Accertamento ed “emersione” delle liberalità indirette: rilevanza nelle imposte sui redditi
Accertamento ed “emersione” delle liberalità indirette:
rilevanza nelle imposte sui redditi
di Francesco Raponi
Notaio in Frosinone

1. Introduzione

Per trattare l’argomento è opportuno muovere da una premessa.
La dottrina tradizionale sostiene che le operazioni configurabili come liberalità indirette, nelle quali l’erogante e il beneficiario operino al di fuori dell’esercizio d’impresa arti e professioni, siano irrilevanti ai fini delle imposte sui redditi.
È bene precisare la portata di tale assunto.
Come in una donazione di beni immobili, per le ragioni che emergeranno più avanti, non si verifica il presupposto d’imposta per il conseguimento di plusvalenze imponibili, così anche per le liberalità indirette si dovrebbe concludere nello stesso modo anche se solo con riferimento al negozio fine.
Prendiamo ad esempio l’intestazione di bene a nome altrui che si concretizzi nel pagamento del prezzo da parte dell’erogante (genitore) direttamente al venditore e nella intestazione del bene direttamente al beneficiario (figlio). Sia in capo al genitore, che paga il prezzo per spirito di liberalità, che in capo al figlio beneficiario della stessa, non si realizzerà alcun presupposto d’imposta sui redditi.
Questo però non significa che il negozio mezzo, attraverso il quale si realizzi la liberalità indiretta, non possa risultare imponibile sul piano delle imposte dirette.
Pensiamo al conferimento in società avente ad oggetto beni immobili con assegnazione non proporzionale della partecipazione sociale per spirito di liberalità. Potrà far conseguire una plusvalenza imponibile, relativamente al conferimento, ma non anche rilevare sullo stesso piano per la liberalità indiretta che suo tramite si realizzi.
Prima di proseguire oltre occorre precisare che la ragione per la quale le liberalità indirette, nelle quali l’erogante e il beneficiario operino al di fuori dell’esercizio d’impresa arti e professioni, sono irrilevanti ai fini delle imposte sui redditi risiede nel fatto che non ne sarebbe possibile la collocazione in una delle categorie rilevanti a tali fini ai sensi dell’art. 6 del Tuir.
Nel sistema normativo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche non esercenti impresa non è presente una norma che consideri l’atto gratuito quale presupposto di imposta. Manca cioè una norma analoga all’art 1 del Tus in materia di imposta di successioni e donazioni.
Tale scenario stimola due domande cui si cercherà di dare risposta.
La prima, se detta conclusione della irrilevanza sul piano delle imposte dirette, sia la medesima quando l’erogante o il beneficiario anziché porsi in una fattispecie inquadrabile nell’ambito applicativo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche non esercenti impresa, producano reddito d’impresa o reddito di lavoro autonomo.
La seconda domanda, se quanto sostenuto in merito alla irrilevanza delle liberalità indirette in caso si operi al di fuori dell’esercizio d’impresa possa essere ritenuta ancora oggi una conclusione valida.
Più avanti si cercherà di formulare delle risposte muovendo dal ruolo decisivo che rivestono non solo la qualifica dei soggetti interessati ma anche la diversa tipologia dei beni che possono formare oggetto di liberalità, come il danaro, gli immobili, le partecipazioni sociali e le aziende.
Di sicuro non potranno essere tracciate delle linee comuni.

2. Rilevanza delle liberalità indirette nel reddito d’impresa

2.1. Inquadramento generale

Procediamo allora ad analizzare la soluzione della prima questione relativa alla rilevanza delle liberalità indirette nel reddito d’impresa.
Anticipiamo la conclusione.
Il “depauperamento”, che subisce l’erogante esercente attività d’impresa, se dal punto di vista civilistico non può, come ovvio, consistere in una “nuova ricchezza”, al contrario, può concorrere a formare positivamente il suo reddito imponibile. Allo stesso risultato potrà giungersi con riferimento all’ “arricchimento”, che si realizza in capo al beneficiario esercente sempre attività d’impresa, concretizzandosi in un incremento del suo patrimonio e quindi in un potenziale presupposto di imposta.
Sul piano pratico è importante considerare che a parità di operazioni, a seconda se il soggetto interessato sia un privato non esercente impresa oppure un imprenditore o una società, lo scenario fiscale potrà risultare completamente diverso.
Riprendendo l’esempio della intestazione di bene a nome altrui la conclusione sarà differente rispetto a quella sopra formulata quando si concretizzi con il pagamento diretto del prezzo da parte della società o impresa appartenente al medesimo genitore anziché direttamente dallo stesso genitore
Occorre allora chiedersi il perché di questa differenziazione sul piano soggettivo.
La risposta può essere articolata muovendo da due diverse prospettive, desumibili rispettivamente, dall’impianto normativo e dalla valorizzazione sul piano fiscale degli effetti liberali dell’intera operazione piuttosto che del singolo atto.
Sotto il primo profilo la conclusione è agevolata, in una materia caratterizzata dalla riserva di legge, dalla presenza solo nella disciplina del reddito d’impresa di norme, sulla destinazione a finalità estranee e sulle sopravvenienze attive, che potrebbero consentire di far emergere i profili reddituali delle liberalità indirette riguardo ai soggetti i cui redditi ne risultassero attratti.
In ordine invece al secondo aspetto occorre sottolineare come la tassazione degli effetti liberali potrà essere fatta valere per le stesse ragioni solo in tale regime e non anche con riferimento a quello proprio delle persone fisiche non esercenti impresa, rispetto al quale rilevano solo le fattispecie caratterizzate dalla fonte produttiva onerosa; per tale ragione infatti le donazioni e le eredità non sono soggette a imposta sul reddito delle persone fisiche.

2.2. Destinazione a finalità estranee di beni

Analizziamo allora la destinazione estranea e soprattutto in che modo possa concretizzarsi in essa una liberalità indiretta.
Occorre muovere dal significato di “destinazione a finalità estranee di un bene”.
La destinazione a finalità estranee si riferisce a qualsiasi evento che determini l’uscita di un bene dalla cerchia di quelli relativi all’impresa e rileverà sul piano fiscale perché estranea, cioè non inerente alle attività imprenditoriali senza che a tali fini debba essere necessariamente valorizzata anche la causa giuridica dell’operazione
Come si vedrà pure le liberalità indirette possono essere ricondotte in tale più ampia categoria.
Si ritiene preferibile infatti aderire all’orientamento prevalente che considera la destinazione estranea come una fattispecie realizzativa benché senza corrispettivo.
Lo spartiacque tra ciò che è all’interno della destinazione e ciò che è fuori è dato dall’interesse economico in capo all’imprenditore che ponga in essere l’atto. La mancanza di tale interesse esprimerebbe un’ipotesi di destinazione a finalità estranee. Non la gratuità dell’operazione, perché possono aversi anche atti gratuiti posti in essere per soddisfare un interesse economico della società(1).
Il fondamento dell’imposizione risiede dunque nella esigenza che i beni d’impresa debbano essere comunque assoggettati al prelievo allorquando fuoriescano dal relativo regime.
La destinazione estranea evoca che a monte ci sia stata una deduzione di costi o un ammortamento del bene. Per dirla con un linguaggio atecnico, se si sottrae al regime d’impresa un bene che ha “concorso” a ridurre la base imponibile è corretto che il fisco recuperi tale “vantaggio” al momento della sua fuoriuscita.
Sul piano più propriamente fiscale ciò si concretizzerà indicando tra i componenti positivi di reddito i ricavi (art. 85 - 2 comma Tuir), costituiti dal valore normale dei beni merce destinati a finalità estranee, e le plusvalenze realizzate mediante la medesima destinazione dei beni strumentali (art. 86 lett. c) del Tuir, calcolate muovendo dal valore normale inteso come valore finale cui contrapporre il costo fiscale del bene.
Muovendo dalla premessa che possa ricomprendersi nell’elenco anche la cessione dei beni a titolo gratuito, ossia senza corrispettivo, si può concludere che anche le liberalità indirette potrebbero far emergere materia imponibile in capo all’erogante per la loro riconducibilità alla più ampia categoria dei negozi che non soddisfacendo un interesse economico realizzino una destinazione a finalità estranee. Ad esempio.
Si verificherà un’ipotesi di destinazione a finalità estranee anche con l’assegnazione senza causa di un bene immobile al proprio socio da parte di una società e non solo con la donazione diretta effettuata dalla stessa società al medesimo socio, avente ad oggetto lo stesso bene. Il carico fiscale in capo alla società sarebbe identico. Proprio muovendo dall’esempio occorre a questo punto formulare alcune considerazioni di sintesi.
Non tutte le ipotesi di destinazione a finalità estranee sono liberalità indirette; nello stesso senso i negozi qualificabili come liberalità indirette non realizzano sempre destinazioni a finalità estranee come nel caso in cui loro tramite si realizzi un’operazione strumentale all’oggetto sociale.
Soprattutto per noi operatori si pone la necessità di individuare degli elementi su cui fondare le distinzioni che possano avere valenza anche sul piano fiscale. Il sistema impone di seguire alcuni step.
Principalmente occorre indagare se un’operazione risulti o meno inerente alle finalità d’impresa. Una ulteriore valutazione potrà portare a considerare anche la rilevanza della causa del negozio e, con riferimento a particolari fattispecie, lo specifico oggetto delle liberalità.

2.2.1. Destinazione a finalità estranee - liberalità indirette - come rileva la causa?

Come abbiamo appena visto la causa del negozio(2)non rappresenta un elemento determinante da cui far dipendere con certezza l’imponibilità o meno di un’operazione con riferimento al regime delle imposte sui redditi a differenza di quanto avviene in materia di imposte indirette.
Infatti, mentre nella disciplina dell’imposta di registro e dell’imposta sulle successioni e donazioni la causa negoziale, onerosa o gratuita, dell’atto di trasferimento incide in maniera determinante ai fini della individuazione del presupposto, segnandone il confine, lo stesso non può sostenersi riguardo alle imposte sui redditi rispetto alle quali l’individuazione della causa potrà condurre a risultati diversi sul piano interpretativo soprattutto in ragione della mancanza di una definizione positiva di reddito.
Alcune operazioni potranno risultare comunque imponibili nel regime fiscale del reddito d’impresa a prescindere dalla onerosità o gratuità della causa come ad esempio la vendita sotto costo o a prezzo di favore in ragione della loro potenziale antieconomicità.
In altri casi invece, la causa potrà risultare decisiva ai fini che ci occupano (es. contratto a favore di terzo o una delle altre forme di intestazione di bene a nome altrui).

2.2.1.1. Irrilevanza della causa - vendita sotto costo o a prezzo di favore - negozio misto con donazione

Quanto sostenuto più sopra necessita di essere argomentato.
Con riferimento alla vedita sotto costo e alla vendita a prezzo di favore che possono configurare a seconda dei casi fattispecie qualificabili come negozi onerosi oppure come liberalità indirette, la valutazione della diversa incidenza sul piano delle imposte dirette prima ancora che sulla causa giuridica deve essere orientata alla individuazione degli effetti giuridici prodotti dell’operazione.
La destinazione del bene al di fuori del regime d’impresa che, qualificata come estranea, giustifica il presupposto d’imposta nelle imposte sui redditi potrà rilevare sul piano reddituale se non risulti inerente all’attività imprenditoriale senza doversi prima considerare se l’operazione sia stata posta in essere donandi causa oppure solvendi causa o obligandi causa.
Segnatamente nei casi di vendita sotto costo o a prezzo di favore, l’emersione della destinazione estranea potrebbe precedere ogni ulteriore valutazione sulla rilevanza o meno degli effetti liberali.
Si pensi alla vendita sotto costo posta in essere da una società. Prima ancora della qualificazione della causa come onerosa o gratuita, l’imponibilità potrebbe essere rilevata muovendo dalla non inerenza con l’attività di impresa o meglio dagli effetti antieconomici della sproporzione tra il valore normale del bene venduto e il prezzo convenuto(3).
L’operazione risulterebbe imponibile perché si porrebbe come intrinsecamente antieconomica e non funzionale; posta in essere con la consapevolezza di rimetterci rispetto al costo di acquisto e non in base al valore di mercato.
Il comportamento antieconomico nello specifico rileverebbe non solo in considerazione del corrispettivo più basso rispetto al valore del bene, ma anche in concorrenza di altri elementi probatori che potrebbero consentire all’amministrazione Finanziaria di effettuare un accertamento analitico induttivo ai sensi dell’art. 39 comma 1 lett. d) del D.P.R. n 600/1973.
Proprio in considerazione di un inquadramento più ampio della fattispecie la vendita sotto costo o a prezzo di favore potrebbe anche risultare inerente (es. vendita delle prime abitazioni sottoscosto per stimolare la vendita a prezzo di mercato delle residue unità). Solo caso per caso si potrà appurare (o lo farà l’amministrazione in sede di accertamento) se il rapporto apparentemente oneroso in realtà nasconda ricavi occultati, lo spostamento di redditi oppure una liberalità indiretta. Se l’atto non risulterà inerente la minusvalenza prodotta non sarà deducibile così come non risulteranno deducibili i costi che apparissero non proporzionati ai ricavi.
Formuliamo un esempio:
La società Alfa vende alla società Beta per euro 100.000 un terreno edificabile il cui valore è di euro 200.000. L’intento potrebbe essere sia quello di erogare una liberalità indiretta da parte di Alfa alla società Beta, magari per riconoscenza in virtù dei rapporti di collaborazione commerciale, che giustificato da una causa diversa da quella liberale. Alfa potrebbe avere interesse a svendere il terreno perché dalla realizzazione dell’opera da parte dell’acquirente ne trarrà indirettamente dei vantaggi.
Nel primo caso l’intento liberale anche se indiretto sarebbe sufficiente da solo a far rilevare la fattispecie come non inerente all’attività d’impresa.
Nel secondo caso la componente apparentemente onerosa andrebbe valutata considerando l’operazione sottocosto come un segmento di una operazione più ampia la cui valutazione complessiva potrebbe caso per caso farla risultare o meno inerente. Come si vedrà a tali fini diventerà importante anche l’attività redazionale a cura del Notaio.
Nel caso in cui la fuoriuscita del bene dal regime d’impresa fosse considerata non inerente, il valore normale del bene venduto (beni merce) o la differenza tra il corrispettivo più basso e il valore normale del bene (beni strumentali) non potranno essere dedotti dal reddito della società venditrice e anzi potranno essere imputatati alla stessa società rispettivamente come un ricavo o plusvalenza (destinazione a finalità estranee). In capo alla società Beta acquirente, come si vedrà meglio più avanti, l’operazione potrà risultare imponibile come una sopravvenienza attiva; si potrà distinguere se l’acquirente sia un terzo oppure un socio; in tale ultimo caso rileverà come un’assegnazione di bene al socio.
In estrema sintesi l’intento liberale non risulterebbe decisivo ai fini della qualificazione della fattispecie come imponibile; a tali fini il giudizio si ferma prima e riguarda la valutazione della inerenza.
Alle stesse conclusioni si potrà pervenire con riferimento al negozio misto con donazione.
Tale operazione infatti potrebbe risultare assoggettabile a tassazione nel regime del reddito d’impresa, ancor prima di vederne apprezzato l’intento liberale in termini di impatto fiscale.
La rilevanza del profilo liberale dell’operazione potrebbe incidere solo sulla complessiva quantificazione dell’imposta.

2.2.1.2. Rilevanza e esternazione della causa - contratto a favore di terzo - intestazione di bene a nome altrui

Quanto fin qui sostenuto non significa che la natura della causa, onerosa o gratuita, anche nel reddito d’impresa e con riferimento a specifiche operazioni non possa concorrere con la valutazione dell’inerenza per stabilire l’imponibilità o meno di talune specifiche operazioni. In tali casi, come si vedrà, risulterà anche importante, che la causa giuridica dell’operazione venga esternata specie se trattasi di una causa diversa dalla causa donandi.
Vediamo perché.
L’argomento è di grossa attualità con riferimento al contratto a favore di terzo e alle fattispecie riconducibili alla “intestazione di bene a nome altrui”.
Tali negozi, o meglio le operazioni nelle quali si collochino, risulteranno non inerenti all’attività di impresa (destinazione a finalità estranee) solo se posti in essere donandi causa e non se concluse solvendi oppure obligandi causa, fattispecie queste ultime che potranno comunque far emergere materia imponibile di diversa natura.
Dunque ad esempio nel contratto a favore di terzo posto in essere da una società stipulante in veste di contraente che devia gli effetti sul terzo, in presenza di un intento non liberale, se non si voglia correre il rischio di incappare nella ripresa a tassazione del “ricavo” o della “plusvalenza” non dichiarati, sarà preferibile esternare e far emergere dall’atto la causa solvendi o obligandi e non donativa che ha assistito l’operazione.
La mancata esternazione invece potrebbe far sorgere il dubbio se l’operazione sia stata posta in essere con effetto liberale con il rischio di vederne aumentato il carico impositivo in quanto trattata come destinazione a finalità estranea.
Per evitare tali conclusioni, quando l’intento non sia quello liberale, sarebbe preferibile esternare la causa solvendi o la causa obligandi.
Dovrà trattarsi comunque di motivazioni oggettive e riscontrabili.
Ad esempio.
Una società utilizza la propria liquidità per pagare il prezzo dell’appartamento acquistato dal proprio socio.
Se la ragione economico sociale dell’operazione fosse una causa solvendi, ad esempio la restituzione di un finanziamento effettuato dallo stesso socio alla società, dal punto di vista reddituale non si avrebbe alcuna incidenza.
Se invece la stessa fosse giustificata da una causa donandi o non risultasse esplicitata la causa diversa da quella donativa, si potrebbe ritenere che il pagamento sottenda un intento liberale rilevante fiscalmente sia per la società che per il socio al pari di una distribuzione di utili.
Anche nel contratto a favore di terzo relativo all’acquisto di un immobile nel quale lo stipulante sia una società che paghi il corrispettivo deviando gli effetti in capo al socio o a un soggetto indicato dallo stesso l’esternazione della causa solvendi o obligandi potrebbe consentire di dimostrare più agevolmente l’inerenza dell’operazione con la propria attività.

2.2.2. Destinazione a finalità estranee - come rileva l’oggetto - liberalità indirette aventi a oggetto aziende e danaro

Le conclusioni cui si è pervenuti possono essere ritenute valide però solo riguardo ai beni immobili ma non anche con riferimento ad aziende e al danaro.
Le fattispecie negoziali che abbiano a oggetto tali diverse entità infatti, pur se qualificabili come liberalità indirette non possono rilevare sul piano impositivo come fattispecie destinazioni a finalità estranee.

Vediamo perché.

2.2.2.1. Liberalità indiretta avente a oggetto un’azienda

Per inquadrare il problema occorre distinguere le liberalità indirette che abbiano ad oggetto un’azienda rispetto a quelle che veicolando le partecipazioni sociali trattino indirettamente di un’azienda.
Le prime, come la donazione indiretta di azienda a favore di terzo (ricevo in donazione un’azienda e devio gli effetti in capo a mio figlio terzo) non rilevano sul piano fiscale purché l’azienda stessa sia assunta in capo al terzo beneficiario con continuità di valori.
Si giunge a tale conclusione aderendo a una interpretazione estensiva dell’art. 58 del Tuir in forza della quale «il trasferimento di aziende per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell’azienda stessa»; nello specifico giova ribadire che “qualunque” tipologia di trasferimento gratuito sarebbe riconducibile a tale fattispecie.
Si può allora ritenere che anche le liberalità indirette aventi ad oggetto un’azienda poste in essere da un imprenditore non generino plusvalenze tassabili purché siano rispettate le condizioni indicate dalla norma in ordine alla continuità dei valori. L’operazione non farebbe emergere materia imponibile neanche in relazione agli immobili aziendali considerati come parte del complesso organizzato.
Con riferimento invece alla liberalità indiretta che abbia ad oggetto indirettamente un’azienda, veicolando le partecipazioni, occorrerà distinguere caso per caso a seconda se abbia ad oggetto un’intera azienda o solo un ramo di essa.
Quando l’operazione abbia ad oggetto un’intera azienda, le partecipazioni acquisite a fronte del conferimento entrerebbero nel patrimonio personale del conferente, e la successiva liberalità indiretta che le avesse ad oggetto non rileverebbe sul piano delle imposte dirette.
L’ipotesi potrebbe risultare diversa se invece si facesse riferimento a un ramo d’azienda; le partecipazioni assegnate al conferente potrebbero entrare a far parte del patrimonio della sua impresa e la successiva loro circolazione mediante una liberalità indiretta risultare imponibile.

2.2.2.2. Liberalità indiretta avente a oggetto danaro

L’evento impositivo destinazione a finalità estranee fa riferimento come abbiamo visto solo ai “beni” e non anche al danaro pur risultando ugualmente imponibile l’utilizzo della liquidità per finalità non attinenti all’impresa.
La destinazione estranea alle finalità dell’impresa di una somma di danaro quindi non genererebbe direttamente un reddito imponibile.
La questione è di notevole rilievo sul piano pratico perché con riferimento alle intestazioni di beni a nome altrui potrà far emergere o meno materia imponibile in capo alla società a seconda se si ritenga che la liberalità abbia ad oggetto la somma di danaro occorrente per acquistare il bene oppure il bene stesso.
Si pensi al diverso inquadramento del caso in cui la società anziché pagare direttamente al venditore “giri” la somma al socio e questi proceda al pagamento.
Occorre a questo punto chiedersi perché rileva sul piano impositivo solo la destinazione estranea che abbia ad oggetto beni e non anche quella riferita al danaro.
La spiegazione può essere desunta da due distinti argomenti.
Il primo trae fondamento dalla considerazione che il danaro è stato già tassato in origine mentre i beni potrebbero esserlo solo al momento del realizzo tramite l’estromissione.
La seconda motivazione muove invece da una analisi della normativa.
Le uniche norme che nel Tuir trattano di erogazioni liberali di danaro si riferiscono a fattispecie che non sono espressive di redditi tassabili facendole rilevare come oneri deducibili al ricorrere di specifiche condizioni solo ai fini dell’abbattimento della base imponibile o importi detraibili dall’imposta da versare (artt. 100 e 101 del Tuir).
Si può sostenere allora argomentando a contrario che le erogazioni liberali di danaro che, in assenza dei requisiti specifici richiesti da detta norma, non si porranno nello specifico ambito applicativo, rileveranno come oneri non deducibili e come importi che non darebbero diritto alla detrazione d’imposta rilevando in tal senso ai fini reddituali.
A questo punto bisogna chiedersi come si tassa la distribuzione liberale di una somma di danaro.
Tale attività potrà rilevare fiscalmente in capo alla società solo come onere non deducibile e quindi concorrere in tal senso alla determinazione del reddito complessivo.
Nello stesso senso potrebbe rilevare in capo ai soci come una distribuzione di utili.
A tal proposito occorre prestare attenzione perché la Cassazione ha più volte ribadito che a tal fine non occorre una delibera assembleare distributiva.
Sul piano fiscale infatti viene qualificata come distribuzione di utili non solo quella ordinaria, a seguito di delibera assembleare, ma anche quella che si realizzi mediante atti non deliberativi ma ugualmente distributivi.
Si ritiene tuttavia che la contestazione non possa essere fatta al socio se prima non sia mossa alla società.
Se la distribuzione fosse a favore del socio non vi sarebbero dubbi interpretativi.
Se il destinatario delle somme ovvero degli “utili” invece fosse un terzo, ricollegabile in qualche modo al socio, potrebbe porsi ugualmente la problematica della tassazione in capo al socio come intestazione fittizia ai sensi dell’art. 37 terzo comma D.P.R. 601/73 oppure come tassazione di un provento illecito configurabile come illecito civile.

2.3. Liberalità indirette nel reddito d’impresa del beneficiario - “sopravvenienze attive”

La nuova ricchezza che si consegue con una liberalità indiretta può costituire un reddito imponibile anche in capo al beneficiario che maturi redditi d’impresa.
Il concetto è espresso dall’art. 88 lett. b) del Tuir che recita: «i proventi in danaro o in natura conseguiti a titolo di liberalità concorrono a formare il reddito (d’impresa) nell’esercizio in cui sono incassati».
Pur con le difficoltà connesse alla relativa emersione si può sostenere che il termine “proventi”, infatti, possa essere letto in un’accezione ampia tale da ricomprendere anche le liberalità indirette.
Occorre tuttavia inquadrare meglio la tematica.
I proventi conseguiti a titolo di liberalità anche indiretta rientrerebbero tra le sopravvenienze attive in senso lato perché deriverebbero da un evento estraneo alla normale gestione dell’impresa.
La conclusione secondo la ricostruzione prevalente e preferibile è che qualsiasi forma di arricchimento del beneficiario costituirà un componente di reddito imponibile così come ogni forma di attribuzione non onerosa è destinata a partecipare alla formazione del reddito d’impresa. Un’altra tesi minoritaria sostiene invece che costituisce reddito non tutto ciò che entra nel patrimonio dell’imprenditore ma solo ciò che va ad incrementare l’attività.
A noi operatori interessano gli effetti della problematica.
Il limite con cui dobbiamo confrontarci è di natura soggettiva. Ai fini della qualificazione in termini reddituali occorre che la sopravvenienza sia conseguita dal titolare di un reddito d’impresa o di società. Si realizzerebbe senza dubbio una sopravvenienza attiva se il beneficiario della liberalità fosse una società, non potendosi configurare in essa una sfera extraimprenditoriale. Invece rispetto all’imprenditore persona fisica la liberalità indiretta potrà costituire una sopravvenienza attiva solo se effettuata nella sua sfera imprenditoriale e non anche nella sua sfera personale.
Ad esempio rileverà come componente positivo di reddito in capo al figlio imprenditore l’acquisto dell’ufficio da parte dello stesso con danaro dei genitori e con intestazione del bene alla sua impresa individuale e non a titolo personale. La presenza dei genitori nell’atto non servirebbe ad escludere la rilevanza impositiva di tale fattispecie ma solo a far emergere ancor più chiaramente la sopravvenienza attiva.

2.4. Emersione delle liberalità indirette nel reddito d’impresa

Approfonditi i profili generali delle liberalità indirette nel reddito d’impresa analizziamo ora le modalità della relativa emersione. Si tratta nello specifico di individuare in che modo il contribuente possa far risultare sul piano fiscale di aver posto in essere una liberalità indiretta, o l’abbia ricevuta, e in via successiva, in che misura assoggettarla a tassazione.
Occorre muovere l’analisi dalla considerazione che nel settore oggetto della presente indagine non risulta uno strumento analogo alla confessione da cui possa farsi emergere una liberalità indiretta come invece previsto dall’art. 56-bis del Tus nel tributo successorio.
Le fonti dell’effetto liberale da tassare vanno cercate altrove.
Ad esempio, la liberalità indiretta che si concretizzi mediante gli effetti di una destinazione a finalità estranee dovrebbe emergere dal bilancio (es. diminuzione delle rimanenze per estromissione di un bene merce) e quindi dalla dichiarazione dei redditi ( es. mediante emersione del componente positivo ricavo).
Il quadro risulterebbe chiaro, ma in realtà lo è solo in apparenza.
Esempio
Si pensi a un caso di permuta a favore di terzo ove la società che scambi il proprio bene con un altro anziché intestarsi quello che riceve in cambio lo faccia intestare al proprio socio.
La destinazione estranea ovvero la liberalità indiretta in favore del socio dovrebbe rilevare in base alla natura dei beni estromessi come un ricavo o come una plusvalenza. In entrambi i casi in misura pari al valore normale dei beni estromessi o calcolando il differenziale partendo da tale valore.
Tuttavia sul piano pratico tutto ciò non sempre risulta così chiaro non solo per la mancanza di una disciplina normativa ma anche per come è attualmente organizzata.
Va considerato infatti che il sistema del reddito d’impresa, come visto più sopra, con riferimento alla tassazione dei fenomeni che qui interessano è basato sulla tassazione degli effetti e non sempre le relative chiavi di lettura appaiono definite.
Ciò alimenta le criticità e i dubbi interpretativi perché tranne che in casi ove la liberalità indiretta sia palesata in maniera evidente, difficilmente la stessa emergerà a seguito di un comportamento adeguato del contribuente e non sempre perché lo stesso voglia sottrarvisi.
Al Fisco rimarrebbe solo la strada dell’accertamento.

2.5. Accertamento delle liberalità indirette nel reddito d’impresa

La problematica si sposta come si diceva sul piano dell’accertamento. Va sottolineato da subito che anche la stessa risulta comunque di difficile attuazione.
L’Agenzia delle entrate difficilmente accerterà direttamente in capo a un’impresa le liberalità indirette, o meglio lo farà molto di rado e solo se si imbatta casualmente nei negozi da cui sia possibile farle emergere.
L’attività di accertamento sarà piuttosto volta a rilevare gli effetti che tali operazioni producono, a prescindere dalla relativa qualificazione delle stesse, come liberalità indirette, in chiave impositiva e con le stesse difficoltà che incontra il contribuente nella fase dell’emersione.
L’Agenzia delle entrate del resto si muove su un tracciato che pur non avendo confini certi appare per le attività che la stessa deve svolgere più definito, e in qualche modo favorito dal sistema.
Sul piano sostanziale perché la sottostima di materia imponibile lascia tracce(4), come ad esempio la diminuzione delle rimanenze rispetto all’esercizio precedente, la presenza di una perdita e soprattutto l’iscrizione di un credito verso il socio e le operazioni in conflitto di interessi.
Sul piano della contestazione in sede di accertamento, invece, perché il Fisco può godere dell’innegabile vantaggio dipendente dalla possibilità di muovere da indizi gravi precisi e concordanti e quindi ottenere il ribaltamento dell’onere della prova a carico del contribuente con le difficoltà che ne derivano.
Il problema maggiore, tuttavia, sarà non tanto quello relativo alla rilevazione degli effetti quanto piuttosto quello connesso anche alla individuazione dell’effettivo beneficiario della liberalità. Ci sarà infatti un diverso riflesso impositivo a seconda se sia o meno ricollegabile alla società e/o anche al socio.

3. Rilevanza delle liberalità indirette in caso di erogante e beneficiario che operino al di fuori dell’esercizio d’impresa arti e professioni

Proviamo ora anche a rispondere alla seconda domanda che ci eravamo posti all’inizio e in particolare se quanto sostenuto in merito alla irrilevanza delle liberalità indirette in caso si operi al di fuori del reddito d’impresa possa ancora essere ritenuta una risposta valida.
Alla luce di quanto si vedrà, si ritiene che, anche in virtù di recenti modifiche del Tuir, le conclusioni non possono essere considerate così pacifiche perché alcune fattispecie qualificabili come liberalità indirette sul piano civilistico sono rilevanti come possibili presupposti d’imposta di reddito da lavoro dipendente, di redditi di capitale e di redditi diversi.

3.1. Reddito da lavoro dipendente

Con riferimento alla prima categoria a mente dell’art. 50 lett. i) del Tuir (e in via simmetrica ex art. 10 che ne consente l’erogazione in capo all’erogante) rilevano come reddito di lavoro dipendente gli assegni periodici percepiti anche tramite donazione modale e dunque anche come liberalità indiretta(5).

3.2. Redditi di capitale

Riguardo ai redditi di capitale in quanto, come già visto, il beneficiario della liberalità benché persona fisica non esercente attività d’impresa potrebbe essere ritenuto destinatario della distribuzione di utili anche se non in via rituale ma «in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione» gli stessi siano distribuiti a norma dell’art. 47 - 1 comma del Tuir.

3.3. Redditi diversi

Riguardo ai redditi diversi il riscontro emerge da più fattispecie.

3.3.1. Plusvalenza ex art. 67 h-ter del Tuir

Il riferimento principale è alla plusvalenza che potrà essere conseguita in capo al beneficiario riguardo alla tassazione del reddito relativo alla concessione in godimento dei beni sociali al di sotto dei valori di mercato disciplinata dall’art. 67 h-ter del Tuir .

3.3.2. Tassazione dei proventi illeciti

A conferma di quanto sopra rileva anche la nuova disciplina sulla tassazione dei proventi illeciti introdotta dall’art. 36 comma 34-bis del 223/2006 (decreto Bersani) riferibile pure al cosiddetto illecito civile che si realizzerebbe mediante l’attribuzione dei beni sociali al di fuori di finalità d’impresa facendo conseguire un reddito imponibile al beneficiario.

3.3.3. Plusvalenza ex art. 67 h-bis del Tuir

Depone infine nello stesso senso la plusvalenza conseguita ex art. 67 h-bis del Tuir in caso di successiva cessione gratuita anche mediante liberalità indiretta delle aziende acquisite ai sensi dell’art. 58 del Tuir ovvero in eredità o per donazione.

3.3.4. Determinazione della plusvalenza ex art. 68 del Tuir - negozio misto con donazione posto in essere al di fuori del reddito d’impresa

Qualche dubbio sulla conclusione della irrilevanza delle liberalità nelle imposte sui redditi al di fuori dell’esercizio d’impresa potrebbe essere sollevato anche con riferimento alla vendita mista con donazione in quanto la relativa componente liberale rischia comunque di essere assoggettata a tassazione pur ritenendosi anche sul piano civilistico prevalente l’aspetto oneroso.
Tale negozio infatti benché assistito da un intento liberale potrebbe comunque esporre alla contestazione da parte del Fisco di una simulazione almeno parziale del contratto, limitatamente al corrispettivo, recuperando le maggiori imposte sulla plusvalenza realizzata che andrebbe calcolata prendendo come valore finale il valore normale del bene in luogo del corrispettivo.
Formuliamo un esempio:
Tizio vende per euro 50.000 al figlio Sempronio un terreno edificabile del valore di euro 200.000 (acquistato anni prima per un corrispettivo pari a Euro 100.000). Nell’atto si dichiara che ai soli fini della applicazione dell’imposta di registro il valore da tassare è pari a euro 200.000. L’intento è quello di trasferire il bene in vendita al figlio Sempronio (per facilitarne la futura circolazione) e non versare imposte sulla plusvalenza che sarebbe emersa dal combinato disposto degli artt. 67 lett. b) e 68 Tuir sulla differenza tra 200.000 e 100.000.
Il problema nello specifico riguarda la possibilità di ritenere accertabile il “corrispettivo percepito” di cui parla l’art. 68 Tuir.
La tesi che non sarebbe possibile l’accertamento perché la tassazione potrebbe basarsi solo sul corrispettivo effettivamente “percepito” risulta debole.
L’agenzia potrebbe infatti contestare la sproporzione tra il prezzo di vendita e l’effettivo valore di mercato del bene che lascerebbero presumere un intento illecito muovendo la contestazione ai sensi dell’art. 38 D.P.R. 600/1973 in base a presunzioni gravi precise e concordanti. La presunzione sarebbe data dalla sproporzione tra il prezzo di vendita e l’effettivo valore di mercato del bene.
La soluzione del problema dipende anche dalle modalità redazionali e in particolare dalla esplicitazione o meno della causa liberale che se prevista impedirebbe almeno per la relativa componente di rilevare come materia imponibile.
Si dovrebbe ragionare come se ci si trovasse di fronte a una sorta di confessione anticipata della liberalità indiretta da effettuarsi in sede negoziale anziché ai sensi dell’art. 56-bis.
Tale conclusione però genererebbe altro tipo di problematiche di natura civilistica.

3.3.4.1. Confessione di liberalità indiretta - profili rilevanti ai fini della determinazione delle plusvalenze immobiliari

L’occasione consente di risolvere l’ulteriore problematica relativa alla possibilità di utilizzare la confessione di una liberalità indiretta ai sensi del’art. 56-bis del Tus anche per neutralizzare una plusvalenza. L’applicazione più frequente della confessione come è noto si verifica in caso di accertamento sintetico e di voluntary disclosure. Tuttavia in sede teorica non potrebbe escludersene un utilizzo anche in caso di emersione di una plusvalenza immobiliare.
La confessione verrebbe resa non dall’acquirente come accade nell’accertamento sintetico ma dal venditore il quale potrebbe sostenere di aver voluto compiere una liberalità indiretta in favore dell’acquirente beneficiario.
Esempio.
Tizio acquistato un bene a 100 lo rivende a Caio a euro 100 anziché a euro 200 valore attuale del bene.
L’ufficio accerta una plusvalenza di 100. Il venditore potrebbe provare a confessare la liberalità in favore dell’acquirente per 100 assoggettandola a tassazione in luogo della stessa plusvalenza.
È come se Tizio invece di realizzare una plusvalenza di 100 avesse voluto regalare indirettamente all’acquirente Caio un ammontare di pari importo.
In tal caso Tizio non maturerebbe una plusvalenza ma dovrebbe assoggettare a tassazione la liberalità secondo il tributo successorio.
È ovvio che la vicenda deve risultare credibile altrimenti non potrebbe essere apprezzata come prova contraria.
Ad esempio la vendita tra parenti di grado stretto potrebbe rientrare nell’ambito di quanto si sta sostenendo.
La prova contraria invece non sussisterebbe se la vendita fosse stata posta in essere tra estranei e in mancanza di una motivazione oggettiva.
Non è da escludere inoltre che il medesimo accertamento e la successiva confessione possano costituire la base da cui desumere l’esistenza di altri tributi come i redditi diversi (plusvalenze non dichiarate) o di capitali (distribuzione di utili mascherata) e se del caso costituire anche un indice per recuperare reddito non assoggettato ad imposta.
La vicenda proprio per gli effetti che produrrebbe dovrebbe indurre a valutare preventivamente gli effetti impositivi della confessione su tali diverse imposte.

4. Rivendita dopo l’accertamento

A questo punto occorre chiedersi quali siano gli effetti in materia di imposte sui redditi della confessione o della emersione di una liberalità indiretta a norma degli artt. 56-bis e art. 1 comma 4-bis sulla circolazione successiva dei beni.
Il problema riguarda in particolare la determinazione della plusvalenza in caso di rivendita da parte del beneficiario che abbia ricevuto un bene in seguito a una liberalità indiretta.
Il problema non è solo e tanto quello di determinare il costo di acquisto del bene quanto quello di verificare se il beneficiario di una liberalità indiretta possa al pari del donatario assumere ai sensi dell’art. 68 - 1 comma 2 capoverso il prezzo di acquisto sostenuto dall’ erogante analogamente a quanto previsto per il donante. La risposta sarebbe positiva se in caso di intestazione di bene a nome altrui si aderisse all’orientamento della Cassazione(6)che considera l’immobile quale oggetto della donazione indiretta; nella stessa misura si dovrebbero ritenere applicabili tutte le norme riguardanti gli stessi beni dettate sul piano fiscale con riferimento agli atti gratuiti.
Si consideri inoltre che in relazione alla tassazione delle imposte dirette le posizioni del donante e dell’erogante e quella del donatario e del beneficiario tendono a coincidere e quindi le norme proprie dell’uno dovrebbero valere anche per l’altro.
La vicenda tuttavia non risulta ancora mai affrontata dal Fisco.

5. Conclusioni

In conclusione è importante porsi il problema di come si colloca in tale scenario la figura del notaio. Vengono in gioco non solo il ruolo di consulente ma anche quello di redattore dell’atto.
In relazione al primo profilo invitando alla cautela nell’adottare soluzioni negoziali che potrebbero far emergere redditi imponibili non preventivati specie e soprattutto quando sono interessati società e/o imprenditori.
Con riferimento al secondo profilo invece esplicitando o meno la causa di liberalità ovvero un' altra causa valutando come lo stesso negozio possa rilevare sul piano fiscale in misura diversa a seconda dei soggetti e dell’oggetto nonché della specifica tipologia di imposta in cui si colloca(7).
Il compito del Notaio dunque non sarà facile dovendosi trovare la quadratura del cerchio tra l’esigenza del civilista e quelle del tributarista ma occorre che caso per caso si trovi la soluzione a cui si spera sia stato offerto un contribuito.


(1) Cass. n. 3150/1996 che parla di donazioni strumentali all’oggetto sociale.

(2) In diritto civile ci si è già interrogati sulla definizione delle liberalità indirette, tra la tesi che muove dal tipo di effetto giuridico prodotto, e l’altra che invece fonda l’individuazione sulla causa liberale intesa come motivo giuridicamente rilevante. La questione si riverbera tra l’esternare o il non esternare la causa donandi e nelle differenti scelte nella costruzione del negozio.

(3) Deve trattarsi di una sproporzione significativa; mentre poi, sul piano civilistico occorre anche una consapevolezza della insufficienza del prezzo, non si ritiene che tale requisito debba ricorrere anche in chiave fiscale.

(4) L’indagine sarà volta principalmente a verificare il corrispettivo occultato.

(5) Stante l’equiparazione offerta da ultimo dalla circ. n. 17 del 2017.

(6) Cass. n. 17807/2012.

(7) Il contratto a favore di terzo donandi causa non rileverà sul piano reddituale se lo stipulante e il terzo beneficiario siano soggetti privati non esercenti impresa, viceversa potrà far emergere un reddito imponibile se invece lo stesso stipulante e il terzo beneficiario, entrambi o anche uno solo dei due, siano una società o un soggetto che agisca nell’esercizio di impresa.

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