberalità indirette si fossero dovute considerare all’interno del perimetro, non avrebbe avuto alcun valore disciplinare l’affermazione secondo cui «restasse ferma l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione», dovendosi ricavare da tale “affermazione” che «solo quelle risultanti … si collocassero all’interno del perimetro» per poi metterne al di fuori, con conseguente esclusione dall’imponibilità, quelle “collegate” come stabilito dallo stesso comma 4-bis. Pur di fronte a tale chiara definizione dell’ambito di imponibilità, il coevo art. 56-bis veniva quindi a limitare l’apparente “agevole delimitazione”, creando una aggiuntiva tassabilità da emersione nell’ambito di procedimenti di accertamento di (altri) tributi e concorrendo a stabilire in modo non proprio coordinato la gamma delle fattispecie imponibili (fenomeno non raro nei casi di interventi succedentisi nel tempo su un quadro normativo complesso).
Comunque, la combinazione delle due previsioni portò, come sappiamo, a stabilire l’imponibilità delle liberalità indirette in tre casi: a) se risultanti da atti soggetti a registrazione; b) se registrate volontariamente; c) se risultanti da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi ed abbiano determinato, da sole o unitamente a quelle già effettuate nei confronti del medesimo beneficiario, un incremento patrimoniale superiore all’importo di 350 milioni di lire.
In tutti e tre i casi, il tratto comune era ed è costituito dal palesamento rimesso all’espressione di parte, non essendo previsti accertamenti d’ufficio sulla base di presunzioni o di metodiche mutuabili da altri sistemi impositivi.
Poste tali regole, al di fuori di quelle tre ipotesi la liberalità indiretta non venne considerata “tassabile”(4) e così pare essersi cristallizzato il sistema, dovendosi scartare la tesi che considerasse la nuova imposta di donazione capace di colpire le liberalità indirette anche oltre la precisa indicazione del menzionato comma 4-bis, in quanto si tratterebbe pur sempre di “atto gratuito” da assumere a tassazione, indipendentemente dall’emergere da atto scritto soggetto a registrazione. Tesi che pare da respingere decisamente in quanto non rispettosa del recupero che il legislatore del 2006 ha voluto fare del Tus con il criterio della compatibilità, mediante un criterio, cioè, che non demolisce l’impianto e ne richiede un mero adeguamento alle poche disposizioni contenute nella legge di re-istituzione dell’imposta(5). Ebbene, dal momento che i criteri impositivi sono rimasti ancorati alle disposizioni del Tus, il discrimine tra fattispecie tassabile e non tassabile si deve identificare, alla stregua all’art. 1 comma 4-bis del Tus, nella risultanza da atto soggetto a registrazione.
Un primo elemento di individuazione del confine riposa nella caratteristica dell’atto che le palesi, che deve essere soggetto a registrazione. Quanto agli atti notarili, se non si erra, restano fuori i testamenti, gli atti relativi a veicoli e i verbali di gara o di incanto, ex artt. 4, 11-bis e 11-ter Tabella Tur, che anche se rivestiti di forma notarile non sono soggetti a registrazione.
Il secondo elemento attiene alla risultanza per la quale, in precedente studio della Commissione Studi Tributari, si è rilevato che - nonostante il rinvio al Tur che il Tus fa all’art. 55 - non si applica pedissequamente la regola dell’enunciazione dell’imposta di registro, nemmeno in forza del generico rinvio che l’art. 60 del Tus fa al Tur(6). In sintesi, allorché il compratore dichiari in atto che il denaro per comprare gli sia stato fornito dal familiare ma senza aggiungere altro e quindi senza qualificare il titolo della messa disposizione, non sarebbe in alcun modo possibile affermare la sussistenza della liberalità diretta o indiretta e quindi anche ove non ricorresse l’esclusione da imposta (perché l’atto non sconti imposta di registro proporzionale o Iva) la tassazione della ipotetica liberalità indiretta dovrebbe dirsi impedita per mancanza della risultanza(7). Altrettanto dovrebbe dirsi quando il familiare intervenga a pagare in quanto terzo adempiente, rimanendosi anche in tal caso, nel silenzio delle Parti, in ambiti di “non risultanza” e di conseguente intassabilità come liberalità indiretta.
E veniamo, finalmente, a vagliare cosa succederebbe, invece, ove nessun elemento di riconducibilità soggettiva della disponibilità del denaro emergesse dall’atto e il compratore, a seguito di accertamento induttivo del reddito, ne dichiarasse la fonte.
In questa materia le analisi dottrinali sembravano avere trovato una compiutezza appagante nel ritenere che il campo di applicazione dell’imposta profilato dagli artt. 1 e 56-bis (per le liberalità formalizzate in Italia) fosse sempre temperato dalle esclusioni derivanti dal collegamento con atti onerosi ex art. 1 comma 4-bis, ma il convincimento ha subìto uno scossone dalla discesa in campo della Corte Suprema che ha affermato, con la ormai famosa sentenza n. 13133 del 24 giugno 2016 (evocata in quasi tutti gli interventi al convegno odierno) che la combinazione dei criteri forniti dall’art. 1 comma 4-bis e dall’art. 56-bis del Tus fa sì che l’esclusione dall’imposta valga per le sole fattispecie di liberalità emergenti in atti che contengano il collegamento, mentre quelle non emergenti in tale modo sarebbero soggette ad accertamento ed imponibili senza possibilità di applicarvi i criteri di esclusione per collegamento
con atti tassati «Iva/registro proporzionale»(8).
Come vedremo, il percorso argomentativo della Cassazione ha un preciso riferimento cronologico a causa dell’epoca della confezione della fattispecie vagliata ed il suo impatto sull’attuale tessuto normativo richiede di sciogliere ulteriori nodi, ma resta il fatto che ove si negasse l’ esclusione dall’ imposta per le fattispecie in cui manchi il sicuro collegamento per tabulas a quegli atti soggetti ad imposta di registro proporzionale o ad imposta Iva, la liberalità, sol perché dichiarata, sarebbe comunque imponibile. E si tratterebbe di spiegarne la ragione, che poco convincentemente si tenta di rinvenire nella compensazione dello sforzo del Fisco rivelatosi infruttifero sul fronte degli accertamenti di altri tributi(9).
Certamente non è alla portata di questa analisi esprimere certezze in ordine alla soluzione di tali ponderosi problemi di incroci tra sistemi di accertamento, ma può osservarsi che la tesi sostenuta in quel precedente giurisprudenziale sembrerebbe portare ad uno sfasamento di regime tra donazioni dirette e donazioni indirette che non pare avere giustificazione sistematica, posto che entrambe trovano il loro assetto tributario nel menzionato comma 4-bis.
Infatti, mentre la donazione diretta può godere dell’esclusione da imposta e non subire tassazione in sede di registrazione dell’atto pubblico, sia se fatta prima dell’atto di trasferimento soggetto ad Iva/ imposta di registro proporzionale, sia se fatta contemporaneamente ad esso od anche dopo di esso, purché rechi il riferimento all’atto da stipulare o già stipulato, quella indiretta godrebbe di esenzione solo se evidenziata nello stesso atto di trasferimento e quindi solamente se lo precedesse o avvenisse contemporaneamente (in caso di intervento in atto del donante indiretto) e ciò nonostante nessuna controindicazione possa rinvenirsi nelle norme positive per ammettere lo stesso regime in caso di evidenziazione successiva(10) dal momento che nelle disposizioni vigenti non compare alcun indice a ciò contrario. La quale evidenziazione successiva, se attuata con atto soggetto a registrazione, ben sarebbe in grado di integrare quel presupposto ritenuto necessario dalla giurisprudenza menzionata (risultanza da atto soggetto a registrazione che esponga il collegamento all’atto soggetto ad Iva/imposta di registro proporzionale). Una volta che tale evidenziazione successiva si ammetta - e, come si ripete, non v’è argomento fondato su dati normativi che possa escluderlo - allora cadrebbe pure quella preclusione che la giurisprudenza esaminata vorrebbe affermare categoricamente, perché nessuna differenza di sostanza potrebbe esservi tra l’evidenziazione in un atto soggetto a registrazione antecedente al procedimento di accertamento e quella analoga in un atto di ugual fatta confezionato appositamente a procedimento di accertamento inoltrato.
Per respingere la qui profilata soluzione positiva si è affermato che «per regola generale (Cass. ord. n. 2777/16), l’esenzione dal tributo (e, più in generale, la fruizione del beneficio fiscale) presuppone l’esplicito esercizio del diritto corrispondente da parte del contribuente il quale, a tal fine, è conseguentemente onerato dal farne espressa dichiarazione in atto; ciò allo scopo di certa e tempestiva individuazione degli elementi fondamentali e costitutivi del rapporto tributario, oltre che di porre l’amministrazione finanziaria in condizione di immediatamente rilevare e verificare l’effettiva sussistenza dei presupposti di non imponibilità. La mancata dichiarazione negli atti di compravendita, in definitiva, esula dalla sfera di applicazione della disposizione in oggetto, rendendo la liberalità indiretta tassabile - ex art. 56-bis cit. - in quanto dichiarata dai beneficiari, in via del tutto contingente e casuale, soltanto nel corso di un diverso accertamento intrapreso a loro carico». Sicché a stare a tale assunto, aver taciuto (non avere espresso in atto soggetto a registrazione) la liberalità indiretta, seppur ancora in divenire (ben potendosi attuarla con la messa a disposizione dei fondi in epoca successiva all’acquisto: ad esempio, a fronte di una dilazione di pagamento), sarebbe a quel fine una carenza irrimediabile e così asserita nell’episodio vagliato dalla Cassazione.
Ora, a stare all’argomentazione addotta a fondamento della «necessaria evidenziazione in atto», che sarebbe indispensabile perché funzionale alla lineare attuazione del rapporto tributario nella misura in cui la carenza di collegamento con l’atto di trasferimento porterebbe a liquidare l’imposta secondo le risultanze dell’atto, senza trovare spazio per l’esclusione ex comma 4-bis), nel caso della liberalità indiretta (che, allorché non risultante da atto soggetto a registrazione, è di per sé non tassabile fino a che non emerga per dichiarazione della parte, in ipotesi, nel corso dell’accertamento di tributi), non vi è ragione per pretendere la formalizzazione del collegamento, visto che essa è per sua natura “informale”, non si attua secondo la normale via documentale della donazione diretta e di per sé non è soggetta ad imposta fino a che non si realizzino quegli specifici presupposti di imponibilità canonizzati nel comma 4-bis.
Nonostante l’autorevolezza della fonte, gli argomenti sopra evidenziati riguardo al diverso trattamento che subirebbero le liberalità indirette rispetto a quelle dirette non paiono avere razionale fondamento, posto che, giurisprudenza a parte, da nessuna fonte positiva emerge che per i fenomeni informali occorra una apposita formalizzazione solo per agevolare il compito del Fisco.
Questo apparendo lo stato dell’arte, non sembra inutile sottolineare un dato che potrebbe mutare gli scenari futuri in quanto si collocherebbe a monte della problematica fino ad ora esaminata, riguardante la persistenza di quell’art. 56-bis nell’attuale sistema dell’imposta di donazione.
In merito, se gli orientamenti dottrinali tendono, con poche voci contrarie, a ritenere vigente il comma 56-bis e così, senza incertezze, si è espressa la prassi amministrativa (da ultimo con la circolare n. 30/E dell’11 agosto 2015 relativa alla voluntary disclosure, la quale si segnala anche per avere ritenuto che «le altre liberalità tra vivi» siano quelle «che si caratterizzano per l’assenza di atto scritto (soggetto a registrazione)»), i giudicati formatisi in ordine alla sua compatibilità con la “nuova disciplina”, ai sensi dell’art. 2 comma 50 della L. n. 262/2006, non confortano pienamente tale orientamento. Si riscontrano, a tal proposito, sia decisioni favorevoli alla compatibilità (Comm. prov. Perugia, sentenza n. 97 del 4 febbraio 2014) sia sfavorevoli a tale compatibilità, dicasi abrogazione per incompatibilità (Comm. reg. Liguria, sentenza n. 575 del 18 aprile 2016 e Comm. prov. Modena, Sentenza n. 457 del 16 giugno 2016).
Quanto alla giurisprudenza di legittimità, proprio la menzionata Cassazione sezione Tributaria ha evitato di prendere posizione con la sentenza n. 13133 del 24 giugno 2016, poiché si è dovuta pronunciare su una fattispecie risalente all’8 agosto 2001 quando vigeva l’imposta sulle successioni e donazioni disciplinata dal solo Tus (all’epoca non era stata abolita l’imposta di successione e non vigeva ancora la legge 18 ottobre 2001, n. 383 che impose la tassabilità con l’imposta di registro delle donazioni a favore di soggetti diversi dal coniuge, dai parenti in linea retta e dagli altri parenti fino al quarto grado se il valore della quota spettante a ciascun beneficiario fosse superiore all’importo di 350 milioni di lire). Ed infatti la Cassazione, evidentemente conscia dei pronunciati di merito appena menzionati, si è limitata a dare atto della questione affermando, solo per inciso, che «altro sarebbe, ma la fattispecie è estranea al presente giudizio, il problema della perdurante applicabilità dell’articolo 56- bis in oggetto alle liberalità poste in essere successivamente al D.l. 262/06», così ponendo una riserva in vista della sottoposizione alla sua attenzione proprio delle controversie che su tale applicabilità/non applicabilità hanno fondato l’esito del giudizio.
Compatibilità/incompatibilità dell’art. 56-bis con l’attuale impianto normativo che, come è chiaro, incide in modo assolutamente determinante sulla ricostruzione sistematica. Infatti, asserire incompatibile il menzionato art. 56-bis con l’attuale sistema dell’imposta significherebbe non tanto e non solo sottrarre a tassazione la donazione indiretta disvelata nel corso di accertamento di altri tributi, quanto e principalmente restringere il perimetro di applicazione dell’imposta sugli atti gratuiti alle sole ipotesi di risultanza da atto soggetto a registrazione, ex art. 1 comma 4-bis del Tus, escludendo, di converso, qualunque tassazione su ciò che non risulti da atti soggetti a registrazione.
Prospettiva che limiterebbe l’imponibilità ai casi di emersione non collegati ad atti soggetti ad Iva o ad imposta proporzionale, ai casi, cioè, di risultanza da atti soggetti ad imposta di registro in misura fissa o esenti dall’imposta di registro.
Aspetti particolari
Seguitando in questa analisi, giova menzionare tre punti meritevoli di alcune notazioni.
Il primo punto riguarda gli atti immobiliari che, pur ricadendo in ambito Iva, sono esenti da tale imposta (soggetti ad Iva senza corresponsione di imposta), per la quale questione si riepiloga quanto già esposto nello studio N. 135-2011/T della Commissione studi tributari.
In quella occasione si è rimarcato che i trasferimenti di immobili strumentali in ambito Iva, nelle situazioni che ne comportino l’esenzione da detta imposta ai sensi dell’art. 10 n. 8-ter D.P.R. 633/72, si collocano tra gli atti soggetti ad Iva, benché esenti, anche se ad essi non si “applica” quest’ultima imposta e scontano l’imposta fissa di registro. Poiché l’art. 1 comma 4-bis Tus esenta dall’imposta di donazione le liberalità indirette qualora per l’atto collegato sia prevista l’applicazione dell’Iva, si deve stabilire se per “applicazione” debba intendersi l’effettivo assoggettamento ad imposta o la mera ricomprensione negli atti “soggetti ad Iva” (dal momento che, in quanto soggetti ad imposta di registro fissa, ove dovessero essere considerati come atti per i quali non sia applicabile l’imposta Iva, risulterebbero imponibili con imposta di donazione, ove risultasse la liberalità indiretta).
Considerata l’epoca della formulazione dell’art. 1 comma 4-bis e la pacifica qualificazione degli atti in esame come soggetti ad Iva, come è dimostrato dal loro regime in ordine all’alternatività Iva/registro, sembra preferibile una lettura adeguatrice che porti ad intendere “applicazione” come “assoggettamento ad Iva”.
Ne deriva che, in presenza del requisito soggettivo stabilito dal D.P.R. 633/72, la cessione di bene strumentale può dirsi rientrante nel campo di applicazione dell’art. 1 comma 4-bis Tus anche quando l’operazione sia esente da Iva.
È ovvio che tutt’altro discorso debba valere per i beni non strumentali soggetti ad Iva senza corresponsione di imposta, poiché per essi la regola dell’alternatività è pienamente derogata, con la conseguenza che per essi valgono in toto i criteri relativi alla sola imposta di registro e torna il discrimen tra quelli soggetti ad imposta fissa o proporzionale.
Il secondo punto riguarda le ipotesi di atto immobiliare soggetto ad imposta fissa di registro, oppure esente da detta imposta in dipendenza di un particolare trattamento tributario (ad esempio, compravendita con agevolazione Ppc o per i territori montani, atto soggetto ad imposta fissa ex art. 32 D.P.R. 601/73, atto esente da imposta di registro in quanto esecutivo di piani di ricomposizione fondiaria e di riordino fondiario (legge 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1 comma 57).
In tutte queste ipotesi in cui non viga l’esclusione dall’imposta di donazione (sulla liberalità indiretta), bisogna chiedersi cosa accada quando l’applicabilità dell’imposta fissa venga meno per decadenza dalle relative agevolazioni e se l’imponibilità permanga anche ove l’atto, originariamente soggetto ad imposta fissa od esente da imposta, si riveli successivamente assoggettato ad imposta proporzionale - a causa di decadenza o scoperta di carenza originaria di presupposti per l’applicazione del trattamento di favore.
Considerato che il rapporto tributario, pure ove si applichi un’agevolazione, è unico e che l’assoggettamento all’imposta, in caso di decadenza, è pur sempre legato all’originario presupposto (e cioè discende dal trasferimento) costituendone una mera evoluzione, la eventuale permanenza dell’imponibilità della donazione indiretta pur dopo la decadenza determinerebbe una asistematica duplicazione di prelievo proporzionale (salvo considerare che questa duplicazione non si verificherebbe allorché la donazione indiretta risulti al di sotto della franchigia e di fatto non imponibile).
Quindi, tenuto conto dell’unitarietà del presupposto d’imposta, si deve ritenere che la decadenza dal trattamento di favore comporti la retroattiva eliminazione della imponibilità ai fini dell’imposta di donazione, con conseguente diritto al rimborso di tale imposta già pagata.
Il terzo punto attiene all’area dell’esclusione dal prelievo, perimetrata dalla ricorrenza non di qualunque atto soggetto a registrazione con imposta proporzionale o Iva, ma solo di quelli di trasferimento (latamente inteso) di immobili o di aziende. Come è evidente, rimangono fuori dall’area di esclusione i trasferimenti di beni mobili o di beni immateriali, con la conseguenza che la risultanza da tali atti della liberalità indiretta non potrebbe evitarne la tassazione.
(1) G. GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, Padova, 2008, p. 129 e ss.; A. FEDELE, Il regime fiscale di successioni e liberalità, in Successioni e donazioni, a cura di Rescigno, vol. II, Padova, 2010, p. 575 e ss.; T. TASSANI, «Le donazioni indirette. L’abuso del diritto», relazione all’incontro di studio del 1° aprile 2011 a Forlì; S. GHINASSI, «Le liberalità indirette nel nuovo tributo successorio», in Rass. trib., 2010, 2, p. 394 e ss., § 2.1; U. FRIEDMANN, S. GHINASSI, V. MASTROIACOVO, A. PISCHETOLA, «Prime note a commento della nuova imposta sulle successioni e donazioni», Studio n. 168-2006/T; G. MONTELEONE, Il nodo delle liberalità indirette, in L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2001, p. 331 e ss.
(2) Circ. Agenzia delle entrate n. 3/E del 22 gennaio 2008 e circ. n. 30/E dell’11 agosto 2015.
(3) In particolare, non essendo presente nel D.P.R. 634/72 una disposizione corrispondente all’art. 5 comma 4 della Tariffa parte prima Tur (relativa al comodato di beni immobili), la circ. n. 31 (prot. n. 250873/76) dell’8 ottobre 1976 - Dir. TT.AA. non ebbe dubbi nello stabilirne l’assoggettamento a registrazione con imposta fissa, in linea con la precedente normativa del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269 che prevedeva espressamente la sola imposta fissa per la registrazione di tali contratti, e, contrastando la prassi di molti uffici diretta a tassarli con imposta proporzionale ex art. 9, Tar. A) parte I ed ad applicarvi il procedimento di valutazione ai sensi dell’art. 41, n. 5 del decreto n. 634, ne asserì la sottoposizione a registrazione non ai sensi del D.P.R. 637, bensì ai sensi dell’art. 4 della Tariffa, parte II, all. A del D.P.R. 634, ovvero la registrazione in caso d’uso.
(4) Come è stato notato da autorevole dottrina (GAFFURI, op. cit., p. 143) con la menzionata perimetrazione dell’imponibilità si mise fuori campo ogni ulteriore fattispecie, mostrando una encomiabile benevolenza verso i genitori che dotano i figli di corredi patrimoniali. Si è poi aggiunto, in uno studio del Notariato (Studio n. 135-2011/T, «Rilevanza fiscale delle liberalità indirette nell’attività notarile» approvato dalla Commissione studi tributari il 1° marzo 2012) che l’arretramento della pretesa tributaria si spiega forse più convincentemente con l’impossibilità di individuare in modo univoco - al di fuori del palesamento volontario - l’esistenza del gesto liberale e quindi quell’arretramento pare fondarsi sull’esigenza di non connotare in modo inutilmente inquisitorio il sistema tributario in esame. Va però aggiunto che sistema tributario e sistema civilistico non viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda e, anche a prescindere dal cuneo dell’art. 56-bis del Tus, su cui si ritornerà, è lo stesso criterio di individuazione del presupposto d’imposta costituito dalla donazione diretta imponibile a mettere in difficoltà la ricostruzione del quadro disciplinare delle liberalità indirette (nel diritto tributario), una volta che si acceda alla tesi giurisprudenziale che valorizza il profilo sostanziale ed assume che la carenza del documento non lasci fuori campo impositivo le liberalità informali (attuate, cioè, con accordi verbali, se non addirittura per comportamenti concludenti). Ci si riferisce, seppur incidentalmente, al noto problema della imponibilità della donazione nulla per totale carenza di forma scritta ovvero, per valorizzare l’approccio pratico, la liberalità attuata con la sola emissione di assegno, con il solo bonifico o, andando indietro nel tempo, con la sola consegna del titolo di stato non nominativo, fattispecie in cui la carenza non attiene al mero documento, ma addirittura alla manifestazione della volontà di donare ed a fronte della quale la supplenza della carenza iniziale di espressione è affidata a mere presunzioni basate su esperienze sociali. Fattispecie prive del tutto di vestimentum che in passato vennero apprezzate come semplicemente nulle, prive di effetto ed irrilevanti per la loro “tassazione all’origine”, dandosi tale prevalenza alla radicale incapacità di produrre effetti al punto di considerare esistente nell’asse ereditario del disponente il relativo credito dipendente dall’azione di ripetizione ma, come è noto, recentemente asserite imponibili pur se nulle dall’orientamento giurisprudenziale che estende in modo largheggiante la regola contenuta nell’art. 38 del D.P.R. n. 131/86 (Tur) secondo cui la nullità dell’atto non dispensa dal chiederne la registrazione e pagare la relativa imposta. Quasi che quella nullità stesse a presidiare, nel Tur, l’imposizione anche su tutti gli atti onerosi verbali di trasferimento, mobiliari o immobiliari, a dispetto delle regole di individuazione della fattispecie imponibile dettate dagli artt. 2 e 3 del Tur medesimo. Materia, quella dei gesti non formalizzati, che si incrocia pure con il tema della prova della liberalità tutte le volte che un determinato comportamento si presti, proprio a causa della carenza di formalizzazione, a molteplici letture, potendo ricorrere, piuttosto che un gesto liberale, una delegazione di pagamento, un accollo, un mutuo, un pagamento dell’indebito, un adempimento indiretto dell’obbligazione (in relazione a rapporti di valuta e di provvista) e così via. La quale prova della liberalità anche nel diritto privato è sovente sfuggente, senza che impedisca di ascrivere alle liberalità dirette o indirette pure i fenomeni di arricchimento endofamiliare mediante comportamenti che solo presuntivamente possono dirsi diretti ad attuare una liberalità, piuttosto che avere natura di finanziamento.
(5) Come affermato dalla stessa Agenzia delle entrate con la circolare n. 30/E dell’11 agosto 2015.
(6) Si è detto infatti, che se valesse in toto la regola dell’enunciazione, come pure parte della dottrina ha sostenuto (G. GAFFURI, «Note riguardanti la novellata imposta sulle successioni e donazioni», in Rass. trib., 2007, 2, p. 448, par. 2 sub I) l’applicabilità dell’imposta (di donazione) all’atto enunciato (negozio-fine) sarebbe condizionata al fatto che l’atto (“negozio-mezzo”) contenente l’enunciazione intercorra tra le stesse parti, per cui la dichiarazione resa da Tizio, compratore di beni mobili, circa la provenienza del denaro come pervenutogli da liberalità diversa dalla donazione fattagli da Caio (ad esempio, prestito e remissione del debito per liberalità), comporterebbe assoggettamento all’imposta solo allorché all’atto partecipi anche Caio. Considerata la specifica disposizione contenuta nel Tus - che è evidentemente ulteriore e diversa rispetto a quella del Tur - si deve invece ritenere che essa copra il campo delle “risultanze” in tutte le sue forme e modalità e non consenta sovrapposizioni con altre analoghe discipline.
(7) Così come, per altro verso ed in forza delle regole dell’enunciazione del Tur, sarebbe impedita la tassazione dell’ipotetico mutuo derivante dalla messa disposizione dei fondi, per carenza dei presupposti stabiliti dalle regole dell’ imposta di registro se in atto non fosse intervenuto anche il genitore.
(8) Secondo la Corte, nella fattispecie esaminata gli «atti tassati con imposta proporzionale di registro non recavano infatti alcuna menzione della circostanza che il denaro necessario provenisse in tutto o in parte da atto di liberalità; né risultava che agli atti di compravendita (negozi-fine) avessero partecipato i donanti. In assenza di enunciazione, risultava dunque che si trattasse di compravendite poste in essere con provvista propria degli acquirenti e, come tali, non “collegate” a preordinati atti di liberalità (negozi od operazioni-mezzo)» … «Per regola generale (Cass. ord. n. 2777/16), l’esenzione dal tributo (e, più in generale, la fruizione del beneficio fiscale) presuppone l’esplicito esercizio del diritto corrispondente da parte del contribuente il quale, a tal fine, è conseguentemente onerato dal farne espressa dichiarazione in atto; ciò allo scopo di certa e tempestiva individuazione degli elementi fondamentali e costitutivi del rapporto tributario, oltre che di porre l’amministrazione finanziaria in condizione di immediatamente rilevare e verificare l’effettiva sussistenza dei presupposti di non imponibilità. La mancata dichiarazione negli atti di compravendita, in definitiva, esula dalla sfera di applicazione della disposizione in oggetto, rendendo la liberalità indiretta tassabile - ex art. 56-bis cit. - in quanto dichiarata dai beneficiari, in via del tutto contingente e casuale, soltanto nel corso di un diverso accertamento intrapreso a loro carico».
(9) C’è da chiedersi, per inciso, cosa accadrebbe in caso di falsa dichiarazione in atto circa la sussistenza del gesto liberale, posto che la pretesa inapplicabilità del comma 4-bis alla liberalità non esposta in atto è stata imputata dalla Cassazione alla mera carenza di sicuro collegamento con l’acquisto a sua volta sintomatico di un reddito: potrebbe il Fisco travolgere la falsa dichiarazione ed accertare lo stesso il reddito correlativo?
(10) Studio n. 135-2011/T, «Rilevanza fiscale delle liberalità indirette nell’attività notarile» in CNN Notizie del 18 maggio 2012: «A parte il caso dell’accertamento ex art. 56-bis Tus, ci si chiede se una evidenziazione successiva con apposito atto e così la registrazione volontaria, seguano la stessa regola di “intassabilità” stabilita per le liberalità “risultanti da atti soggetti ad Iva o ad imposta di registro proporzionale”. La risposta deve ritenersi positiva per l’una e per l’altra ipotesi. Infatti, l’evidenziazione con apposito atto - con il quale una od entrambe le parti del rapporto dichiarino l’esistenza della donazione indiretta collegata ad un precedente atto soggetto ad iva o ad imposta di registro proporzionale - rispetta i requisiti fissati dalla legge per la non imponibilità, in quanto la rende risultante da un atto soggetto a registrazione e la collega al trasferimento inciso dalle menzionate imposte. Lo stesso si deve affermare per la registrazione volontaria, altrimenti si creerebbero due regimi diversi a seconda che la liberalità indiretta risulti da un atto o da mera dichiarazione resa per la registrazione. In tal senso, e lo si vedrà nel paragrafo che segue, anche il regime tributario previsto dall’art. 56-bis Tus, ultimo comma, deve intendersi riferibile solamente alle donazioni indirette per le quali non valga la regola di inapplicabilità dell’imposta ai sensi dell’art. 1 comma 4-bis Tus. Pur asserendo che il regime tributario sia invariabile, nel senso indicato, è da prospettare come si ottenga l’esclusione della liberalità indiretta in itinere, ovvero quando la complessa operazione sia realizzata mediante una donazione diretta del denaro con l’intesa (tra donante e donatario) che quel denaro debba essere impiegato per un determinato acquisto di beni, sia che l’intesa si traduca in un onere, sia che si contenga nei limiti di una mera programmazione esterna all’atto pubblico donativo. È evidente che se si guardasse l’atto avente ad oggetto il denaro quale (mera) donazione diretta e non si considerasse il fine ulteriore, questo rimarrebbe del tutto esterno e non inciderebbe sul regime della donazione (diretta). Ma l’art. 1 comma 4-bis guarda anche a quel più complesso fenomeno dell’intestazione a nome altrui attuata con la scissione dell’operazione nel senso indicato: infatti l’imposta (di donazione) non si applica anche “nei casi di donazioni … collegate ad atti concernenti il trasferimento …” ed abbraccia, all’evidenza, pure la donazione che preceda l’atto di trasferimento o di costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende (a meno di ritenere, non condivisibilmente, che, per ottenere la neutralità fiscale, la donazione del denaro debba sempre seguire l’acquisto, ipoteticamente fatto dilazionando il pagamento). Considerando che nulla depone per la limitazione della neutralità fiscale alla sola donazione che segua l’acquisto, si può aderire alla soluzione proposta dalla dottrina, secondo cui la donazione di denaro anteriore all’investimento - per la quale si renda astrattamente applicabile l’imposta di donazione, come si verifica per la donazione tra estranei oppure tra parenti ed affini ma ultra franchigia - è registrabile in provvisoria esenzione da imposta a causa del collegamento (esposto in atto) con l’acquisto da perfezionare, salvo recupero dell’imposta dovuta ove l’acquisto non sia fatto nel termine individuabile in quello di decadenza dall’azione del Fisco».
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